Chiusi con l’intervento di Hillary Clinton i lavori del summit di Rio+20. Per il segretario di Stato Usa sul fronte ambientale “il futuro non è garantito”, visto il crescente sfruttamento delle risorse naturali. Ma nonostante le belle parole si confermano le previsioni: il summit dei potenti si rivela un flop, soprattutto perché i potenti non si sono fatti vedere. Da una conferenza mondiale a quanto pare disorganizzata e confusionaria, più caotica di quanto ci si possa immaginare una città come Rio, poco o nulla viene fuori. Assenti come annunciato i grandi leader dei paesi occidentali, pochi e banali i contenuti del documento finale, un compromesso fiacco che non accontenta nessuno, in sostanza nessun accordo per un impegno concreto sullo sviluppo sostenibile. E nessuna agenzia ONU per l’ambiente. Il People’s Summit, il controvertice organizzato dalle numerose comunità di base brasiliane, sembra sia andato meglio: le Ong provenienti da tutto il pianeta hanno avuto modo di discutere e confrontarsi, scambiare idee e condividere programmi. Come i tre moschettieri di Dumas ci si incontra vent’anni dopo, per tirare le fila del discorso, ognuno a raccontare la propria storia. Tutti d’accordo da subito che in alcun modo appoggiano il testo emerso dal summit, sfilando anche in 50.000 per le vie di Rio, nonostante la pioggia incessante. Ma quale peso potranno avere?
A guardar bene singoli paesi hanno fatto passi concreti, come la Cina, che ha stanziato milioni di dollari per lo sviluppo di tecnologie sostenibili, comprendenti energie rinnovabili e auto elettriche. O gli Stati Uniti, che finanziano l’ONU con 2 miliardi di dollari per l’efficienza energetica e le rinnovabili. Anche l’Italia è tra i paesi più impegnati, il ministro dell’Ambiente Clini ha dichiarato in chiusura del summit: “Nel decreto sviluppo abbiamo inserito norme che prevedono incentivi per le aziende che lavorano nella green economy e che assumono giovani laureati. In tutto 470 milioni di euro nel 2012″. Anche altre componenti sono scese in campo: banche che hanno messo a disposizione miliardi di dollari per prestiti agevolati, investitori e imprese private pronte ad investire sulla green economy, sebbene tra questi si annoverino anche le multinazionali del petrolio. Un insieme di piccoli contributi grazie ai quali qualcuno, Legambiente per prima, intravede un barlume di speranza.
Ma manca l’accordo più importante, quello tra i governi, in grado di influenzare con certezza lo sviluppo economico globale con la garanzia della sostenibilità. Nessuno se l’è sentita, con una crisi economica in atto, di prendere impegni vincolanti, di influenzare in modo unidirezionale le proprie politiche industriali o i propri modelli di consumo. Né i paesi sviluppati, su cui pesa maggiormente la crisi e che non vogliono sostenere i costi di una riconversione verde, né i paesi emergenti, che non vogliono frenare il proprio sviluppo con vincoli ambientali. Con il sostanziale nulla di fatto si rimanda tutto alla ripresa dei negoziati sui gas serra nel 2015, prossimo appuntamento mondiale sulla salute del pianeta. Fino ad allora i paesi e le industrie avranno in pratica campo libero e potranno valutare vantaggi e svantaggi della green economy, il motore trainante dello sviluppo sostenibile. Oppure, come teme qualcuno tra i movimenti ambientalisti, si rivelerà solo un “grande ombrello che racchiude sotto di sé tutti i modi di commercializzare e mercificare la natura”.
Quindi di nuovo la parola passa al mercato, ma se chi produce non decide forse potrà farlo chi consuma, scegliendo un modello di sviluppo tramite i propri comportamenti quotidiani. La parola quindi passa anche ai popoli, sperando che le dichiarazioni del segretario ONU Ban Ki-moon:” Il tempo è la nostra risorsa scarsa” non siano profetiche.
Luca Scarnati ( Globalist.it )
http://famiglieditalia.wordpress.com/
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Leuthard: “puntavamo più in alto”
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Alla Conferenza di Rio il bicchiere è “mezzo pieno”
Doris Leuthard,il ministro del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni della Svizzera.
“Le nostre ambizioni erano più grandi, ma abbiamo comunque delle risoluzioni che vanno nella giusta direzione”, ha dichiarato oggi Doris Leuthard da Rio de Janeiro, dov’è intervenuta alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile e l’ambiente.“Il bicchiere è mezzo pieno e non mezzo vuoto”, stando alla Consigliera federale, che ribadisce come “occorre ora agire concretamente con dei progetti mirati”. Tra i punti positivi, la Leuthard ha citato la l’impegno in favore della cosiddetta economia verde nel documento finale.
Oggi si chiude Rio+20
La dichiarazione finale d’intenti della Conferenza sarà approvata oggi. Elaborata dai negoziatori dell’ONU, sarà probabilmente accorpata con impegni reali per i prossimi dieci anni. Nonostante da più parti sia stato sottolineato come nel testo sostanzialmente manchi la definizione di mete concrete.
Invito alle grandi potenze
Durante il suo intervento la Leuthard ha lanciato un invito alle grandi nazioni a impegnarsi maggiormente per salvaguardare la Terra. “Piccoli stati come la Norvegia e la Svizzera da soli possono ottenere poco. Fino a quando i maggiori Paesi faranno solo vaghe promesse o impegni dilatati nel tempo, anche le altre nazioni non si sentiranno obbligate a porsi degli obiettivi a difesa del nostro pianeta” – ha sottolineato la responsabile dell’energia.
La conferenza del 1992
Rio+20 ha fatto seguito, esattamente dopo vent’anni, al Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992, che è stata la prima conferenza mondiale dei capi di stato sull’ambiente. È stato un evento senza precedenti sulle scelte politiche e di sviluppo che l’hanno seguita. Vi parteciparono 172 governi e 108 capi di Stato o di Governo e 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative.
Un importante risultato della conferenza fu un accordo sulla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che a sua volta portò, alcuni anni dopo, alla stesura del protocollo di Kyoto
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