A volte mi piace inseguire parole come si inseguono farfalle. Non che le parole poi significhino ciò che volevo significare, semplicemente di loro rimane una nenia inconscia che traccia impressioni, innocenti verità che restano sull’orlo prediletto dell’incoscienza.
A volte scrivo parole come fossero suoni; perché non è la loro sostanza che mi interessa ma l’incestuosa e incessante alchimia tra le loro vibrazioni. Il magma dentro, la sensazione aspra e disarmata di essere avvolta da un’ovatta di suoni; il caos contro il cosmo, la voce dell’essenza che non sai cosa davvero sia o non sia; l’insuperbirsi dell’umana volontà di poter tutto significare con un dizionario in mano. A volte dice più l’onomatopea fragile di un verso sfumato che il centellinato sostantivo dato a un petalo di rosa in particolari condizioni indefinibilmente atmosferiche.
Ecco, hai visto… a volte inseguo le parole come inseguirei farfalle se ce ne fossero nel mio cuore.
Una zavorra troppo pesante mi impedisce di pensare, e allora sono i suoni a trasportare il peso immenso della mia vita.
Ma dove?