Kitara, la chitarra senza corde
Sostituire le corde, accordare, cercare plettri finiti chissà dove, verificare ossessivamente lo stato di usura dei tasti. Sono tutte azioni che chiunque strimpelli una chitarra sa bene cosa vogliono dire: una gran scocciatura. Ma fra non molto potrebbero diventare un lontano ricordo. Stando, infatti, al parere di esperti della lavorazione di strumenti musicali, le chitarre di domani, saranno molto diverse da quelle attuali: offriranno più chance di divertimento e azzereranno le noiose perdite di tempo legate alla manutenzione dello strumento. A un primo significativo risultato, in realtà, si è già giunti, con un prodotto diffuso da poco, lanciato da Misa Digital Instruments, global company australiana, con sedi sparse un po' in tutto il mondo, Europa compresa. Il riferimento è alla prima chitarra senza corde, la Kitara, basata sull'azione di un controller MIDI (acronimo di Musical Instrument Digital Interface). Con la mano sinistra si pigiano le note lungo il manico, proprio come se si stesse elaborando un accordo o un assolo su uno strumento tradizionale; con la destra, invece, si lavora su un touchscreen rettangolare, imitando un arpeggio o una pennata a seconda delle esigenze del pezzo che si sta eseguendo. Esistono due versioni: quella standard e la “Limited Edition”. Da un punto di vista estetico sono identiche, ma la seconda è realizzata con materiali più pregiati che le conferiscono maggiore resistenza e duttilità. Il loro peso si aggira intorno ai tre chilogrammi, il costo è di circa 650 euro. Con lo stesso linguaggio MIDI prende vita The Samchillian, controller rappresentato da due serie di tasti: alla prima corrispondono le sette note del pentagramma, alla seconda operazioni algebriche. Se si suona un Do con la mano sinistra, con la destra si può calcolare di salire di due toni per ottenere un Mi e di altri due toni per arrivare al Sol#. In pratica si compiono mentalmente somme e sottrazioni, consci del fatto che fra ogni nota esiste lo spazio di un tono, tranne fra il Mi e il Fa e il Si e il Do, divisi appena da mezzo tono. Dal design avanguardistico, il prodotto è disponibile in una vasta gamma di colori. È inoltre molto comodo da maneggiare, con la sua impugnatore ergonomica, e la connettività wireless che permette il funzionamento di un piccolo visore centrale, sul quale seguire l'andamento delle operazioni matematiche e verificare l'attivazione della nota prescelta. Ai profani può sembrare assurdo uno strumento del genere, in realtà, chi lo ha già sperimentato, afferma che è molto utile per ottenere melodie e armonie assolutamente originali. Un sequencer che permette, invece, di “toccare” i suoni con mano è il cosiddetto “beatbearing”, detto anche “sequencer con le palle”. È l'invenzione di un ricercatore di Belfast, Peter Bennett, del Sonic Arts Research Centre, presso la Queen University. Lo strumento può essere assimilato a una tavola imbandita, con recettori sviluppati su un'interfaccia leggibile da chiunque. Ci sono delle palline argentate che vanno posizionate in appositi incavi, per ottenere i suoni percussivi desiderati: cassa, rullante, charleston, campanacci... Si stabilisce una velocità in battiti per minuto (bpm) per ottenere, infine, qualunque tipo di accompagnamento. È lo stesso approccio adottato dal più famoso Tenori-On, un sequencer audio e video ideato dal performer giapponese Toshio Iwai, dipendente del Yamaha Center for Advanced Sound Technology. La sua prima presentazione risale al 2005, in occasione della conferenza Special Interest Group o Graphics and Interactive Yechniques (SIGGRAPH), che ogni anno si tiene a Los Angeles. Lo strumento, caratterizzato da una superficie quadrata trasparente, funziona tramite 256 tasti-led da cui è possibile ricavare suoni peculiari, contemporaneamente all'emissione di fasci di luce. Lo hanno già sperimentato molti musicisti dello star system fra cui Jean Michel Jarre e The Books. Tra i nuovi strumenti musicali ci sono anche i prodotti Eigenharp, giudicati i più rivoluzionari degli ultimi sessant'anni. L'idea iniziale risale ai primi anni Novanta, il via ai lavori a una decina di anni fa. A capo dell'iniziativa c'è John Lambert, esperto di musica e software musicali, al soldo dell'Eigenlabs, compagnia con sede in Inghilterra. Tre le versioni in commercio: Alpha, Pico e Tau, tutte intorno ai 4500 euro. Sono il risultato dell'incontro fra un sintetizzatore avanzato e un beatbox. Pratici e versatili, rimandano a sonorità anni Ottanta, la forma a quella di un vecchio fagotto. Sono caratterizzati da 134 tasti, riconducibili a quelli di una tastiera, compatibili con Mac e Windows. Il lato destro permette di passare da uno strumento all'altro, quello sinistro di moderare intensità e intonazione di note e melodie. Si reggono comodamente in mano e si suonano stando seduti per calibrare meglio il peso. Su Youtube circolano numerosi video che ben rappresentano il sound ottenibile e le tecniche per suonarli con successo. C'è poi il “Laser Virtual Piano”, una tastiera virtuale, composta a 25 tasti, proposta dalla giapponese DID. Funziona grazie a una scatoletta che, posta su un tavolo o su una superficie piana, è in grado di proiettare, tramite raggi laser, i tasti del pianoforte tradizionale. Si suona come un piano che, però, di fatto, non esiste. I suoni possono variare in base al programma selezionato, passando dal piano, all'organo, al clavicembalo. Altrettanto avveniristico l'hidraulophone, detto anche “flauto ad acqua”. Il suo funzionamento è sbalorditivo: sfrutta il movimento dell'acqua per ottenere suoni. Con i piedi e con le mani si bloccano delle fessure poste su un tubo-tastiera, producendo note riconducibili a quelle emesse da uno strumento a fiato. Presentato per la prima volta lo scorso anno a San Francisco, è frutto dell'attività di Steve Mann, scienziato canadese, laureato al MIT di Boston. Ne esistono numerose versioni, pubbliche e “casalinghe”. Le prime, come quella presente presso il Centro Scientifico dell'Ontario, sono dotate di canne, tipo quelle degli organi suonati in chiesa; le altre sono più semplici, possono aver la forma di un grosso pesce ed essere attivate ai bordi di una vasca da bagno. L'idea non è nuovissima. Qualcosa del genere, infatti, è stato proposto sottoforma di organo idraulico da Ctesibo di Alessandria, più di duemila anni fa. E il futuro degli strumenti musicali? Potrebbe basarsi sui progressi dell'informatica e dello studio della fisica del suono. Con l'informatica, già oggi, siamo in grado di creare melodie con semplicissimi strumenti che traducono in note input gestiti da software. Per certi versi anche un telefonino è già in grado di creare “canzoni”. ZooZBeat permette di cimentarsi con diversi strumenti agitando l'iPhone, parafrasando le operazioni di un sequencer. La scelta di strumenti è assai varia e comprende suoni di tastiera, basso e percussioni. Il tutto seguendo un tempo prestabilito. Ancora più affascinante la possibilità offerta dal mondo della fisica, che, però, per il momento, è a esclusivo appannaggio dei ricercatori. Ancora non si può palare, infatti, di veri strumenti musicali, ma di tentativi di ottenere suoni mai uditi prima, confrontandosi con applicazioni sperimentali difficili da comprendere se non si hanno delle solide basi scientifiche. A questo scopo gli studiosi impiegano i cosiddetti “sistemi dinamici caotici all'interno degli algoritmi di sintesi del suono”. Attualmente sono stati sviluppati, da scienziati dell'Università della Calabria, tre diversi oggetti musicali: il Chaotic Synth, il Timbralizer e il Chaotic Modulator. Sono tre prototipi elaborati valutando aspetti complessi della fisica del suono, inerenti proprietà standard delle onde sonore come frequenza, ampiezza e velocità.