Qualche giorno fa, il Corriere dell’Alto Adige ha dedicato ampio spazio a un significativo anniversario. Sono infatti passati venticinque anni dalla pubblicazione di “Sangue e Suolo. Viaggio tra gli italiani trasparenti”, il libro-inchiesta dello scrittore genovese Sebastiano Vassalli che – a giudizio di molti – rappresentò un ritratto verosimile delle storture del nostro sistema istituzionale e politico. Questo volume (molto fortunato, più volte ristampato) si basa, com’è noto, su una tesi priva di sfumature: “L’Alto Adige è il paese in cui tutto è separato e tutto è doppio, in cui è stato attuato – con la connivenza dei governi di Roma – un sistema sofisticato di sostanziale apartheid, che emargina una minoranza di (…) italiani in uno Stato che dovrebbe essere il loro, rendendoli come invisibili”. Vassalli dichiarò di essere giunto a queste conclusioni interpellando molti testimoni e osservando con “sguardo neutro” la situazione nella quale si trovò immerso per le poche settimane necessarie a raccogliere il suo materiale. Appena uscito, il libro venne però anche accolto con legittimo fastidio da parte di una minoranza di lettori più acuti e meglio informati (e non solo “tedeschi”). Il passare degli anni ha soltanto fatto in modo che emergessero tutte le sue debolezze, com’è il caso di una fotografia ingiallita non solo per colpa del tempo, ma soprattutto a causa della sua originaria e parziale messa a fuoco.
Il problema non consiste allora esclusivamente nell’accertamento dell’eventuale attualità dell’opera, quanto nel tipo di sguardo che lo scrittore decise di attivare per descrivere le peculiarità del microcosmo altoatesino-sudtirolese. Dedicandogli una illuminante recensione sul quotidiano romano Reporter, Alexander Langer colse immediatamente i rischi connaturati a una operazione del genere: “Temo che il libro di Vassalli possa diventare una specie di piccola bibbia dell’italiano incazzato per l’Alto Adige”. Langer aveva ragione. “Sangue e suolo” si rivelò una trascrizione perfetta e un potente amplificatore del cosiddetto “disagio”, codificandone per mezzo di formule incisive e di sicuro effetto (ma perciò anche decisamente banalizzanti) il paradigma o la matrice di fondo: un prontuario di accuse rivolte al sistema locale sostanzialmente incapace di coglierne le contraddizioni strutturali, cioè quelle non riducibili allo schema “italiani” (agnelli) vs “tedeschi” (lupi).
Oggi, a distanza di venticinque anni, chiunque voglia capire la realtà locale da un punto di vista “italiano” è ancora costretto a confrontarsi con l’influenza del “paradigma Vassalli”. Un paradigma assai più pervasivo e resistente di quanto si possa generalmente ritenere e – per questo – così difficile da superare.
Corriere dell’Alto Adige, 26 agosto 2010