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(Super)eroi e contesti: simboli dell’immaginario del proprio tempo

Creato il 20 febbraio 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Nel corso del tempo i personaggi dei fumetti hanno incarnato vari ideali di eroismo. Luciano Tamagnini associa eroi e contesti, mostrando come ogni (super)eroe, fumettistico, cinematografico o letterario, diventi simbolo di un preciso immaginario ed espressione di un contesto storico e delle relative paure sociali.

La giustizia all’ombra dei grattacieli

[Articolo pubblicato originariamente su Fumetto n° 86/2013 a firma di Luciano Tamagnini.]

(Super)eroi e contesti: simboli dellimmaginario del proprio tempo The Punisher Punisher Leo Cimpellin In Evidenza Gian Luigi Bonelli Dick Tracy Devil Batman
È proprio vero che nel raccontare le avventure più o meno realistiche, di cui ogni giovanissimo si nutre per imparare quelli che dovrebbero essere i suoi comportamenti morali nel crescere (e speriamo che il mondo dei videogiochi e di certe sequenze iperviolente di certi telefilm non costituisca basi troppo violente per la crescita dei giovanissimi…) ogni narratore sceglie di ambientare i racconti in cornici che siano lontane e diverse rispetto a quelle in cui lettori vivono normalmente (un’avventura pericolosa ambientata sotto casa crea solo paura nel giovane lettore e non gli dà la sensazione di qualcosa di mitico da affrontare con la sicurezza di uscirne vincitore) dando alla narrazione quel tanto di esotismo che permetterà al fruitore di sognare e di pensare: “Queste sono cose che capitano lontano da me; la mia realtà è tranquilla.
Se andate con la memoria ai successi che (lasciando da parte i grandi risultati dei romanzi di Emilio Salgari o di Jules Verne o di Jean de La Hire o di quanti altri hanno creato narrativa avventurosa in forma di prosa…) il fumetto ha mietuto dal momento in cui la componente avventurosa è cominciata ad essere al centro delle strips o dei comic books (che inizialmente erano fondamentalmente di tipo comico) scoprirete che le ambientazioni sono “lontane”, esotiche o addirittura immaginarie; Gordon ha il suo pianeta Mongo con gli uomini alati e tante altre meraviglie, Phantom si ritrova nelle foreste del Bengala in un’Asia con forti componenti di fantasia; Jungle Jim agisce nel mondo delle foreste o della savana mischiando animali asiatici ed africani senza problema alcuno, Cino e Franco toccano le vette del loro successo quando, finito di essere giovani piloti, si stabiliscono nell’Africa misteriosa ed incontrano la Pattuglia dell’Avorio, il Ragno, la Regina Loana e simili, Mandrake vive in un mondo di principi e principesse e di esseri crudeli come Il Cobra… E non parliamo dei western, perché tale tipologia narrativa era già di per se stessa, pur in una apparente realtà, un “non luogo”, in cui era possibile qualsiasi avventura…

Certo qualche eccezione c’è stata: se pensiamo infatti a characters come o a Radiopatrol scopriamo che la narrazione piomba nel pieno del cuore metropolitano dell’America (che per noi lettori europei era comunque un luogo mitico e “da sogno”, lontano e pressoché irraggiungibile) e sentiamo che dietro questa scelta c’è un disegno di tipo didattico: personaggi come La pattuglia dei G-Men o Dan Dunn servono, dopo la caduta morale e sociale del 1929, a dare tranquillità al lettore, a dirgli che, se anche attorno ci sono i “mostri” (ricordate i lombrosiani “cattivi” che costellano le storie di Dick e che portano nel volto e nel fisico stampato il loro essere cattivi o i gangster, con cui si scontrano i G-Men), anche se la città è ricca di ombre che possono nascondere il pericolo, c’è però chi pensa a difenderli, a far sì che la vita possa scorrere tranquilla, anche quando le gang si affrontano a suon di raffiche di mitra nelle strade di New York. Le divise e i distintivi fanno da tranquillanti per una popolazione che ancora non ha digerito i grossi problemi causati dalla depressione e dal proibizionismo.
Però molti sentono, attenti a quello che scrivono i giornali, che parlano di collusioni tra chi dovrebbe difendere il territorio e chi lo vorrebbe saccheggiare, di corruzione, di polizia che prende tangenti, che la città, la metropoli con i suoi alti grattacieli, da luogo “magico” per viverci, può trasformarsi da un momento all’altro in un incubo e che la polizia non basta.

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Quindi a livello narrativo si comincia sentire la necessità di avere dei giustizieri che sappiano (solo, ahimè!, sulla carta o alla radio o al cinema…) intervenire là dove i tutori della legge non possono (non sanno o non vogliono) arrivare: ecco che si creano le basi per il e per tutti i suoi epigoni mascherati; l’invenzione di Finger e Kane è geniale: un eroe che mette paura a quelli che mettono paura alle persone normali nella metropoli! La sua mise da pipistrello, la sua abilità (non dimentichiamo che è uno dei pochi eroi a nascere senza superpoteri), l’uso della forza (oltre che dell’astuzia) ne fanno l’idolo dei lettori, che vedono in lui qualcuno che è (e sarà) in grado di intervenire laddove la legge fa cilecca.
Il suo successo e quello di tutta la sua corte (da Robin a Batwoman, da Batgirl a Batmito) generano altri giustizieri mascherati da Blue Beetle a The Shadow, da The fighting Yank a Black cat…; senza dimenticare le signore, come la bellissima Miss Fury, che sta per riapparire nelle fumetterie statunitensi in questi giorni, sempre con la sua tuta nera, attillata e sexy, pronta a dare la giusta “paga” al mare di delinquenti che la affronta. Queste eroine, che gestiscono la giustizia all’ombra dei grattacieli, hanno dalla loro parte anche l’elemento sexy, ognuna con le sue curve prorompenti, che nulla fanno vedere del corpo, ma che lasciano immaginare tanto.

Questi personaggi hanno una forte influenza sulla narrativa per immagini anche in Europa, per cui a partire dall’immediato dopoguerra è un susseguirsi di giustizieri nelle metropoli come il Fantax di P. Mouchotte o il Plutos di Gian Luigi Bonelli e Leone Cimpellin, che mettono in luce una curiosa tendenza; se serial come La pattuglia dei senza paura di G.L. Bonelli e Zamperoni sono costretti per la loro stessa natura narrativa a rimanere ancorati alla città, con i suoi grattacieli e i suoi gangster, piano piano nel corso dello scorrere degli episodi molti di questi giustizieri mascherati finiscono poi per agire in ambienti (foreste, paludi…) ancora più fantasiosi, ma che nulla hanno a che fare con le scelte iniziali legate al personaggio.

Ma il passare del tempo e il nascere di correnti cinematografiche più violente (ricordate Il giustiziere della notte con C. Bronson e la serie di film che seguirono? Oppure Cane di paglia di Peckinpah? O i poliziotteschi italiani dove alla giustizia si sostituiva una vendetta che poco aveva a che fare con il tutelare l’ordine?) porta piano piano all’apparire di giustizieri sempre più violenti.

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Il lavoro sul mondo dei supereroi effettuato dalla Marvel fa apparire almeno tre di questi superuomini che agiscono all’interno della metropoli e lì si muovono in maniera diversa: il primo è Spider-Man, che però stempera nell’ironia e in un racconto vivace, in cui egli non cerca mai né la vendetta, né la morte dell’avversario (pur avendo nel proprio background una serie di disgrazie incredibili che potrebbe farne un paladino della vendetta cruenta); egli osserva la metropoli (classica è la sua figura su di un cornicione che guarda la città sottostante e che è stata presa come modello infinite volte anche nel caso del più simpatico vendicatore nostrano, anche se di “matrice americana”, il delizioso Paperinik), ma non cerca lo scontro; il secondo è Devil, che utilizza le sue raffinate capacità sensoriali e le sue abilità ginniche nell’eterna lotta contro il male incarnato nell’obeso Kingpin; solo per poco egli è tentato, per difendere il proprio quartiere, di gettarsi dall’altra parte della barricata e di utilizzare la stessa violenza che usano i suoi nemici, ma poi egli ritorna a farsi… umano; il terzo, The Punisher,è il più violento, figlio diretto del personaggio incarnato da Charles Bronson nella saga del Giustiziere della notte, che non riesce a vivere se non per la vendetta; il suo uccidere per vendicarsi dell’assassinio della famiglia rasenta in maniera esplicita la violenza del fascismo e, nell’esagerazione delle situazioni, il ridicolo con la mostruosità di un personaggio che, in nome della giustizia, compie ogni nefandezza.

La metropoli ha bisogno oggi di un giustiziere? Forse quello di cui ha bisogno l’aveva individuato negli anni trenta il grande Zavattini, che in Zorro della metropoli di W. Molino raccontava la ribellione dei cittadini-lavoratori tenuti alla catena in un grattacielo-fabbrica dove il nostro Zorro agiva; non il ribellismo dei grillini, ma la costruzione di un avvenire insieme; così si dovrebbe intendere un giustiziere metropolitano oggi, sennò si finisce nelle drammatiche risse a suon di legnate che stanno dietro al bellissimo Kick ass di Millar e J. Romita jr.

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