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Superman sul grande (e talvolta sul piccolo) schermo – Parte 1

Creato il 22 gennaio 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
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Superman sul grande (e talvolta sul piccolo) schermo   Parte 1 Superman Phantom In Evidenza George Reeves Christopher Reeve

Superman sul grande (e talvolta sul piccolo) schermo   Parte 1 Superman Phantom In Evidenza George Reeves Christopher Reeve

Parte I – Dagli esordi a Christopher Reeve

Chi è Superman

Superman sul grande (e talvolta sul piccolo) schermo   Parte 1 Superman Phantom In Evidenza George Reeves Christopher Reeve Superman è un paradigma, una pietra miliare contro cui tutti i supereroi si sono dovuti confrontare. E paradossalmente, pur essendo stato il primo, è stato quello più potente sin dall’inizio. Mentre gli altri si sarebbero accontentati di uno o due super poteri, lui doveva averli tutti e subito. Inoltre, sin dall’inizio ha avuto un’aura messianica ad accompagnarlo: venuto dal cielo, capace di quelli che agli occhi umani sembrano miracoli, dotato di una morale impeccabile e di un’irresistibile spinta verso il Bene. Vi dice qualcosa? Vi richiama alla memoria qualcuno? Eppure, Superman è sempre stato il Messia del nulla. Non aveva, cioè, un vero messaggio da annunciare se non la sua sola presenza. In più, pur avendo poteri con i quali avrebbe potuto rivoltare il mondo come un guanto per farvi cessare ogni ingiustizia, non l’ha mai fatto, limitandosi ad azioni di basso profilo (salvare quell’aereo che precipita, arrestare quel bandito) prima di intrupparsi, uniformandosi a tutti i supereroi dopo di lui, nelle solite beghe tra super dotati che mettono sullo sfondo, come comparse, gli umani normali. Il fatto che i supereroi successivi avessero meno poteri è il segno che i loro autori qualcosa avevano imparato da Superman e cioè che il troppo stroppia. Se sei troppo forte, non c’è tensione, non c’è lotta. Questo è sempre stato il problema di Superman dopo le sbornie dei primi anni. Trovare difficoltà all’Uomo d’Acciaio, con risibili kryptoniti di tutti i colori o con impresentabili tipetti da altre dimensioni o, successivamente, con forzutoni che ce l’avevano più grosso. Al cinema, la cosa ha avuto i suoi riflessi, non sempre positivi.
Il primo eroe mascherato dei fumetti, cui anche Superman deve molto, è stato l’immarcescibile Phantom, l’Uomo Mascherato per intenderci, ma questi, come del resto il successivo Batman o in epoche ancora successive Devil, non aveva super poteri: era solo un tipo in gamba e molto allenato. Il costume, però, elemento identificativo imprescindibile, c’era tutto, come c’erano l’aura mistica e la leggenda. Da notare che, diversamente dagli altri super eroi che sarebbero venuti, in Superman c’è una sorta di inversione della funzione dell’identità segreta. Mentre Peter Parker è Peter Parker e poi diventa l’Uomo Ragno, Superman è Superman e Clark Kent è solo il modo in cui si occulta agli occhi del pubblico.  È Kent l’identità fittizia, non Superman. In questo era ancora più radicale Phantom, la cui versione “umana” è meramente residuale e quasi indefinita.

 In principio furono i cartoni animati

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Dopo i fumetti, naturalmente. Non mi dilungo solitamente sui cartoni animati, ma nel caso di Superman devo fare una breve eccezione perché la serie realizzata negli anni ’40 dai fratelli Fleischer (Betty Boop, Popeye e non dico altro) è non solo ottima e ricca di atmosfera, ma è anche il prototipo per i serial e i primi film che verranno; lì si crea l’immagine di Superman che a lungo dominerà sullo schermo. A partire dall’inizio, con la sigla reboante e inconfondibile che enumera le qualità di Superman: «Faster than a speeding bullett… more powerful than a locomotive» e via dicendo, riprendendo dal fumetto degli esordi caratteristiche che nel frattempo Superman aveva largamente superato. Si dice, infatti, che sia in grado di superare un edificio con un semplice balzo quando ormai è noto a tutti che il nostro sa addirittura volare. Tra noir, horror, espressionismo e Orson Welles, sono cartoni che non solo hanno fatto la storia, ma sono tuttora largamente godibili.

 Poi arrivano i serial

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Superman (1948) e Atom Man vs. Superman (1950) sono i primi tentativi di affrontare il personaggio di Superman con la live action. Come per parecchi altri personaggi del fumetto (da Gordon a Mandrake), il formato prescelto è quello del serial, vale a dire una serie collegata di brevi episodi da circa un quarto d’ora l’uno che venivano proiettati nelle sale sequenzialmente ogni settimana in appoggio al film principale. L’idea, che ha funzionato per parecchio tempo, era quella di agganciare il pubblico convincendolo ad andare al cinema ripetutamente per seguire le avventure dell’eroe di turno. Per rinforzare questo scopo, ogni episodio finiva con quello che era definito un cliffhanger, che vedeva cioè l’eroe o magari la sua fidanzata in grave pericolo. La parola sta, infatti, a definire qualcuno che è appeso nel vuoto su una scogliera a precipizio. Il regista è Spencer Gordon Bennett, specialista nei serial, e l’attore protagonista Kirk Alyn che veste un costumino di flanella tale da destare sicuramente l’invidia del capitano Kirk di Star Trek (lo Shatner dell’originaria serie tv, naturalmente). Gli effetti speciali sono modesti, ma molto ingegnosi: quando deve volare, infatti, Superman si trasforma in un cartone animato! Questo è un elemento da non mettere in secondo piano per la sua spavalda assurdità. Il personaggio che si trasforma in cartone è una consapevole resa all’impossibilità degli effetti speciali, una richiesta estrema alla sospensione dell’incredulità. Che poi le sequenze cartonate siano intervallate da primi piani del Superman in carne e ossa mentre vola con il vento a scompigliargli (molto poco) i capelli è qualcosa di ineffabile. Eppure, sotto certi aspetti funziona. Come funziona l’uso della voce fuori campo che ci spiega, per esempio, quando Superman usa la vista a raggi X (ce lo spiega perché naturalmente gli effetti speciali non ci fanno vedere niente al riguardo) o declama le frasi già del cartone animato («more powerful than a locomotive»…). In questo senso, il serial è una netta filiazione dei cartoni (oltre che delle avventure radiofoniche anch’esse di grande successo). E, del resto, c’è da ricordare che l’uso di cartoni animati in luogo degli effetti speciali sarebbe stato ripreso più volte in seguito: basti pensare a Il pianeta proibito (1956) con gli effetti di Joshua Meador della Disney e a Anno 2118: progetto X (1968) con quelli di Hanna & Barbera.
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Atom Man vs. Superman
gioca sulla suggestione atomica allora in gran voga e mette in campo Lex Luthor (Lyle Talbot), l’arcinemico di Superman, qui definito lo “scienziato rinnegato”. Luthor dà un ultimatum a Metropolis: o gli daranno una pacca di soldi o la distruggerà, a partire dal ponte sul fiume, tanto per far vedere che fa sul serio. Naturalmente, il Sindaco non paga e blinda il ponte. Perry White del Daily Planet sguinzaglia i suoi migliori reporter – Clark Kent, Lois Lane (Noel Neill) e Jimmy Olsen (Tommy Bond) – per coprire l’avvenimento. Luthor distrugge il ponte, ma Superman lo cattura facilmente. Stranamente, però, dopo la cattura di Luthor, si manifesta un’imponente ondata criminale. Inoltre, criminali catturati scompaiono come se fossero diventati improvvisamente invisibili. Luthor intanto è rilasciato in libertà condizionata dopo aver promesso al Governo un’importante invenzione e informazioni varie. Ma naturalmente c’è proprio lui dietro alla scomparsa dei criminali: Luthor è infatti in grado di scomparire e teletrasportare sé e altri. Inoltre, chiama il suo socio Atom Man per combattere Superman. Atom Man è un tizio con un mascherone metallico pieno di brillantini e c’è lui dietro la grande invenzione che, apprendiamo, scompone e riassembla a distanza gli atomi: in sostanza, appunto, il teletrasporto. Luthor investe nella televisione ed è attraverso i furgoni della sua stazione televisiva che il suo piano diabolico prende forma. Un bel problema per Superman, anche perché un meteorite da Krypton precipita nel deserto e fornisce a Luthor una bella scorta di kryptonite. Almeno in apparenza. Capitolo dopo capitolo, la lotta si dipana tra alti e bassi sino alla scoperta della vera identità di Atom Man.
Kirk Alyn (1910-1999) è un robusto bisteccone monoespressivo (anzi, ne ha due: con gli occhiali e senza), perfettamente aderente quindi al Superman fumettistico di quei tempi e del tutto adeguato al ruolo, anche per prestanza fisica. Curiosamente, fa un po’ di azione anche come Clark Kent, che qui non è il pusillanime alla Don Diego de la Vega che siamo stati abituati a vedere in altre situazioni. Noel Neill (1920) è una Lois Lane notevole per carisma e spigliatezza, non per nulla manterrà il ruolo a lungo. Tommy Bond è un Jimmy Olsen del tutto credibile come “comic relief”. Lyle Talbot (1902-1996), un duro dalla lunga carriera “culminata” nella sua collaborazione con Ed Wood, è un Luthor perfetto per cattiveria e pelata, proprio come quello dei fumetti.

 E la televisione

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La casa editrice di Superman pensa alla televisione come mezzo più appropriato per il personaggio. In fondo, la tv è considerata l’erede diretta dei serial, come i serial lo erano stati della radio. Perciò organizza un film a questo scopo, Superman and the Mole-Men (1951), per interessare qualche stazione televisiva. Kirk Alyn pretende troppo e viene rimpiazzato da George Reeves, mentre Phyllis Coates sostituisce Noel Neill come Lois Lane. La regia è affidata a un altro solido mestierante, Lee Sholem (1913-2000), noto agli appassionati della fantascienza per il robotico Tobor – Il re dei robot (1954).
I reporter Clark Kent (George Reeves) e Lois Lane (Phyllis Coates) arrivano nella piccola cittadina di Silsby, per “coprire” la perforazione petrolifera più profonda del mondo: quasi sino al centro della Terra, dice la preoccupata Lois. I due non tardano a scoprire che qualcosa sta andando storto. Infatti, degli ometti relativamente pelosi (ma con la sommità del cranio risplendente per una considerevole pelata) compiono atti di sabotaggio impedendo di fatto il prosieguo della perforazione. Sono gli uomini-talpa del titolo, il cui paese sotterraneo è disturbato dalla perforazione. Quando anche i locali scoprono gli uomini-talpa – che per giunta sono pure radioattivi – le cose precipitano. Superman, perciò, interviene.
Rispetto al serial, che doveva realizzare segmenti di suspense ogni fine capitolo, l’andamento è più tranquillo e la storia si prende il suo tempo per porre le premesse e seguire gli avvenimenti. Il problema principale è che la storia non è solo prevedibile, ma è addirittura sin troppo semplice. Qualche elemento di novità, rispetto allo spirito paranoico che si stava preannunciando, potrebbe forse trovarsi nell’atteggiamento buonista di Clark Kent, che spiega alla folla inferocita e desiderosa di farsi giustizia da sé come gli uomini-talpa siano solo degli estranei venuti dal profondo della Terra senza intenzione di far del male e impauriti quanto loro (i cittadini di Silsby, cioè). Lo stesso atteggiamento è naturalmente perpetuato da Superman che ferma uno dei più facinorosi rimproverandogli che con il suo modo di fare impedisce la comprensione tra i popoli. La folla è vista come la classica “lynch mob” alla ricerca di vittime designate tra i diversi e gli emarginati e contro questo deviato e maligno spirito della frontiera, Superman e il film prendono posizione in modo esplicito condannandolo senza reticenze. Ma sono piccoli dettagli che si inseriscono in una struttura narrativa fin troppo collaudata, mirata soprattutto all’avventura e all’utilizzo dei suoi stereotipi.
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Il nuovo Superman ricerca un maggiore realismo rinunciando ai cartoni animati per il volo e gli altri effetti speciali, ma non è che li sostituisca con qualcosa di credibile: semplicemente, Superman non è sostanzialmente più visto volare in modo convincente (1). Il personaggio continua a mantenersi su livelli semplicistici, senza profondità o spessore psicologico: è solo il simbolo dell’american way of life, proprio com’era il fumetto in quegli anni. In più, Superman è assai poco in scena e questo è un difetto non da poco in un film a lui dedicato, anche se si può capire il perché di questa reticenza, vista la difficoltà a gestire i suoi super poteri con i pochi mezzi forniti dal budget e dalla tecnologia dell’epoca. George Reeves (2) è probabilmente un attore migliore di Alyn, più espressivo e versatile. Lo dimostra dandoci un Clark Kent più interessante, più partecipe. Il suo Superman, invece, ha gli stessi difetti di quello di Alyn (costume flanellato, difficoltà di rendere evidenti i suoi poteri con gli effetti poco speciali). Phyllis Coates è una buona Lois Lane, che regge il confronto con Noel Neill. Jeff Corey (1914-2002) si fa notare nei panni del facinoroso Benson, cattivo molto di maniera, ma anche di sostanza. I nanetti talpa sono una minaccia assai poco minacciosa, ma tant’è.
Come auspicato dalla produzione, il tentativo sfocia nella realizzazione di una serie televisiva, Adventures of Superman, che dura sei stagioni, dal 1952 al 1958, ottenendo quindi un buon successo di pubblico. Superman/Clark Kent resta George Reeves, mentre Phyllis Coates mantiene il ruolo di Lois Lane solo per le prime due stagioni, lasciandolo poi alla rediviva Noel Neill che se lo riprende sino alla fine della serie. Phyllis Coates è una Lois più elegante e sofisticata, mentre Noel Neill è più vivace e spigliata, più reporter d’assalto, ma entrambe sono più che valide. Jack Larson è un Jimmy Olsen utile soprattutto come “comic relief” e sotto questo profilo funziona abbastanza.
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I titoli di testa riprendono le frasi reboanti già ricordate («Faster than a speeding bullett» e così via), come già i serial, tracciando una linea di continuità. Brevi e compatti, gli episodi si rifanno a situazioni tipiche affrontate in modo semplice, ponendo Superman di fronte a problemi per la cui soluzione è piuttosto sottoutilizzato. Rescue (stagione 1, episodio 9) è tipico in questo senso: un vecchio minatore si ostina a lavorare nella sua miniera dichiarata inagibile perché vuole trovare quella vena d’oro che l’ha sin qui eluso. La miniera crolla e il vecchio minatore rimane intrappolato. I soccorsi non possono raggiungerlo perché è troppo pericoloso. Perciò? Ecco pronto Superman che naturalmente risolve tutto facilmente entrando in azione solo negli ultimi tre minuti dopo aver lasciato il proscenio a Lois. Drums of Death (stagione 1, episodio 18) mantiene la semplicità della situazione, ma introduce l’elemento del voodoo per rinforzare la trama e aumentarne il tasso magico e, in senso molto lato, orrorifico. In una delle sue rare sortite al di fuori del suo ufficio, Perry White, direttore del Daily Planet e di solito perfettamente inserito come pertinenza della sua scrivania, accompagna Clark Kent in un viaggio ad Haiti: Perry si muove di persona perché vuole ritrovare sua sorella, che si dilettava a filmare le segrete cerimonie voodoo. Il sacerdote voodoo ha capacità ipnotiche e sembra uno che la sa lunga, ma l’intervento di Superman lo mette al suo posto senza difficoltà, rivelando anche la sua vera identità (a sorpresa). La caratteristica comune che emerge è quella di un coinvolgimento molto parziale di Superman, che funge da vero e proprio deus ex machina: prima si crea il problema, poi lo si tenta inutilmente di risolvere, infine arriva Superman. Conseguenza di ciò è che Reeves è molto più spesso nelle vesti di Kent che in quelle di Superman. Il volo di Superman non è più a cartoni animati, ma grazie a un largo utilizzo della retroproiezione, con effetti poco convincenti. The Clown Who Cried (stagione 2, episodio 16) utilizza il sempre affidabile scenario di un circo per fare da sfondo a una vicenda criminale: lo spiantato Crackers (Peter Brocco) sostituisce il clown Rollo (Billy Wayne) con l’intento di rubare il mezzo milione di dollari della raccolta benefica per i bambini (una sorta di Telethon) organizzata da Clark e Lois.
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La terza stagione non porta solo l’avvicendamento nel ruolo di Lois (3), ma anche l’avvento del colore che rende ancora più fumettistica la serie (4). Il resto rimane immutato. The Talking Clue (stagione 3, episodio 2) parte da uno spunto curioso: Ray, il figlio dell’ispettore Henderson (un personaggio ricorrente nella serie), ha l’hobby di registrare suoni di ogni tipo. Il suo papà ispettore, invece, sta cercando un pericoloso criminale, Muscles McGurk (Billy Nelson). Non sa che Ray è in rapporti d’affari con i gangster cui vende, per usi misteriosi, i suoi nastri. Superman risolve la situazione, come sempre, senza sforzo. Le stagioni si susseguono e lo show resta immutato e immutabile. The Mysterious Cube (stagione 6, episodio 4) parte da una premessa curiosa: se un uomo scompare per sette anni viene dichiarato legalmente morto e, come tale, non può essere arrestato. Perciò il super criminale Paul Barton (Bruce Wendell) se n’è rimasto dentro un edificio cubico di materiale impenetrabile per quasi sette anni (manca un giorno). La sua intenzione è uscirne alla scadenza libero come un fringuello. L’ispettore Henderson è comprensibilmente preoccupato. Riuscirà Superman a risolvere la situazione? Il cubo è impenetrabile alla sua supervista e resiste ai suoi assalti, ma un sistema si trova sempre. Anche perché con il passare del tempo Reeves si impadronisce sempre più del personaggio e ne traccia un ritratto decisamente accettabile, ricco di sfumature umoristiche. The Big Forget (stagione 6, episodio 7) gioca sulle situazione e sui personaggi: Lois e Jimmy sono punti sul vivo quando Perry White dice loro che non riuscirebbero ad arrivare in prima pagina senza l’aiuto di Superman. I due accettano la sfida e pensano di vincerla puntando le loro attenzioni su Mugsy Maples, un boss del crimine di Metropolis. Di mezzo c’è anche lo svitato professor Pepperwinkle (5) (Phil Tead) con una delle sue invenzioni strabilianti: uno spray che elimina la memoria dell’ultimo quarto d’ora. Ovviamente, cacciato dalla porta, Superman rientra dalla finestra e, senza che Lois e Jimmy se ne rendano conto, li aiuta in modo decisivo.
In questa serie tv, Superman lotta contro la piccola criminalità, risolve piccoli casi, non ci sono – in linea di massima – super cattivi: lo schema resta quello dei fumetti dei primi anni, senza la tonitruanza del supereroismo successivo. C’è una tenue gradevolezza nell’insieme: il clima di familiarità e positività che si respira rende la serie un passatempo piacevole per chi apprezzi il personaggio.

 Il ciclo di Christopher Reeve

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Tra serie animate e modesti tentativi di live action, come il film televisivo Superman (1975) di Jack Regas, tratto da un musical di Broadway, si arriva al momento in cui, per la prima volta, il personaggio gode di un approccio cinematografico in grande stile che lo porta in primo piano in pompa magna.
Il grande ritorno, anzi la prima vera partenza, si ha quando i produttori Ilya Salkind e Pierre Spengler montano un kolossal dedicato a lui, il re dei supereroi. Il budget è consistente e il cast imponente. Superman (1978), diretto da Richard Donner, ripercorre la storia di Superman dalle origini, compreso un prologo ambientato a Krypton, con la distruzione del pianeta invano prevista, con poco margine per la verità, dal saggio Jor-El (Marlon Brando), il babbo di quello che diventerà Superman e che per il momento si chiama Kal-El. Qualche breve siparietto sull’infanzia e la gioventù di Clark Kent (futuro Superman) a Smallville – idealizzazione della tipica cittadina della provincia americana – ci porta poi a regime con l’arrivo di Clark Kent (Christopher Reeve) al Daily Planet, giornale leader di Metropolis, anch’essa idealizzazione, ma della megalopoli americana.
Il tono scelto da Donner è quello epico-avventuroso con evidenti peccati di magniloquenza un po’ trombonesca nel prologo kryptoniano (di cui è curiosa la scenografia, che fa chiedere in che razza di case amassero vivere i kryptoniani) e di banalità nella rappresentazione bucolico-nostalgica dell’America rurale, con tanto di Glenn Ford – perfetto come sempre, peraltro – a fare da padre adottivo. Sono chiari i riferimenti o forse è meglio dire i paralleli mistico-religiosi che tracciano uno sfondo messianico per Superman (qui ancora appena accennato: sarà più evidente nei film degli anni duemila): Marlon Brando compare ogni tanto come padre “celeste” a dare consigli o a fare proclami, Superman carica su di sé i problemi della gente e così via. Per stare in linea con il tono prescelto, il film inizialmente è solenne e procede con ritmo ponderoso e lento. Le uniche concessioni all’umorismo sono le sottolineature
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dell’imbranataggine di Kent, voluta da Superman per evitare che il suo segreto venga scoperto. Un po’ come il Don Diego de la Vega di Zorro, Kent sembra il cugino moscio di Jerry Lewis per la goffaggine che dispiega ma, lungi dall’essere convincenti, questi siparietti sono quasi irritanti perché in fondo del tutto ingiustificati. Più sobria e accettabile, secondo logica, è la rappresentazione che di Kent faceva George Reeves nella serie televisiva dove Kent era semplicemente un uomo normale, come ci si aspetta che possa essere un giornalista del suo livello. Poi, con l’entrata in scena di Lex Luthor (Gene Hackman), le cose cambiano e diventano decisamente più lievi. Hackman interpreta il genio del crimine come se fosse una caricatura: a volte è divertente, ma non è mai minaccioso. L’aspetto più interessante è il numero di parrucche diverse che indossa per celare la calvizie. Inoltre, il suo assistente sciocco è ancor più caricaturale, nell’interpretazione di Ned Beatty, simpatica ma tutt’altro che sottile. Donner riesce comunque a tenere sufficientemente in equilibrio le varie anime del film, dando un buon risalto alla parabola caratteriale di Superman, con la sua entrata in gioco come tale e con le sue prime imprese. Solo che la sua forza immane, come si sarebbero presto accorti gli autori dei fumetti, è un ostacolo alla creazione di qualsiasi dubbio sull’esito della vicenda. Nei fumetti sarebbe stata una corsa a inventare problemi e kryptoniti di vario colore per temperare l’onnipotenza di Superman (6) e anche qui spunta fuori la kryptonite, ma in sostanza il piano di Luthor riesce a ravvivare solo gli ultimi venti minuti di film, quando il catastrofismo prende temporaneamente piede e Superman è costretto a far rientrare spettacolarmente la frattura della faglia di Sant’Andrea. Gli effetti speciali sono ottimi per l’epoca e resistono ancora facendo la loro bella figura. Come curiosità, si può notare che Kirk Alyn e Noel Neill compaiono in un brevissimo cameo.
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Il film riscuote un consistente successo (7) e apre la strada al seguito, girato back-to-back, con grande fiducia. Superman II (1980) è diretto da Richard Lester e, non casualmente, spinge il pedale sull’ironia, quando non addirittura sulla comicità vera e propria. Superman salva Parigi da un attentato terrorista, facendo esplodere nello spazio l’ordigno atomico preparato dai malviventi. Così facendo, però, libera dalla Zona Fantasma un trio di criminali kryptoniani: il generale Zod (Terence Stamp), la maligna Ursa (Sarah Douglas) e il forzuto Non (Jack O’Halloran). I tre si dirigono sulla Terra dove, essendo kryptoniani, acquisiscono automaticamente gli stessi poteri di Superman. Solo che Superman, nel frattempo, sgamato da Lois Lane, le si è dichiarato e, pur di poterla accompagnare nella sua vita terrestre, si è liberato di tutti i suoi poteri attraverso un apposito meccanismo utilmente preservato nella Fortezza della Solitudine. Come potrà affrontare i super criminali che nel frattempo hanno costretto il presidente degli Stati Uniti (un E.G. Marshall con un terribile parrucchino) letteralmente in ginocchio? Tranquilli, un metodo si trova sempre.
L’atteggiamento di Lester verso il materiale è bonariamente irriverente, molto nuovo da un lato (per l’ironia profusa a piene mani) e da comic-book vecchio stile dall’altro (per la semplicità e linearità della narrazione): distante, quindi, dalla magniloquenza del Superman di Donner. Com’è noto, questi aveva cominciato anche il secondo episodio, salvo poi andarsene per insanabili divergenze dopo aver, però, girato parecchio materiale; tanto che anche la sua versione ha poi trovato modo di uscire in DVD consentendo agli interessati di fare un confronto (8). Restando alla versione di Lester – autore brillantissimo e assai personale, capace di costruire due ottimi film per i Beatles (Tutti per uno e Aiuto!) e di realizzare commedie bizzarre e irriverenti (Mani sulla Luna e Non tutti ce l’hanno…) – non si può che apprezzarne l’inventiva visuale e la brillantezza delle trovate ironiche, ma chiaramente il film cede un po’ sul versante puramente avventuroso, risultando un tantino gonfiato nella durata. Lo scontro tra Superman e i tre criminali a Metropolis è depotenziato dal contorno apertamente comico, mentre il colpo di scena finale che permette all’Uomo di Acciaio di ottenere la vittoria è un po’ troppo facile. Nell’insieme, tuttavia, lo spettacolo regge. Christopher Reeve fa un Clark Kent sempre più imbranato, in grande contrasto con il Clark tutto sommato virile e deciso di George Reeves; Gene Hackman ricompare come Luthor in un ruolo di contorno in cui sostanzialmente si fa beffe del personaggio e Terence Stamp si gode il proscenio, ma il suo Zod è un cattivo programmatico e senza profondità.
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Se nel secondo episodio (9) Lester, subentrando in corsa a Donner, aveva potuto incidere solo in parte, in Superman III (1983) può dispiegare in pieno la sua personalità irriverente e irridente, dando al film un taglio ancora più spensierato e a tratti persino stralunato. L’inizio è da antologia della risata: una serie di concatenazioni casuali e sfortunate trasformano in una piccola catastrofe da puro slapstick una normale mattinata cittadina. è il segnale che siamo in un film comico, non in un epico melodramma. Se pensiamo a cosa sarebbe diventato il cinema supereroistico (e prima ancora il fumetto) negli anni successivi, se pensiamo alla cupezza spesso filodrammatica e ai malesseri esistenziali di questi omoni in calzamaglia, c’è da avere qualche motivo di rimpianto per un approccio così lieve e divertito al genere. Su questo, comunque, di certo lettori e spettatori delle saghe supereroistiche non saranno d’accordo con me, per cui andiamo avanti senza insistere.
La storia è molto semplice: Gus Gorman (Richard Pryor), un disoccupato spiantato e fannullone, si scopre imprevedibilmente genio dell’informatica e truffa con destrezza una discreta sommetta alla società in cui è stato assunto. Il boss della società, Ross Webster (Robert Vaughn), lo scopre ma si rende conto delle qualità di Gus e gli ordina di compiere malefatte informatiche per consentirgli di assumere il controllo del mercato del caffè e del petrolio. Ma Superman ci si mette di mezzo, così Webster, sempre tramite Gus, lo sottopone agli effetti di una kryptonite sintetica modificata facendolo diventare indifferente e malevolo, con tristi conseguenze per l’umanità.

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Anche i “cattivi” sono da burletta. Vaughn – attore dall’innata allure, protagonista di moltissimi film (uno su tutti: I magnifici sette) – è un affabile affarista tradito da un’avidità congenita e supportato da due sorelle caricaturali (una svampita, l’altra maligna), mentre Gus è interpretato con brillantezza da Richard Pryor – uno degli attori comici più significativi del suo periodo – e non è un vero e proprio cattivo, tanto che il suo ravvedimento operoso risulta cruciale per il trionfo di Superman. Le trovate comiche sono molte e spesso riuscite – alcune sono rimaste famose: su tutte, il raddrizzamento della Torre di Pisa – anche se uno dei momenti più interessanti del film è decisamente cupo e riguarda la comparsa della versione “cattiva” di Superman, culminando nello sdoppiamento con la sua residua parte buona (in versione Clark Kent), in una rappresentazione supereroistica del classico binomio Jekyll/Hyde.
L’unico, relativo, problema che si può riscontrare è quello della carente “drammaticità” dell’avventura dato che c’è ben poco di serio di cui preoccuparsi, sequenze del Superman incupito a parte. Per cui, essendo la durata del film consistente, c’è spazio per alcuni momenti vuoti, nei quali le battute languono e la struttura narrativa non sorregge l’attenzione. Nel complesso, però, lo spettacolone regge e il divertimento è assicurato. In questo film assume particolare risalto la versatilità di Christopher Reeve, che ha a che fare con situazioni più variegate e sfaccettate, dando prova di essere un buon attore. Di rilievo è anche l’introduzione di Lana Lang, personaggio classico di Smallville, che prende il posto di Lois Lane, strategicamente in vacanza per quasi tutto il film.
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The law of diminishing returns” (10), che colpisce quasi tutte le serie cinematografiche, consiglia ai produttori Salkind e Spengler di interrompere la saga. Troppo alto il rischio di andare sotto con un ulteriore episodio. Subentrano allora i maestri del disastro, Menahem Golan e Yoram Globus, che con la loro Cannon rilevano la franchise mettendo in cantiere il quarto episodio, Superman IV (1987). Lester viene sostituito con Sidney J. Furie, professionista buono per tutte le stagioni, e la storia (scritta anche da Christopher Reeve) ha una premessa interessante. Preoccupato per la corsa agli armamenti, un bambino scrive una letterina a Superman perché la fermi e garantisca quindi la pace nel mondo. Niente criminali di mezza tacca o super cattivi variopinti, perciò. Superman è chiamato a un compito che sarebbe in fondo quello naturale per uno come lui, che ha il potere di fare ciò che vuole, magari anche il bene dell’umanità, se gli gira. Colpito dalla lettera, Superman decide di intervenire e, con un discorso alle Nazioni Unite, comunica che libererà il mondo dalle armi nucleari. E qui cominciano le incongruenze. Come fare a eliminare le bombe atomiche? Superman si limita ad aspettare che le lancino (ma chi le ha mai lanciate? Erano chiaramente usate come deterrenti per spaventare) per catturarle in una grande rete e farle esplodere nel sole. Ma chiaramente la storia così non andrebbe da nessuna parte perché, a mezz’ora dall’inizio, sarebbe già finita. Ecco allora che torna in ballo Lex Luthor che si mette d’accordo con i trafficanti di bombe atomiche (ma quali sono? Non è che ci sia mai stato un fiorente commercio di armi nucleari! Non tanto quanto quello di armi convenzionali, comunque), preoccupati per il calo degli affari. Il piano di Luthor è di creare un altro super uomo partendo da un capello di Superman. Il procedimento prevede che l’intruglio genetico venga inserito in una bomba atomica lanciata e conseguentemente intercettata da Superman e poi da questi gettata come le altre nel sole. Detto fatto, ne nasce un super cattivo solare potentissimo che però al buio non funziona. Il resto del film è riempito dalla lotta del super tozzone grugnente contro Superman con esiti alterni ma per lo più soporiferi. Il super cattivo non ha alcun carisma e le incongruenze regnano sovrane: Mariel Hemingway, nei panni della figlia del mogul che ha acquisito il controllo del Daily Planet per farne un foglio scandalistico, viene catturata dal super bruto e portata nello spazio e ivi se ne sta tranquilla senza tuta da astronauta, incurante dell’assenza di atmosfera e del freddo cane, tanto per dirne una. Dell’umorismo degli episodi di Lester restano tracce insufficienti per divertire, ma certamente sufficienti per buttare tutto in vacca e privare la storia di qualsiasi tensione o credibilità. Gene Hackman è insopportabilmente gigione nei panni di Luthor, caricatura della sua caricatura. Insomma, c’è poco che si salva, se si tiene conto che anche gli effetti speciali sono decisamente diseguali e presentano momenti in cui sono approssimativi (11).
Superman sul grande (e talvolta sul piccolo) schermo   Parte 1 Superman Phantom In Evidenza George Reeves Christopher Reeve
In definitiva, a conclusione della serie, si può dire che il Superman in essa presentato è un riflesso adeguato di quello che il fumetto ha sin lì realizzato, pur se le differenze non mancano e l’afflato avventuroso ha più di ogni tanto lasciato il passo alla commedia, come nei fumetti era pure accaduto, ma non così spesso. Christopher Reeve è l’incarnazione ideale del personaggio nella sua versione superomistica, mentre forse come Clark Kent ha perseguito un ideale un po’ troppo caricaturale. Nell’insieme, però, è stato un interprete praticamente perfetto, uno dei punti di forza della serie. Una pietra di paragone su cui misurare i Superman passati e futuri, un attore molto amato, anche ma certamente non solo, per il destino sfortunato che ha dovuto affrontare e che alla fine l’ha piegato.
Dopo la fine della serie, Superman torna a essere oggetto di attenzioni televisive. Tralasciando le varie serie animate, è il caso di menzionare dapprima la serie televisiva Superboy: quattro stagioni (ma non pensate subito alla pizza) dal 1988 al 1992. Poi è la volta di Lois & Clark – Le nuove avventure di Superman, che tra i suoi motivi di interesse ha la presenza, nel ruolo di Lois, di una Teri Hatcher al top (e non è poco): anche questa quattro stagioni, dal 1993 al 1997. Poi ancora, Smallville, di nuovo dedicata al Superman giovane: ben 10 stagioni dal 2002 al 2011.

Fine prima parte

Note

  1. Per la verità, in un brevissimo momento, Sholem ricorre di nuovo ai cartoni animati, quando Superman deve prendere al volo uno degli uomini-talpa ferito da una fucilata del facinoroso di turno: è importante che Superman lo prenda prima che l’uomo-talpa cada nell’acqua del bacino idrico della città che altrimenti rimarrebbe contaminato dalle radiazioni. Naturalmente, Superman ci riesce [↩]
  2. (1912-1959): è il Superman più famoso tra quelli dell’epoca precedente Chistopher Reeve e fu identificato a lungo nel ruolo. Morto in circostanze misteriose: l’ipotesi è quella del suicidio, ma non tutti sono convinti. Sulla sua sorte è stato realizzato Hollywoodland (2005) di Allen Coulter, un film che romanza la sua vicenda. Tra gli interpreti, Ben Affleck nel ruolo di Reeves [↩]
  3. Con Noel Neill che mantiene l’acconciatura di Phyllis Coates rinunciando a quella, migliore, che aveva nei serial [↩]
  4. Gli episodi vennero però trasmessi in bianco e nero: solo in successive repliche negli anni ’60 il colore fu effettivamente visibile ai telespettatori [↩]
  5. un personaggio che compare in vari episodi della serie [↩]
  6. Non a caso, come già detto, i supereroi successivi sarebbero stati molto meno dotati nel comparto super poteri [↩]
  7. Oltre 300 milioni di dollari di incasso lordo mondiale a fronte di un budget di circa 55 milioni [↩]
  8. Un po’ come sarebbe successo, anni dopo, per il prequel de L’esorcista in doppia versione di Renny Harlin e Paul Schrader. Parte del girato di Donner compare anche nel film di Lester, comunque, mentre sembra escluso il contrario [↩]
  9. Il film ha successo, ma meno del precedente. Sono disponibili solo i dati relativi agli incassi statunitensi, che ammontano a oltre 108 milioni di dollari lordi a fronte di un budget di 54 milioni [↩]
  10. Gli incassi statunitensi, unici disponibili, scendono a 60 milioni di dollari (lordi) scarsi [↩]
  11. Il budget è infatti drammaticamente ridotto rispetto agli episodi precedenti e ammonta a soli 17 milioni di dollari. Gli incassi sono comunque ancora più bassi: il lordo statunitense supera di poco i 15 milioni di dollari [↩]
Speciale Superman: speciale 75° anniversario - leggi gli altri articoli:

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