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Supernova in collisione

Creato il 20 maggio 2015 da Media Inaf
supernovae

Simulazione dei detriti in espansione di una supenova (in rosso) mentre distrugge una stella vicina (in blu). Crediti: Daniel Kasen, Berkeley Lab/ UC Berkeley

Le supernovae di tipo Ia sono uno dei fenomeni più brillanti dell’Universo, e vengono prodotte quando piccole stelle dense chiamate nane bianche esplodono con feroce intensità. Alla loro massima luminosità, queste supernovae possono brillare più intensamente di un’intera galassia. Anche se sono state osservate migliaia di supernovae di questo tipo negli ultimi decenni, il processo attraverso il quale una nana bianca produce un tale bagliore è ancora poco chiaro.

Un po’ di chiarezza si è cominciata ad avere a partire dal 3 maggio 2014, quando un gruppo di astronomi del Caltech che lavorano ad un sistema di osservazione robotico denominato intermediate Palomar Transient Factory (iPTF, una collaborazione tra più istituti guidata da Shrinivas Kulkarni, Professore di Astronomia e Scienze Planetarie supportato dalla fondazione MacArthur e direttore dei Caltech Optical Observatories) hanno scoperto una supernova di tipo Ia identificata dalla sigla iPTF14atg nella galassia IC 831, a circa 300 milioni di anni luce di distanza da noi.

I dati raccolti dal team di iPTF supportano una delle due teorie in competizione circa l’origine delle supernovae Ia, e suggeriscono la possibilità che ci siano due distinte popolazioni di questo tipo di sorgenti. I dettagli sono descritti in un articolo che verrà pubblicato sulla rivista Nature nel numero del 21 maggio prossimo, con primo autore Yi Cao, dottorando presso il Caltech.

Le supernovae di tipo Ia sono note agli scienziati come “candele standard” poiché permettono di misurare le distanze cosmiche, in quanto ci sono buone ragioni di credere che abbiano tutte la stessa luminosità assoluta, e quindi a seconda di quanto appaiono deboli è possibile stimare la loro distanza. È come sapere che la stessa lampadina posta a un km di distanza appare 100 volte più debole se si trova a 100 metri di distanza da noi. Questa caratteristica è ciò che ha reso le supernovae Ia strumenti capaci di misurare l’aumento di espansione dell’Universo nel 1990, garantendo a tre scienziati il ​​Premio Nobel per la Fisica nel 2011.

Ci sono due teorie in competizione circa l’origine di questi oggetti, entrambe iniziano dallo stesso scenario: la nana bianca destinata ad esplodere fa parte di una coppia di stelle che orbitano attorno ad un comune centro di massa. L’interazione tra queste due stelle, dicono le teorie, è responsabile dell’innesco dell’esplosione di supernova. Qual è la natura di questa interazione? Su questo punto le teorie divergono.

Secondo una teoria, il cosiddetto modello “doppio degenere“, la compagna della nana bianca prossima all’esplosione è un’altra nana bianca, e l’esplosione della supernova si innesca quando i due oggetti si fondono uno nell’altro.

Nella seconda teoria, il modello “singolo degenere“, la seconda stella è simile al Sole o una gigante rossa. In questo modello la forza di gravità della nana bianca attira a sé il materiale della seconda stella. Questo processo aumenta la temperatura e la pressione nel centro della nana bianca fino ad innescare una reazione di tipo runaway, un caso particolare di feedback positivo durante il quale il sistema si sposta in modo critico dalla condizione di equilibrio, e può terminare in un’esplosione.

Rappresentazione artistica dell'innesco di una supernova di tipo Ia secondo il modello

Rappresentazione artistica dell’innesco di una supernova di tipo Ia secondo il modello “singolo degenere”. Crediti: NASA/CXC/M Weiss

La difficoltà nel determinare quale modello sia quello corretto deriva dal fatto che queste supernovae sono molto rare (si verificano circa una volta ogni qualche secolo nella nostra galassia) e che le stelle progenitrici sono molto deboli prima che avvengano le esplosioni.

È qui che entra in gioco l’iPTF. Dalla cima del Monte Palomar nel sud della California, dove si trova il Samuel Oschin Telescope da 1.22 metri, la camera completamente automatizzata osserva nella banda ottica circa 1.000 gradi quadrati di cielo ogni notte (circa 1/20 del cielo visibile sopra l’orizzonte) alla ricerca di sorgenti transienti, ovvero la cui luminosità cambia su scale temporali che vanno da ore a giorni. Tra queste sorgenti ci sono anche le supernovae di tipo Ia.

Il 3 maggio dello scorso anno l’iPTF ha raccolto immagini della galassia nota con il nome di IC 831 e ha poi trasmesso i dati perché i computer del National Energy Research Scientific Computing Center li analizzassero con un algoritmo di apprendimento automatico in grado di distinguere tra oggetti celesti e artefatti digitali. Siccome questa prima analisi è stata effettuata quando era notte negli Stati Uniti e pieno giorno in Europa, i collaboratori europei e israeliani del progetto sono stati i primi a vagliare i risultati in cerca di segnali intriganti. Dopo aver individuato una possibile supernova (un segnale che non era visibile nelle immagini scattate la sera precedente) i team hanno allertato i loro colleghi statunitensi, tra cui Yi Cao, dottorando del Caltech e membro dell’IPTF.

Cao e i suoi colleghi hanno quindi mobilitato i telescopi terrestri e spaziali, incluso il satellite Swift della NASA, che ospita a bordo un telescopio a raggi ultravioletti (UV), perché dessero un’occhiata più da vicino della giovane supernova.
«I miei colleghi ed io abbiamo trascorso molte notti insonni a progettare un sistema per la ricerca di emissione ultravioletta da giovani supernovae Ia», spiega Cao. «Come potete immaginare, mi sono entusiasmato moltissimo quando ho visto per la prima volta un punto luminoso nella posizione in cui si trovava la supernova. Sapevo che poteva trattarsi di quello che speravamo di trovare».

La radiazione UV ha un’energia maggiore della luce visibile, per cui è particolarmente adatta all’osservazione di oggetti molto caldi come le supernovae, sebbene tali osservazioni siano possibili solo dallo spazio, dal momento che l’atmosfera assorbe quasi tutta la luce ultravioletta proveniente dall’Universo. Il telescopio a bordo di Swift ha misurato un bagliore di radiazione UV che è inizialmente diminuito, e che poi è tornato ad aumentare mentre la supernova si accendeva. Dal momento che un impulso di questo tipo ha una breve durata, può essere trascurato da indagini che osservano il cielo meno frequentemente di quanto non faccia l’iPTF.

Questo tipo di bagliore ultravioletto è coerente con uno scenario in cui il materiale espulso da un’esplosione di supernova impatta contro la stella compagna generando un’onda d’urto che accende il materiale circostante. In altre parole, i dati sono in accordo con il modello “singolo degenere”.

Nel 2010 Daniel Kasen, professore associato di Astronomia e Fisica presso l’Università di Berkeley e il Lawrence Berkeley National Laboratory, attraverso calcoli teorici e simulazioni ha previsto l’emissione di un impulso simile proveniente da collisioni tra supernovae e stelle compagne. «Dopo la mia previsione un sacco di gente ha cercato di catturare quel segnale», dice Kasen. «Questa è la prima volta che qualcuno l’ha effettivamente visto. Con questa osservazione si apre un nuovo modo di studiare le origini delle stelle che esplodono».

Secondo Kulkarni la scoperta «fornisce la prova diretta dell’esistenza di una stella compagna in una supernova di tipo Ia, e dimostra che almeno alcuni tipi di queste supernovae provengono da uno scenario singolo degenere».

Anche se i dati della supernova iPTF14atg supportano il modello che prevede un unico oggetto degenere, altre supernovae di tipo Ia potrebbero derivare da sistemi doppio degeneri. Ad esempio, le osservazioni del 2011 di SN2011fe, un’altra supernova di tipo Ia scoperta nella galassia M101 dalla PTF (il precursore della iPTF), sembravano escludere il modello singolo degenere per quella particolare supernova. Ciò significa che entrambe le teorie possono essere valide, dice Sterl Phinney, professore di Astrofisica Teorica al Caltech non coinvolto nella ricerca. «La notizia è che entrambi i modelli teorici sembrano essere giusti, e quindi esistono due tipi molto diversi di supernovae Ia».

«Gli ingredienti essenziali per svelare la compagna di questa nana bianca sono stati la scoperta del segnale dalla supernova giovane da parte dell’iPTF e il rapido puntamento del satellite Swift. Ora dobbiamo ripetere questo tipo di osservazioni molte volte per determinare quale sia la frazione di supernovae Ia che consolida i due diversi modelli», dice Mansi Kasliwal, membro del team iPTF che si trasferirà presso la facoltà di Astronomia del Caltech nel settembre 2015.

L’articolo su Nature è titolato: “Strong ultraviolet pulse from a newborn type Ia supernova”.

L’articolo di Kasen del 2010 “Seeing the Collision of a Supernova with its Companion Star”: http://arxiv.org/abs/0909.0275

Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli


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