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SUPERSTITI, ascoltando Michele Sovente

Creato il 15 agosto 2013 da Vivianascarinci

“questa struttura quadruplice del mio parlare ed esprimermi porta forte lo stigma materno”

“il sud oltre essere una realtà concreta, fisica, il risultato di una storia di soprusi di sopraffazione, è anche un luogo interiore, diventata un po’ l’immagine di tutti i sud del mondo e anche una specie di Macondo, un luogo mitico, dove il male rimanda sempre a qualcosa di favoloso oltre che una dannazione vissuta momento per momento sulla propria pelle”

“io dico, siamo tutti superstiti a una sciagura, un evento disastroso, a un lutto che momento per momento ci viene messo davanti agli occhi dai mass-media, soprattutto dalla televisione e quindi non siamo dei veri e propri esseri viventi, ma è come se facessimo parte di una catena che si è spezzata e che continuamente cerca di ricomporsi proprio perché la vita nella sua interezza non ci è più possibile viverla”… Cavalli: “E’ la tara continua di ciò che ci manca?” Sovente “Certo”.

“Come se il sonno fosse una distrazione e quindi perché si viva bisogna non essere schiavi del sogno, questa sorta di ipnosi universale in cui siamo un po’ caduti. E questo adesso pensandoci bene lo collego a un ribaltamento del surrealismo perché invece Breton diceva che il sogno era tutto, che era più il tempo in cui si sognava che quello in cui si viveva, e per lui il sogno era il nerbo centrale dell’esistere, invece secondo me oggi come oggi in cui il sogno è diventato una specie di gadget quasi, tanto è vero che questa parola è diventata una parola magica: realizza il tuo sogno, impara a sognare. Ma quale sogno? Ma sognare che? Quando poi si è tutti supersiti, il vero sogno sarebbe quello di vivere nella maniera più semplice e normale possibile.”

Ennio Cavalli intervista Michele Sovente Prima parte

Ennio Cavalli intervista Michele Sovente Seconda parte

Passano tumultuosamente le stagioni →file audio

Donna flegrea madre

Donna flegrea madre
di radici antiche, terra aperta
a voci d’acqua, a luci
sul punto sempre di nascondersi
in fenditure, in antri, mea
sunt mea suspiria tui et vulnera,
paura non avevi di parlare
con rovi e schegge, per la guerra
tu passata per la morte
dei genitori tuoi, di cinque
tuoi figli, di mio padre, da nodi
attraversata, da ripetuti sibili,
con paziente calcolo tutto conservavi
“non si può sapere cosa
il futuro ci riserva”, pensavi,
nulla buttavi, flegreo
deposito di segni tu e di memorie
con il fluttuante suono dentro
di nuove maree, non rughe
in viso avevi, curve le vertebre
dove le stagioni a una a una
si erano raccolte, ruit perpetuo
fluit dolor tui per mea silentia,
di te perdo e ritrovo
un’altra luna sotto il rovo.

Carbones in latino, in vernacolo, in italiano

Nato a Cappella, nei Campi Flegrei, nel 1948, docente all’Accademia di Belle arti di Napoli – dove ha insegnato Antropologia culturale finché le forze lo hanno retto prima della resa al male – Michele Sovente ha esordito nel 1978 con «L’uomo al naturale» (Vallecchi) cui sono seguite le raccolte «Contropar(ab)ola» (Vallecchi, 1981), «Per specula aenigmatis» (Garzanti, 1990), «Cumae» (Marsilio, 1998), «Carbones» (Garzanti, 2002), «Bradisismo» (Garzanti, 2008), «Superstiti» (San Marco dei Giustiniani, 2010). Numerosi i premi ottenuti: dal Viareggio al Morante fino al riconoscimento speciale del Premio Napoli nell’ottobre scorso. Muore dove è nato a Cappella, in provincia di Napoli il 25 marzo 2011.


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