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Superstizione e stregoneria in Africa

Creato il 11 settembre 2012 da Ilnazionale @ilNazionale
Superstizione e stregoneria in Africa

ragazzo albino emarginato in Africa

11 SETTEMBRE – Sans dieu, rien. Una scritta che si trova spesso . Stampata sui tessuti delle donne, incisa sulla vernice delle bancarelle. Quasi un’anteprima e una continua conferma della spiritualità africana. Le preghiere quasi gridate e le messe danzate poi completano l’idea di un’ Africa molto religiosa .

Ma è una religiosità tutta speciale, cristiana o musulmana che sia, intrisa di suggestioni animiste. E anche di superstizione. Accanto quindi al rispetto ossequioso che si ha per la foresta, per gli alberi, per l’acqua del fiume dove Dio si intrattiene con gli antenati, si trova, tra le mille altre contraddizioni dell’africa nera, anche e ancora la stregoneria, la sua pratica, la sua condanna e l’orrore delle sue conseguenze.

Manuèl è una sua conseguenza. Da quando la madre è morta improvvisamente, infatti, è stato accusato dal padre e dai nonni di averle gettato il malocchio e di averne causato la morte. I segni delle coltellate che porta sulla testa sono testimonianza della violenza folle che vuole uccidere lo stregone. Anche se ha solo sette anni.

È riuscito a sfuggire all’odio del papà venendo ospitato in un piccolo orfanotrofio. Ma quando i parenti hanno scoperto il suo rifugio, è stato trasferito in un’ altra struttura, nascosta tra gli alberi nella foresta, dove ora cerca di vivere una vita da bambino. Questo per non rischiare che lo uccidessero e per salvaguardare la sicurezza degli altri bambini.

Ma il mondo delle credenze, della paura, sceglie spesso come sue vittime anche le donne. Sessanta tra ragazze e madri sono da anni rinchiuse nella prigione della capitale con la precisa accusa di essere streghe. Le loro storie sono tutte piuttosto simili. Sorprese a intrecciare qualcosa che non era un cesto, a fare qualche azione insolita, a parlare da sole, o semplicemente colpevoli di abitare vicino alla casa dove era accaduta una disgrazia, scattava immediato e impietoso per loro il meccanismo delle dicerie, dei pettegolezzi sussurrati , degli sguardi. Fino a quando le voci diventavano denunce e arrivava l’arresto da parte della gendarmerie. Quest’ultima le portava via, totalmente incurante di mettere in prigione donne che, oltre a “streghe”, erano anche e soprattutto madri di cinque figli piccoli, e le uniche fonti di un qualche reddito nella povera economia domestica con la vendita della frutta al mercato. Erano insomma l’Africa che si rimbocca le maniche mentre i suoi uomini sono lontani o, peggio, ubriachi da qualche parte.

Ma tante e altre sono le facce di questa Africa superstiziosa. Ci sono i pigmei della foresta centrafricana e i loro perizomi indossati appositamente per tenere lontani i demoni, le loro sopracciglia tagliate che incontrano sia una funzione estetica tutta loro che un’esigenza apotropaica, le righe scure disegnate sui  lineamenti forti per proteggersi dagli spiriti. E gli alberi, sparsi qua e là, scorticati dalle mani degli sciamani che ne usano le cortecce per la loro medicina.

Superstizione e stregoneria in Africa

Meno visibili, perché nascosti dalla disperazione delle baracche ci sono anche gli orrori privati delle credenze magiche . Conoscono bene queste situazione   i medici che si trovano spesso ad assistere le vittime  di  violenze incomprensibili. Come  la miseria ignorante di una nonna che strappa l’ugola alla nipote per fare uscire dal suo corpicino il demone che la fa urlare. O la pazzia maldestra di un padre che picchia sulla testa il figlio con un bastone per eliminare gli spiriti che da giorni gli infestano la testolina con pesanti emicranie.

Ma non si può però ridurre l’immensità della spiritualità africana a questi rivoltanti e disperati manifesti, che sconvolgono troppo per essere solo catalogati come sbagliati. Si deve guardare anche ad altro. Ad esempio, al dolore meraviglioso che accompagna la morte di un caro. Il suono dei bonghi che continua tutte le notti, i lamenti cadenzati, le teste rapate delle donne per il lutto, il pianto di un villaggio intero; perché la morte di uno, qui, è la morte di tutti.
Miryam Scandola


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