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“Survivor” – Chuck Palahniuk

Creato il 10 aprile 2014 da Temperamente

phpThumb_generated_thumbnailjpgSono ancora in uno stato semiconfusionale, non so quello che è successo nel tragitto tra il letto e la stazione, riconosco solo la sensazione d’oppressione tipica del lunedì mattina. Fortunatamente, però,  le stelle, i pianeti, Stephen Hawking e l’associazione degli astrologi capitanati da Paolo Fox hanno tutti deciso che oggi un posto sul treno spetta a me. Riesco così a spiaccicarmi sulla mia isola felice, i miei 50 centimetri di spazio vitale, ed estraggo finalmente “Survivor” di Chuck Palahniuk dallo zaino.

Mi ritrovo subito in caduta libera sul Volo 2039 in compagnia di Tender Branson, impegnato a raccontare la sua storia alla scatola nera del Boeing 747-400, mi sento spacciata almeno quanto lui, ma ascolto quello che ha da dire, cercando di dimenticare che i motori presto andranno a fuoco.  E’ l’ultimo sopravvissuto della Chiesa Creedish, setta di fanatici religiosi, allevati per diventare servi della stirpe umana, spaventati dai piaceri della vita, in attesa del comando divino assoluto: l’ordine supremo di suicidarsi.

Costretto a vivere in un mondo alienato e alienante, Tender è il servo di famiglie disgregate, con le quali parla solo attraverso il telefono; ha il compito di curare l’aspetto della casa, di pulire le macchie di sangue sparse qui e lì e di lavare via lo sporco incrostato dalle coscienze e dalle piastrelle del bagno, servo di una società succube dell’apparire.  Quando si ritrova ad essere l’ultimo Creedish vivente, diventa  egli stesso leader mediatico e profeta di futilità, scrittore di libri bestsellers e conduttore di programmi televisivi. Ed è proprio all’apice del successo che avrà bisogno di qualcuno che lo tiri fuori da questa situazione, qualcuno che lo aiuti finalmente ad abbandonare le costrizioni mentali retaggio della sua infanzia.

Anche in questo romanzo il cinismo di Palahniuk sferza un colpo che è difficile da somatizzare. Di sottofondo alla storia c’è una critica spietata alla società americana e a quella occidentale in genere, ed è difficile ritenersi sopravvissuti quando si arriva a leggere l’ultima pagina.

Sono ancora spiaccicata nei miei 50 centimetri di spazio vitale e leggo di gente rinchiusa in ruoli sociali, di imposizioni religiose e di omologazione dell’aspetto e delle idee ed il problema è che mi sembra tutto così reale. Ma qui, sul treno delle 18:13, siamo tutti troppo stanchi per pensarci.

Ludovica Cerini

Chuck Palahniuk, Survivor, trad. Monina M., Capogrossi G., Mondadori, 2003, pp. 289


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