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Suspense Tale... 1° classificato Andrea Mignogna

Creato il 18 ottobre 2011 da Tuttosuilibri @irenepecikar
Ed eccoci all'incontro con l'autore primo classificato del concorso "Suspense tale". L'indice di gradimento dell'incipit del suo racconto è stato molto elevato. Vediamo di conoscerlo meglio.  Lo ha intervistato per noi Maria Irene Cimmino. Suspense Tale... 1° classificato Andrea Mignogna
Intervista a cura di Maria Irene Cimmino
Benvenuto nel blog e complimenti, Andrea, per il tuo racconto che è stato il più votato dai lettori classificandosi al primo posto. Ci farebbe piacere che ti presentassi ai lettori:da dove vieni, quanti anni hai, di cosa ti occupi nella vita?
Prima di presentarmi vi porgo i miei saluti ringraziandovi per l’attenzione, e seguo col dirvi subito che ho 24 anni da raccontare, perciò spegnete i cellulari, sedetevi e trascurate gli impegni delle prossime 24 ore. Per quanto possa essere sintetico, penso ci voglia un’ora per ogni anno compiuto … immaginate che noia! Scherzi a parte, chiudo coi preamboli: mi chiamo Andrea come tanti altri Andrea nati in Calabria. Vivo nella bella città di Firenze da cinque anni, come tanti altri Andrea che abitano qui nel mio quartiere, lavorano vicino all’albergo dove faccio il cameriere, e ammattiscono per tirar su qualche soldino; che se Dio ce la manda buona faccio un terno secco al lotto e ce andiamo tutti a Honolulu! Nell’irrefrenabile succedersi delle giornate, mi riservo il tempo di strimpellare la chitarra (magari vi capitasse d’ascoltare un certo Vinicio Milano, non è il mio stuntman, sono io) e  scribacchiare qualcosa mentre cronometro gli intervalli tra una passeggiata e l’altra del mio cane. Sempre guardingo però, perché se tardo rischio di beccarlo a orinare sulla porta. Il resto è una comune vita da ragazzo, che invecchia presto per non morire giovane.
Cosa c’è dietro la scelta di scrivere questo genere di racconti?
Capita delle volte di voler scappare dalla monotonia della quotidianità, e ognuno rimedia nei modi più disparati: chi fa parapendio, chi scruta la polvere sulla moquette (sembrerà strano ma ho conosciuto persone a cui piace), chi s’ubriaca (ne conosco molte), chi spara ai piccioni (non ho avuto modo di conoscerne ma ne ho letto sui giornali), chi sputacchia dai palazzi sui passanti (fortunatamente ne conosco solo uno, ma giro sempre alla larga da casa sua), e chi, nel mio caso, si diverte a fantasticare su killer e commissari. “Almeno non si droga!” - dice mio padre. 
Qual è la tua fonte di ispirazione quando scrivi?
I volti della gente. Dietro ogni espressione c’è sempre una storia da raccontare.
A quale target di lettori ti rivolgi?
In un libro di Calvino, c’è la vicenda di uno scrittore che spia una donna sdraiata a leggere, in un terrazzino lì di fronte alla sua finestra. La immagina col suo racconto tra le mani, e come lei tante altre donne, uomini, giovani e adulti, vecchi. Così mi piacerebbe: arrivare alla gente che mi sta intorno (parenti e conoscenti a parte!).
Qual è la  difficoltà che incontra uno scrittore come te quando deve condensare in poche righe quello che altri fanno in centinaia di pagine?
Più che una difficoltà, è una mania. Ho l’ossessione della sintesi, forse per paura di risultare prolisso o per ansia, e tendo a concretizzare subito. Alla lunga diventa un difetto da rivedere.
Come riesci a far immediatamente entrare il lettore nell'atmosfera rarefatta e a volte un po' straniante del racconto? Un obiettivo che mi pongo, dopo aver mantenuto imprecisati i dettagli della storia, è quello di dargli un ritmo incalzante. Pochi elementi generici, una narrazione concisa e lo svolgimento rapido, in sequenza.
Come riesci con scarne parole e poche righe a far risaltare lo spessore psicologico dei personaggi, riuscendo a trovare a tutti una perfetta collocazione scenica all'interno della narrazione?
Ti ringrazio per la domanda che ha un che di complimento. I personaggi, ognuno con caratteristiche ben marcate, sono luoghi comuni che interagiscono fra loro. Magari non hanno bisogno di presentazioni e compaiono nel racconto in maniera autonoma, quasi convenzionalmente conoscessero le loro battute e i loro tempi. Pur non avendo prerogative, avrebbero comunque dato un’immagine propria.
Come si coniuga la stesura di una trama con il non detto, il non raccontato, il sospeso, appunto?
Hitchcok diceva che l’immaginazione sta sopra la logica. E tra logica e immaginazione, si nasconde un’idea contenente a sua volta tutte le astrazioni che la scrittura concretizza o cancella. E’ un concetto un po’ intricato …  
Pensi che questo filone possa avere degli sviluppi futuri o vorresti occuparti di un altro genere di narrativa, magari seguendo questa tua inclinazione?
Attualmente sono in fase sperimentale. Ho un’idea di tutt’altro tipo, ma data la mia incostanza nelle cose, non so se il futuro sarà giallo, rosa o nero. L’importante è che la penna scriva qualcosa di buono, e che non finisca l’inchiostro soprattutto!
Grazie per la tua disponibilità e per averci tenuto compagnia. Vuoi aggiungere qualcosa?
Volevo ringraziare prima voi, in secundis i miei familiari che hanno influito pesantemente sull’esito del concorso (se in tempo di elezioni avete bisogno di una mano, non ci sono problemi), e la mia dolce metà, per l’arrendevolezza con cui sostiene l’uomo più urticante del centro-nord Italia. Un augurio a tutti e alla prossima!
MerIdioNOir
1° Classificato … e un popolo interra scorie fra lo sterco.
Figlicidi, presto la prole si vendicherà. Un uomo solo. Una canna in mano e tanta irritabilità.
Hashish, fiamma.
Una boccata, fumo.
Squilla il telefono.
Capo, hanno rinvenuto un altro corpo.
Porca puttana, chiama più tardi.
Il commissario del distretto Luovi Est, Carmine Migliani,
riposava dopo settimane passate a inseguire un assassino
ignoto. Le vittime: tutte donne, aveva visto le foto e ne
aveva sempre elogiato gli attributi, sicuro che il numero
sarebbe aumentato se non avesse risolto la questione entro
breve.
Spero l’abbiate trovato qui vicino, perché non muovo il culo finché non
viene qualcuno a prendermi.
L’orologio contò i minuti, già la volante rimandava i fari sui
palazzi del quartiere. Pi-pi-pi, pi-pi-pi, vuoi svegliare mezzo mondo?
Sentì il clacson mentre il portone si spalancava, e aprì lo
sportello di guida facendo accomodare il collega affianco.
Stasera sclero gli disse. Subito una prima ruggente graffiò
l’asfalto di Corso Cavour.
Qualche chilometro avanti Parrotta aveva delimitato la scena
del crimine, a minchia, avrebbe detto il commissario, data la
distanza ridotta tra il cadavere e i curiosi.
Levatemi ‘sta gente dalle palle, entrò salutando, almeno i bambini!
E’ un omicidio, mica un film! Seppure indelicate, le sue parole
avevano valore etico a volontà.
Domò la collera appena gli occhi inquadrarono dei resti
umani dietro una pozza di sangue. La ragazza giaceva al
suolo, chissà con quale violenza era crepata. Secondo il
dottore è avvenuto prima lo stupro e in seguito la tortura;
l’identico procedimento degli altri casi: gambe, orecchie,
braccia amputate, capelli laceri.
Bella bega. Lo psicopatico ha puntato i pezzi da novanta.
I flash travolgevano Rossana Varradi, ovvero quel che ne
avanzava, il nuovo scoop luoviano. La moglie del primo
cittadino era l’esclusiva offerta alle testate giornalistiche.
La trascinò via una barella quando le alte cariche locali si
radunarono sul luogo, ognuno ansioso di ammanettare il
colpevole.
Con la quinta uccisione giunse in centrale la solita lettera
anonima - Air Balac, Mortui non mordent - e il recapito
indicava 1.000.000 M.P. 44 Roshanak. Zero impronte
riconducenti al mittente, perciò poco da fare.
Presumibilmente le sigle erano insensate come i vecchi
messaggi.
Antò, ti piacciono i rebus? Il commissario alzò le scartoffie dalla
scrivania consegnandole al vice ispettore Belviti, ma il
centralino ricevette una soffiata e il reparto intervenne.
Arrivò sera; nulla si era mosso intanto che il questore
assillava. Dovevano inventare una soluzione purché avessero
contenuto l’opinione pubblica. Glielo dico con gentilezza, dottore,
non rompa i coglioni, giù la cornetta. Dopo l’ennesima reazione,
Migliani vedeva il licenziamento sempre più certo. Si
riproponevano lunghi mesi di congedo forzato, la
degradazione, e proprio grazie a quello sfogo sarebbe stato
dispensato.
Apprensivo, copiò gli indizi su un taccuino e andò verso
casa per riguardarli in pace. Ora urgeva un bagno caldo, poi
uno spinello avrebbe allentato i nervi così da scorrere il
rapporto senza distrazioni.
Al fulgore di quaranta watt, un uomo solo rullava la sua
ossessione.
Hashish, fiamma.
Una boccata, fumo.
Cosa significava Air Balac, Mortui non mordent? Il detto
latino traduceva I morti non mordono, il resto letto al
contrario dava il nome del suo paese nativo, Calabria. O era
una casualità oppure era davvero lui il destinatario. Abitava
in Via Marco Polo 44, e la lettera riportava 1.000.000 M.P.
44 Roshanak. Il civico combaciava, la strada pure…
Coincidenze fortuite, salvo il quarantaquattresimo capitolo
del Milione che aveva reperito in rete. Parlava di Balac, una
grande città distrutta dai Tartari dove Alessandro Magno
sposò la figlia di Dario, e fonti storiche collocavano un
episodio analogo al 327 a.C., anno durante il quale il re
macedone prese per moglie una certa Rossane (Roshanak,
piccola stella splendente).
Dunque tutto tornava: Rossane, Rossana, l’ultima vittima;
Air Balac, l’aura di Balac, Calabria; il libro, il nesso. Restava
indecifrato soltanto il proverbio. Lo ripeteva
incessantemente affinché gli balenasse un’intuizione, i morti
non mordono, e il cellulare vibrò muto nell’aria.
Capo, ne ho due. Una buona e una cattiva. Il questore ti sta cercando.
Dai, Belviti, voglio la cattiva.
Hanno scoperto una scritta sui denti della vittima.
Ecco il senso.
L’acciaio della camera mortuaria irradiava le pupille di luce.
Dalle labbra esalava fetore, mostrava due incisivi macchiati
con una X e un 2, e il Commissario rivestì la salma
abbandonando il distretto prima che lo avessero sorpreso.
Tra un caffè e un altro sfogliava i suoi appunti nel bar
all’angolo, seduto dinanzi al simbolo X 2. Gran figlio di troia,
per 2 non aveva rilevanza, fosse anche un numero romano
l’avrebbe raffigurato come XII.
Sebbene il Milione citasse proprio una cavalcata di dodici
giorni da Balac, i passi successivi smentivano le
corrispondenze fino al sessantaseiesimo, in cui compare un
tale Preste Gianni. Lo stesso cognome del questore, lo
stesso nome della sua compagna, la signora Gianna.
44+12=66, capitolo più capitolo i fatti erano questi.
Pagò il conto dopodiché guidò alla volta della questura. Un
inferno improvviso, i secondi parvero un lampo. Urtò la
gradinata e scese.
Dentro l’agente Gualdi beveva un orzo fumante. Ciao Renzo,
mi serve il dottor Preste, non attese replica che vide il diretto
interessato venirgli incontro: Lei è un maleducato, lo insultò,
diventò furioso, ma fortunatamente trovò subito i termini
giusti per dimostrare la sua nuova ipotesi.
Sbrighiamoci! Sirene spiegate verso villa Preste. La squadra si
precipitò fuori città, Migliani invece seguì una scorciatoia
sterrata. Se avesse tardato o avuto torto, il fiasco l’avrebbe
svilito pari a piscio nelle mutande, consolato e mortificato
assieme.
Lungo la strada le ruote schizzavano pietrisco, sotto i fanali
tagliavano il buio contro gli alberi. Agitava lo sterzo col culo
dondolante il sedile e la beretta 92 batteva il cruscotto,
scandendo il tragitto fra sospetto e certezza. Prima; frizione;
seconda; frizione; terza, quarta, quinta. Vai, cazzo, muoviti!
Scorse un veicolo conosciuto e l’abitazione più avanti,
parcheggiò dietro le siepi e smontò. Perché Belviti fuggiva?
Impossibile. La cancellata schiudeva un sentiero di pedate
rosse che a ritroso conducevano in casa. Dalla finestra
socchiusa distinse il cadavere; accanto una pistola simile alla
sua.
Fottuto bastardo, ho capito il codice. Fissava l’iscrizione BN
V QU BN LATU e una freccia specificava l’uscita (exit),
perciò la chiave sarebbe stata BeNe Vixit QUi BeNe
LATUit. Ha vissuto bene colui il quale ha saputo stare ben nascosto,
figlio di madre insegnante, recepiva il latino come un
dialetto.
Quando arrivarono le unità, trattene il questore all’esterno e
dispose il sopralluogo. Sviscerarono l’edificio
immediatamente, raccolsero bossoli, indizi, e infine un
dettaglio. Commissario, Antonio? L’ispettore scuoteva la testa
incredulo.
Boh, penso sia per strada. Di’ a me Parrotta. Bisognava omettere
quel particolare finché la situazione non avesse fornito un
chiarimento.
Il suo distintivo era nella vagina della vittima. Persino la balistica
aveva identificato l’arma, e il parere comune fraintendeva la
dicitura Ha vissuto bene colui il quale ha saputo stare
ben nascosto con l’idea che il vice ispettore Belviti avesse
palesato il suo segreto.
BeNe Vixit QUi BeNe LATUit, riesaminava la scritta senza
fiducia eppure il risultato gli stava davanti. Una B, una e, una
L, una V, i, T, i. Cazzo c’entra! Fremette mentre il display del
telefonino segnalò un avviso. L’amico aveva chiamato poco
fa, adesso il bip continuo non dava risposta, così raggiunse
l’auto e percorse cinque isolati sino al suo appartamento.
Niente nemmeno lì.
Seconda stanza al primo piano, la centrale fu il traguardo.
Una sagoma appesa e un biglietto annerivano l’invetriata
della porta: Excusatio non petita, accusatio manifesta.
Guardò oscillare Belviti con un capestro attorno al collo.
Alcune riprove confermavano l’accusa, bastava ciò, poi se il
vero colpevole avesse avuto cervello, si sarebbe dileguato.
Dottor Lubisi, Belviti era innocente, nello studio del vice questore
vicario, Migliani esumava il caso.
L’atrio della questura, la piazza, la Luovi storica, mollò
l’ufficiale per il privato; con meno restrizioni avrebbe
portato a galla la verità.
Il vento dimenava un montgomery blu notte e gli stivali neri
cadenzavano la rabbia sulla ghiaia. Rumori attorno ai suoi
pensieri, mosche ronzanti in testa. Immaginò soltanto
adesso il collega impiccato e come una dissenteria sfogò il
pianto dentro casa.
Hashish, fiamma.
Una boccata, fumo.
Un uomo depresso rullava la sua prostrazione.
Whiskey, altre dieci dita nel bicchiere e cadde. Sognò i
faggeti dove trascorreva le vacanze antecedenti la perdita dei
suoi cari. Hanno inquinato le nostre campagne, la voce paterna
tuonava, e il suolo contava centinaia di scheletri. Tumori,
Carmine, continuò, è un massacro. Tra incubo e risveglio ne
discerse l’espressione, ma il torpore finì lesto e il
commissario allargò la bocca contro un foglio. Durante il
collasso l’assassino era entrato, lasciando un ulteriore avviso:
Nomina sunt consequentia rerum. Cfr. 51/66 - seguiva
una lista di persone. I nomi equivalgono alle cose. Cfr. 51/66.
Elenca i vedovi. Forse una cartella o un dossier.
L’acqua fredda gli ghiacciò il viso, dopo una lavata
sprofondò il naso in un asciugamano. Ingollò latte e via
verso l’archivio; dirimpetto i nastri bendavano l’ufficio di
Belviti.
Dalla cinquantunesima fila estrasse il fascicolo 66, che
imputava alcune autorità luoviane e un presunto boss
’ndranghetista, Nicola Valga. Eccetto l’ultimo, gli indagati
rappresentavano appieno i coniugi delle vittime. Avevano
taciuto l’accaduto, sennonché i documenti rimanevano
tuttora. AIR BalaC, 1.000.000 M.P. 9 - alla fine sorprese
una nota, fotocopiò le pagine e uscì. Si ricomincia, bisbigliava
stizzito. In biblioteca consultò il nono capitolo del Milione.
La parola Acri evocava un’omonima cittadina calabrese, la
prossima destinazione.
(Ore 11:30. L’aereo tocca Lamezia Terme).
Attraverso la hall rammentava la sua terra natale, circa
quaranta chilometri da Acri, sull’Aspromonte. Avrebbe
visitato volentieri il passato se ne avesse avuto l’occasione.
Trangugiò un macchiato e noleggiò una vettura.
Il mare circondava l’A3, autogrill neanche a pagarne, solo
catrame. Oltre il guardrail osservò cemento e mattoni,
masticava liquirizia sputando la corteccia fuori, e una sigla
alla radio soffocò la musica: le news locali divulgavano
l’assassinio della signora Valga.
Vaffanculo è morta. Picchiò i pugni sul volante mentre lo
speaker comunicava la notizia. Oramai il killer sarebbe
sparito, era prevedibile. Coinvolto Belviti, ha ucciso altrove,
cosicché nessuno rilevasse attinenze tra questa e le vicende
precedenti. Di malanimo Migliani riponeva ogni speranza in
un prosieguo, magari avrebbe ottenuto un segnale e stavolta
l’avrebbe condotto dritto alla fonte.
Imboccò l’uscita Montalto-Rose quando notò qualcuno che
lo pedinava. Curva a destra, il veicolo si accodava, sostò un
istante, accelerò e quello procedeva appresso. Ebbene
l’enigma aveva un volto. Nello specchietto retrovisore una
faccia familiare, quasi rivedeva se stesso trent’anni dopo.
Rallentò bruscamente e la macchina sorpassò a quattro
frecce lampeggianti, in attesa della sua partenza. Va bene,
andiamo. Lo scortò fino al bosco sognato il giorno scorso.
La piena del Trionto sfiorava gli argini, lisciava muschio e
pietre. Sparvieri sopra i pali elettrici, fusti avvolgevano il
passaggio; trapelavano raggi di luce dalle frasche. Annusò
l’aria e l’ombra ventilò l’abitacolo. Un flashback, il
medesimo luogo, la sua infanzia. Lo sconosciuto frenò
adagio, poi aprì la portiera. Calma, Mino, sono tuo padre. Quel
nomignolo destava un affetto dimenticato, ma non si
persuase, sfoderò la pistola e gliela puntò addosso.
Come è possibile? Ne ricordava ancora i funerali. La disgrazia
che lo aveva reso orfano accertava la scomparsa dei genitori.
Abbassa l’arma, ti spiego. Piovve la nebbia e velò lo stupore.
Non avvenne nessun incidente, Carmine, inscenai tutto altrimenti ci
avrebbero ammazzato.
20
Era il Maggio 1979 e la nave ASO avvelenò la costa ionica con
novecento tonnellate di solfato ammonico. Curavo l’indagine
personalmente. Valga e Varradi trasferivano i rifiuti tossici da Luovi
al sud. Preste invece ammansiva la magistratura.
Nonostante avessimo prove sufficienti per ingabbiare un intero esercito,
imposero il silenzio, o meglio mi minacciarono di morte. Allora
andammo lontano.
Quanto un cieco scrutante il sole, Migliani esternò il suo
incanto. Beretta china e spalle prone, ascoltò la rivelazione
estrema.
Nell’ottanta tua madre morì di cancro, e ho reagito, credimi, impunitas
semper ad deteriora invitat.
L’impunità invita sempre a delitti peggiori.
Rade le ginestre ingiallivano il verde. Sull’erba planava la
brezza d’aprile e risplendeva l’agave fra i rovi.
Li hai uccisi tu. Rialzò la mira strizzando le mascelle.
Sì.
Dal basso accrebbe un sentimento d’astio irrefrenabile.
Il commissario non concesse scusanti.
Tremarono le palpebre.
Bloccò il respiro.
Sparò.

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