Bentornati, cari confratelli, alla rubrica per i babbioni nostalgici che, come nel caso del sottoscritto, pur avendo di poco superato i trenta, rimpiangono, e non poco, la buona musica di una volta. Manco fossimo dei vecchietti catarrosi, noi ai quali scende una lacrima ad ogni allegro scoppiettio causato dalla gommalacca che veniva usata un tempo come supporto per l’ascolto della nostra amata musica e che sembra oggi essere tornata in auge: il glorioso disco in vinile. Selezionerò personalmente dal mio polveroso scaffale alcuni dischi o dischetti (mind the format!) che meritavano più considerazione e che sono passati inosservati (o quasi). Della serie “mica c’erano solo gli Iron Maiden e i Saxon”, oggi vi presentiamo alcune gemme nascoste della New Wave of British Heavy Metal:
Strana carriera, quella della band del West Yorkshire. Iniziata con due autentiche bombe quali il 7” 100 mph ma soprattuto l’album live (dallo stesso titolo), di cui scelgo di parlare qua. Carriera proseguita con i meno vivaci album successivi, che dimostrano come la dimensione live del combo fosse talmente perfetta che si rivelò infine impossibile da riprodurre in studio. I trascurabili The World’s Insane e Quo Vardis stanno là a testimoniarlo.
La performance qua è infuocata e travolgente. Undici pezzi registrati dal vivo che vi colpiranno dritti in faccia con una scarica di movimentato rock’n roll elettrico suonato appunto a 100 miglia orarie. Lasciatevi trasportare da pezzi come The Loser, con la sua accelerazione finale che non fa prigionieri. Oppure The Lion’s Share, vero classico della new wave che trascina come non mai.
“Guranteed no overdubs” dice il timbro sulla copertina. E, credetemi, la genuinità e la freschezza del loro sound vi conquisterà.
I Virtue sono uno di quei gruppi-culto che chi è stato addentro alla Nwobhm conoscerà sicuramente. Il loro suono risente di un arrivo sulle scene tardivo rispetto alle altre band che in terra d’Albione crescevano come funghi agli inizi della decade ottantiana.
La loro discografia è davvero striminzita, poiché non ebbero alcuna fortuna commerciale e non videro nemmeno la fine del decennio. Tuttavia questo 7” e’ da avere assolutamente. We Stand to Fight è veloce e potente come la tradizione heavy/speed della metà degli anni ottanta impone. Ma la qualità qua è di gran lunga sopra la media delle migliaia di band allora esistenti. Due pezzi: la già citata title track e High Treason, che avrebbero dovuto fare da apripista ad una carriera che, ahimé, finì quasi subito dopo un demo uscito nel 1987 e contenente altri tre pezzi. Tutto ciò è disponibile tuttavia in una compilation che racchiude tutto il loro repertorio e che è facilmente reperibile online. Ne consiglio l’acquisto senza riserve.
Alcuni di voi ricorderanno la seminale compilation Metal for Muthas. Quella dove c’erano pure gli Iron Maiden quando erano ancora teppaglia dell’East End londinese e i Praying Mantis con il loro pezzo migliore di sempre, quella Captured City che non riuscirono più a bissare per intensità e durezza.
Ebbene, oltre ai vari Angel Witch e Samson, tutta gente fondamentale per carità, colpiva un gruppo dal nome stano, ispirato ad uno sketch dei Monty Python. La band di Hull aveva uno dei pezzi migliori della compilazione: quella Fight Back che è anche contenuta nel loro primo, unico ed omonimo album, risalente al 1980. In quanto esponenti della primissima Nwobhm (il loro primo singolo risaleva al 1978), la band di Kingston-upon-Hull è fautrice di un suono ancora prevalentemente legato ai ’70, con un’ispirazione hard rockeggiante e un suono riconducibilissimo alla tradizione del “brit sound” cominciata negli anni ’60, seppure indurita notevolmente. Non a caso questa perla discografica inizia con una bella cover di Eleanor Rigby. Dategli un ascolto e non vene pentirete.
Ecco una band che fa letteralmente paura. Mettete su il loro primo demo o il secondo, o se preferite il singolo Eaten Alive, e provate a negare che fossero avanti coi tempi in termini di ruvidità e durezza del suono. I temi occulti poi non fanno altro che rafforzare la convinzione che all’epoca dovevano essere considerati davvero una band per pochi. Un po’ come i Venom, che pero’ godettero di maggior fortuna rispetto ai Demon Pact o ai cloni Warfare. Non preoccupatevi, se pensate che sia difficile trovare il loro materiale vi dico che i pezzi sono stati raccolti e sono tutti reperibili su vinile (grazie alla sempre attenta e solerte High Roller Records). Sentite bordate come l’omonima e frenetica Demon Pact e ditemi che non suona come il sottofondo di un brutale sacrificio umano. Hail Lucifer!
DARK STAR – s/tI Dark Star erano probabilmente, tra i gruppi di nicchia della nwobhm, quelli che piu’ si avvicinavano ad un suono made in Usa. Lasciamo perdere gli Heavy Pettin’, che deliberatamente forgiarono il loro sound per ottenere consensi oltreoceano, o i multiplatinati Def Leppard, che riuscirono nell’impresa di mandare a gambe all’aria anche le star del pop piu’ radio-friendly intorno alla metà degli anni ottanta, scalando tutte le classifiche possibili ed immaginabili.
Qua parliamo comunque di un hard rock/heavy metal che ancora odora di Britannia. Echi degli Uriah Heep sono perfettamente udibili nella stupenda ed epica Lady of Mars, vero e proprio cavallo di battaglia della band di Birmingham. Anche gli altri pezzi vi lasceranno divertiti e coinvolti, grazie a quel tipico feeling americano, appunto. Provare per credere.
La compilation Metal for Muthas ospitava anche una band proveniente dalla Svezia. L’eccezione che conferma la regola in questo caso è quella di una band così ancorata al suono britannico da sembrare più autenticamente british di band come i Dark Star, citati qua sopra.
Più o meno contemporanei ad un’altra gloriosa band svedese, gli Heavy Load, la EF Band proponeva un suono veloce e sbarazzino, influenzato sicuramente dal punk. La band si trasferì di fatto nel Regno Unito nel 1979 e partecipò alla compilation sopraccitata contribuendo con Fighting for Rock’n’Roll, pezzo non presente nel loro debutto, di cui si parla qua. Poco male, perché la loro formula è una: suonare veloce e far scapocciare e muovere il culo all’ascoltatore. La titl- track e pezzo d’apertura mette subito in chiaro le cose.
La freschezza e genuinità del loro suono andarono progressivamente scemando, passando per il buon Deep Cut fino a One Night Stand (1985), disco ancora positivo ma di certo non paragonabile a questo. Dopo il 1986 nulla più fu dei nostri eroi. (Piero Tola)