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Da “Senilità” a “Con gli occhi chiusi”
Italo Svevo pubblica Senilità nel 1898, ma solo negli anni ’30 del Novecento, dopo il successo della Coscienza di Zeno, il romanzo avrà una certa risonanza; ancor più sorprendenti sono dunque le corrispondenze con la più nota delle opere di Federigo Tozzi: Con gli occhi chiusi, scritta tra il 1908 e il 1914. La singolarità dei loro scritti è suggerita dalla necessità per entrambi di un celebre mentore affinché pubblico, critica e gli stessi editori ne comprendessero il valore: Joyce nel caso di Svevo, Pirandello per Tozzi.
In un’epoca in cui il Verismo dettava ancora i canoni letterari, ambedue sembrano volgersi all’introspezione e affrontare consapevolmente, e talvolta presagire, alcune delle scoperte della nascente psicoanalisi, dalla rimozione alle pulsioni dell’inconscio; non a caso, disseminano le proprie creazioni di tracce autobiografiche: Emilio, protagonista di Senilità, è insoddisfatto del proprio lavoro da impiegato, ma dall’attività letteraria non ha conseguito alcun riconoscimento, come Svevo; lo stesso accade a Pietro, alter ego di Tozzi, i cui interessi intellettuali sono ridimensionati dall’ostracismo del padre: “quei libri! Li avrebbe schiacciati con il calcagno! Vedendoglieli in mano, talvolta non poteva trattenersi e glieli sbatteva in faccia”. L’inquietudine e la frustrazione che li attanagliano trascendono però l’insuccesso in campo artistico, sono connaturati nel loro spirito:
“A trentacinque anni si trovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza.” (Italo Svevo, Senilità, RCS Editori)
“Cercava di superare le sue malinconie; ma non poteva dimenticarle quanto avrebbe voluto. Talvolta ne era distaccato di soprassalto; e allora gli veniva uno stato mentale confuso e torbido che pareva sempre per andarsene.” (Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi, Garzanti)
La realtà ostile viene allora rinnegata da una percezione distorta degli eventi, da un continuo autoilludersi che, quando diventa palese, finisce per esasperare lo sconcerto; così è anche per l’amore: Emilio in Angiolina, come Pietro in Ghìsola, coglie la determinazione e la spontaneità che a lui mancano e, temendole, ne sveste la donna per plasmarla a suo piacimento. Si illudono che Angiolina e Ghìsola possano diventare lo strumento del loro riscatto, dell’emancipazione, ma finiranno invece per rappresentare l’emblema della loro inettitudine…
“Ebbe il sentimento che da tanti anni non aveva provato, di comporre, di trarre dal proprio intimo idee e parole: un sollievo che dava a quel momento della sua vita non lieta, un aspetto strano, indimenticabile, di pausa, di pace. La donna vi entrava! Raggiante di gioventù e bellezza ella doveva illuminarla tutta facendogli dimenticare il triste passato di desiderio e di solitudine e promettendogli la gioia per l’avvenire ch’ella, certo, non avrebbe compromesso.” (Senilità)
“Ma la sua impazienza di rivedere Ghìsola aumentava; perché metteva in Ghìsola tutta la fiducia della sua vita.” (Con gli occhi chiusi)
Bisogna tuttavia rilevare che se Svevo dimostra una maggiore consapevolezza delle dinamiche psichiche, e indulge talvolta alle forme della prosa d’arte, Tozzi è invece più propenso all’indagine allucinata, alla sperimentazione strutturale della materia narrativa: franta e caratterizzata da periodi incompiuti; per lui la complessità della psiche sembra trascendere la stessa capacità descrittiva dell’autore, e dunque è costretta ad autorappresentarsi. Se Ettore Schmitz, vero nome di Italo Svevo, è affascinato dall’insondabile animo umano, Federigo Tozzi è soggiogato da tale mistero, ai limiti del disagio psicopatologico.Del loro disprezzo per la realtà e per l’amore si farà comunque beffa la vita, donandogli compagne pazienti e leali: la bellissima cugina Livia Veneziani sposerà lo scrittore triestino, Emma Palagi il senese Tozzi.
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