La politica dei poli di sviluppo tra limiti, successi e contraddizioni.
Stabilimento Ilva, Taranto
L’improvviso riaccendersi della questione meridionale non è casuale. Non in questo anno, mentre si celebra il centocinquantennale dell’unità d’Italia. La questione meridionale, infatti, esplode proprio dopo l’Unità, quando materializzatasi all’improvviso a causa degli inevitabili confronti con le altre aree del paese, irrompe nel dibattito politico come vera e propria emergenza nazionale. L’arretratezza del Sud Italia resta una ferita aperta, e l’infuriare delle polemiche che ultimamente s’impongono nel dibattito politico italiano non possono che tirare in causa la grande stagione d’investimenti avviata nel 1950 per risollevare le aree più depresse del Paese. Occasione mancata per alcuni, irrazionale pioggia d’investimenti per altri, miniera inesauribile di sprechi e corruzione per altri ancora. Ma anche inserimento del Meridione nei circuiti finanziari internazionali, rilancio economico dell’intera area e successo strategico i cui effetti sono tuttora visibili. Davanti a letture così lontane e diverse tra loro, è bene ripercorrere i momenti più significativi della grande stagione d’investimenti apertasi col primo intervento straordinario del 1950.
I governi post unitari hanno cercato ripetutamente di ridurre il divario tra Nord e Sud del Paese. Sotto il fascismo, in particolare, si registra l’ampliamento della rete stradale e autostradale, l’edificazione dell’acquedotto pugliese, il recupero delle terre paludose per l’agricoltura. Ma «non c’è nessun disegno globale, nessun intervento sistematico, nessuna cornice istituzionale che si occupi in continuità del Mezzogiorno»[1]. Dopo la seconda guerra mondiale le cose cambiano. Nel 1950 è istituita la Cassa del Mezzogiorno, un ente pubblico che si pone soprattutto l’obiettivo di risolvere le gravi criticità che da tempo attanagliano l’economia meridionale. Obbiettivi principali sono l’ampliamento dei servizi e delle infrastrutture civili, la creazione di un’imprenditorialità locale e lo spostamento di investimenti dal Nord al Sud del Paese[2].
Sempre del 1950 è la riforma agraria. Nelle intenzioni originarie avrebbe dovuto modernizzare le campagne meridionali, rilanciando la piccola proprietà contadina a scapito dei latifondi mal coltivati. Sono scelte di stampo preindustriale finalizzate soprattutto a potenziare il settore agricolo e gli insediamenti rurali[3]. Ma questi primi provvedimenti allargano soprattutto il settore terziario e della pubblica amministrazione, favorendo così i grandi gruppi industriali del Nord più pronti a cogliere i vantaggi del progressivo allargamento del mercato nazionale[4]. È questa constatazione, assieme agli assai deludenti risultati della riforma[5] a spingere verso una svolta industrialista[6].
La legge 634 del 1957 dà il via al “secondo tempo” dell’intervento straordinario al Sud. Questa linea strategica mira ad innescare la crescita industriale del Mezzogiorno spingendo le maggiori industrie pubbliche e private a localizzare importanti strutture in grandi centri urbani. Il legislatore ritiene che, insediando nell’Italia meridionale grandi industrie di base, si possa risolvere il problema della grave arretratezza meridionale[7]. Vengono al contempo stabiliti vari incentivi finanziari: agevolazioni creditizie, finanziamenti a tasso agevolato, contributi a fondo perduto[8]. Col dispositivo legislativo 634 le imprese a partecipazione statale hanno l’obbligo di localizzare nelle regioni meridionali il 60% dei loro nuovi investimenti, sino al raggiungimento del 40% di quelli totali[9]. Si vuole creare nell’intera area meridionale un meccanismo auto-propulsivo di sviluppo industriale[10].
Tra i risultati più significativi di questa stagione di interventi, sono da segnalare:
- l’insediamento del IV centro siderurgico della Finsider a Taranto;
- lo stabilimento Alfa Sud di Pomigliano;
- l’impianto del petrolchimico della Montecatini a Brindisi;
- la grande raffineria Saras localizzata da Angelo Moratti a Sarroch nel 1962;
- la meccanica pesante di Napoli e Bari[11].
Sui risultati di questa politica si è discusso a lungo: nel suo complesso ha riguardato soprattutto il settore siderurgico e petrolchimico, i quali richiedono un forte utilizzo di forniture dall’estero «disperdendo i potenziali effetti di genesi di indotto a monte»[12]. Alcuni poli, inoltre, hanno presentato grosse carenze strutturali nel progetto industriale[13]. È proprio lo scarso impatto sul territorio dei grandi complessi industriali a essere maggiormente sotto accusa. Il loro insediamento, infatti, «avrebbe stravolto la struttura dei salari e il costo della vita» e «il drenaggio di manodopera – in particolare qualificata – che una grande iniziativa industriale può generare in un’area a scarso sviluppo» avrebbe ridotto «le opportunità di genesi di una piccola imprenditorialità locale»[14]. Quindi le politiche di sviluppo avrebbero impedito la nascita di nuove aziende, sottraendo importanti capacità imprenditoriali locali e non riuscendo a promuovere e organizzare quella fitta rete di piccole industrie addette alla lavorazione dei pezzi ausiliari[15].
Alcune correnti interpretative hanno giudicato gli interventi straordinari per il Mezzogiorno, non solo inefficaci, ma anche controproducenti. Gli aiuti avrebbero «alimentato nel tempo un ambiente sfavorevole allo sviluppo economico autonomo e autosostenuto»[16]. Il maggior freno allo sviluppo meridionale starebbe nel suo stesso sistema politico e nei suoi meccanismi di funzionamento[17]. È così che si sarebbero verificati effetti perversi[18]. Il mondo politico meridionale “nonostante abbia favorito un incremento dei redditi, con la sua pervasività ha finito per scoraggiare la capacità imprenditoriale (economica), sia direttamente, ostacolando la formazione di valori, competenze tecniche e cultura tecnologica congruenti, sia indirettamente attraverso la concorrenza portata da attività politicamente protette o controllate dalla criminalità[19]. Le risorse giunte al Sud sono state gestite da una classe politica locale dotata di una scarsissima legittimazione[20]. Questo ha reso la politica meridionale fragile e instabile, spesso costretta a inseguire il proprio elettorato rispondendo a domande particolaristiche[21].
Se si analizzano le diverse realtà dell’Italia meridionale, si possono trarre considerazioni significative sulla politica di intervento pubblico. Nel corso degli anni ’80 le province abruzzesi e molisane hanno mostrato un rafforzamento della propria struttura industriale, formata da imprese piccole e medie con una connotazione spiccatamente manifatturiera[22]. Ciò grazie a una importante tradizione socio-economica legata al lavoro autonomo, contadino e artigiano[23]. Negli ultimi anni è però emersa una letteratura che rivaluta l’esperienza degli interventi straordinari a favore del Mezzogiorno[24], i quali hanno permesso la diffusione e il forte radicamento della grande azienda[25].
Molte aree dove si sono concentrati i maggiori investimenti tra il 1959 e il 1975 sono state oggetto nell’ultimo decennio di imponenti investimenti per modernizzare gli impianti e creare nuove capacità produttive nei comparti della siderurgia a ciclo integrale, dell’automotive e della petrolchimica[26]. Le politiche governative per il Mezzogiorno avrebbero così inserito il Sud in politiche di «sviluppo espansivo di respiro nazionale»[27].
Tra il 1996 e il 2006 inoltre si sono rilanciati «vasti agglomerati che per primi furono attrezzati nei poli più antichi, realizzati dai Consorzi Asi»[28]. Innegabile, infine, come gli investimenti nella siderurgia, chimica e petrolchimica degli anni ’60 abbiano mobilitato imprese meccaniche, di montaggi, di costruzione e di servizi[29]. Tali considerazioni non rispondono però al quesito sul perché l’importante redistribuzione di risorse[30], operata per via politica attraverso interventi ordinari e straordinari, pur incrementando il reddito non ha favorito l’autonomia economica dell’intera area meridionale. Il reddito industriale al Sud è aumentato ma il suo contributo alla produzione industriale del paese resta limitato e inferiore al peso della popolazione meridionale[31]. L’industria non si è sviluppata in tutte le aree del Meridione e dove è presente mostra segni di difficoltà e crisi. Come si è cercato di dimostrare, la stagione degli investimenti straordinari ha ricoperto un ruolo importante nella vita economica e politica italiana. E proprio a causa della sua importanza e complessità sarebbe bene evitare analisi univoche che spicciativamente liquidino l’esperienza con una nota d’infamia o di successo. Meglio un’analisi protesa a evidenziare limiti, successi e contraddizioni di una pagina che comunque ha lasciato larghe tracce sul nostro territorio.
[Bibliografia]
Note (↵ returns to text)- Cassano, 2009, p. 11.↵
- Castronovo, 2007, p. 295.↵
- Castronovo, 2007, p. 295.↵
- Castronovo, 2007, p. 295.↵
- «La riforma è vista da molti come anacronistica. La ridistribuzione delle terre si conclude con l’assegnazione di “poderi minuscoli”, mai superiori ai 6‐7 ettari, insufficienti anche per i bisogni famigliari», v. Castronovo, 2007, p. 295.↵
- La Democrazia Cristiana è così costretta a registrare il malcontento popolare alle amministrative del ’51 e del ’52 venendo relegata all’opposizione in grandi comuni meridionali come quelli di Napoli, Bari, Brindisi, Taranto e subendo un crollo percentualmente elevato alle politiche del ‘53. Anche sotto la pressione di questi eventi, probabilmente, la nuova guida democristiana, dopo il V congresso di Napoli (1954) nelle mani di Forlani, ha optato per indirizzare diversamente la crescita del Meridione↵
- È il modello dei poli di sviluppo che si rifà alle teorie dell’economista francese Francois Perroux, illustrate nel suo volume del ’54 “l’Europe sans rivages” sulla crescita sbilanciata e spazialmente selettiva, imperniata sul ruolo delle imprese motrici. (Pirro-Guarini, 2008, p. 318).↵
- Castronovo, 2007, p. 297.↵
- Pirro-Guarini, 2008, p. 319.↵
- Questa opzione strategica sarà confermata dalla legge 717 del 1965 di proroga dell’intervento straordinario sino al 1980, e dalle procedure della “contrattazione programmata” portate avanti dal Ministero del Bilancio e della programmazione economica nel gennaio del ’68 che porterà all’insediamento nel Meridione dei primi stabilimenti Fiat. Pirro-Guarini, 2008, p. 22.↵
- Pirro-Guarini, 2008, p. 319.↵
- Cattive localizzazioni, sottodimensionamento impianti, effetti distorsivi della politica di incentivi, sopravvalutazione della domanda, difetto della gestione finanziaria, debolezza o assenza di un indispensabile supporto della ricerca e sviluppo. Cfr. Elio Cerrito, 2010, p. 31.↵
- Elio Cerrito, 2010, p. 32.↵
- Elio Cerrito, 2010, p. 34.↵
- Nel sud «si è lasciato ad un ambiente spesso rurale e povero di tradizioni manifatturiere, il compito di approfittare della presenza di una capitale industriale calata dall’alto per avviare un processo generale di trasformazione», Bevilacqua, cit. in Elio Cerrito, 2010, p. 34.↵
- Carlo Trigilia, 1994, p. 75.↵
- Carlo Trigilia, 1994, p. 75.↵
- «Si riferiscono al verificarsi di conseguenze non desiderate o solo in parte desiderate dagli attori», Raymond Boudon, cit. in Carlo Trigilia, 1994, p. 75.↵
- Carlo Trigilia, 1994, p. 85 e si aggiunge «n questo modo non solo viene compromesso uno sviluppo endogeno, ma il contesto meridionale diventa meno attraente per le imprese di altre aree»↵
- Questa scarsa legittimazione politica viene fatta risalire agli ultimi decenni dell’800, quando saltano i vecchi equilibri sociali tradizionali alimentando tensioni e richieste di un maggiore intervento dello Stato. L’impossibilità di formulare risposte nazionali a problemi locali favorisce lo sviluppo di circuiti clientelari e reti mafiose. Cfr. Trigilia, 1994, p. 87.↵
- Nel Sud si è assistito a una classe dirigente «costretta a conquistarsi continuamente un consenso instabile e precario per la debolezza di valori di riferimento condivisi, in un contesto caratterizzato da forti domande particolaristiche. Da qui la nascita di interventi di tipo erogatorio e assistenziale», Carlo Trigilia, 1994, p. 174.↵
- Particolarmente interessante risulta il caso di Avellino.↵
- Carlo Trigilia, 1994, p. 145.↵
- Tenendo conto che «le imprese pubbliche e private␣pur con i limiti anche gravi che ne accompagnarono spesso l’attività nel ventennio ’60-’70 hanno da allora operato nel Sud per stabilizzarvi la presenza di attività manifatturiere in misura ben maggiore di quanto le sole forze imprenditoriali locali avrebbero potuto fare, contribuendo così in misura determinante a favorire il radicamento prima, e la diffusione poi, di una cultura industriale e manageriale che sul medio e lungo periodo ha finito col rappresentare una preziosa risorsa per lo sviluppo locale», cfr. Pirro-Guarini, 2008, p. 24.↵
- Elio Cerrito, 2010, p. 48.↵
- Pirro-Guarini, 2008, p. 321 e inoltre «il preesistente capitale rappresenta ancora oggi uno dei maggiori fattori d’investimento per la costruzione di nuovi stabilimenti».↵
- Pirro-Guarini, 2008, p. 320.↵
- I Consorzi ASI (ex SISRI) sono Enti Pubblici Economici per l’infrastrutturazione e la gestione di aree produttive (artigianali ed industriali) di particolare rilevanza regionale. Pirro-Guarini, 2008, p. 320. Tra gli altri i poli di Napoli-Pomigliano, Chieti-Vasto-San Salvo, Foggia-Incoronata, Bari-Modugno.↵
- Pirro-Guarini, 2010, p. 24, «una valutazione equilibrata sulla funzione positiva assolta nel Mezzogiorno, dai grandi stabilimenti dell’industria di base pubblica e privata, non valutandola nell’arco di un quindicennio ma almeno di mezzo secolo, dovrebbe concordare che dagli investimenti nella siderurgia chimica e petrolchimica degli anni ’60 … non fosse realistico attendersi almeno allora significativi effetti di alcun genere, al di là di quelli direttamente connessi alla realizzazione degli impianti».↵
- In realtà la spesa pubblica nel Sud non è stata superiore a quella del Centro Nord ma leggermente inferiore. Tuttavia lo Stato dal Sud ha incassato molto meno di quanto speso. La redistribuzione è avvenuta dal lato delle entrate in modo prevalentemente ordinario riguardando politiche sociali e spesa corrente di regioni e enti locali. L’intervento straordinario ha rappresentato una quota molto piccola della spesa pubblica. Carlo Trigilia, 1994, p. 172.↵
- Carlo Trigilia, 1994, p. 170.↵
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- A. Cassano (2009), Tre modi di vedere il Sud, il Mulino, Bologna.
- C. Castronovo (2007), L’Industria italiana dall’Ottocento a Oggi, Mondadori, Milano.
- E. Cerrito (2010), La politica dei poli di sviluppo nel Mezzogiorno. Elementi per una prospettiva storica, Quaderni di Storia Economica Banca d’Italia.
- F. Pirro e A. Guarini (2008), Grande Industria e Mezzogiorno 1996‐2007. Gruppi, settori e filiere trainanti fra declino dei sistemi produttivi locali e rilancio dei poli di sviluppo, Cacucci, Bari.
- C. Trigilia (1994), Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno, Mulino, Bologna.
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