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Sviluppo individuale: fattori genetici o influenza ambientale? 2° parte

Da Psychomer
by Cristina Rizzi on ottobre 24, 2012

Nella precedente parte abbiamo introdotto il ruolo della madre, che Winnicott chiama “sufficientemente buona” se coglie i bisogni del suo bambino, sia senza anticiparne il soddisfacimento del bisogno, affinché il bambino senta una mancanza, sia non ritardandone troppo l’accoglimento, affinché quella mancanza, quell’attesa, non si trasformi in una perdita. Quando un bambino piange la madre dovrà saper riconoscere il bisogno sotteso, saperlo contenere nella frustrazione e darvi soddisfazione.

Una madre sufficientemente buona va incontro al bisogno del suo bambino più e più volte e dà al bambino fin dalla nascita un ambiente che ha due caratteristiche fondamentali, che sono la stabilità e la continuità.

La madre mette la propria mente al servizio dei bisogni del bambino che non ha ancora un apparato mentale in grado di tollerare, affrontare l’esperienza attraverso l’uso del significato.

Lo stile materno di risposta ai bisogni è legato alla capacità di uscire gradualmente dalla fusione con il bambino e di dare una frustrazione minima che dovrà sempre accompagnarsi alla possibilità del bambino di tollerarla.

La madre “non sufficientemente buona” non è, invece, in grado di rendere effettiva l’onnipotenza del bambino, non è in grado di intuire i suoi bisogni e vi sostituisce i propri: il bambino viene indotto ad essere compiacente e condiscendente e anche se questo non esclude un forte legame affettivo, al piccolo mancherà lo spazio in cui vivere i suoi sentimenti e le sue sensazioni e svilupperà quegli atteggiamenti di cui la madre ha bisogno, ma che alla lunga gli impediranno di essere se stesso (Cramer, 2000).

Il bambino si adatta alle pressioni esterne, alla desiderabilità sociale, ai desideri altrui e impara simultaneamente a nascondere e negare i suoi bisogni, le sue pulsioni, che non possono formarsi né svilupparsi, perché non possono essere vissuti. Non potendo abbandonarsi a sentimenti propri e non avendone fatto esperienza, il bambino non conoscerà i suoi veri bisogni.

Si deduce che il genitore, sin dall’inizio, può entrare in relazione con il bambino in funzione delle proprie dinamiche di personalità, che comprendono proiezioni e difese, e queste, possono interagire con specifici pattern del bambino, determinando difficoltà o disturbi relazionali.

Bibliografia

BENES, F.M. (1994) Development of the corticolimic system. In: DAWSON, G., FISHER, K.W. Human Behavior and the Developing Brain. Guilford Press, New York.

PIAGET, J. (1967) Lo sviluppo mentale del bambino. Torino, Einaudi.

SIEGEL, D. J. (2001) La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Milano, Raffaello Cortina.

STERN, D.N. (1985) Il mondo interpersonale del bambino. Torino, Boringhieri.

WINNICOTT, D. (1949) L’intelletto e il suo rapporto con lo psiche-soma. In Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze, Edizioni Martinelli.

WINNICOTT, D. & BENCINI BARIATTI, A. (1965) Sviluppo affettivo e ambiente. Studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Roma, Armando Editore.


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