E' che non è tanto cosa è successo.Non è successo niente infatti.Sono più che altro le dinamiche dell'accaduto che mi hanno disturbata.Delusa e ferita, anche; diciamole tutte visto che ci siamo.Non mi piacciono le orecchie da mercante.Non mi piace che non mi si parli chiaramente.Non mi piace l'evasività, soprattutto se non necessaria, soprattutto se viene da una persona con cui c'è e dev'esserci un rapporto di fiducia.E non mi piace essere presa in giro.
Sono una persona disponibile, non stupida.
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C'era anche rabbia, in quell'implosione di disagio momentaneo.Rabbia.Era tanto che non mi succedeva, non è un sentimento comune per me, non di quel calibro per lo meno. Ed è un'altra cosa che non mi piace, provare rabbia. Suppongo (e voglio sperare) che non piaccia a nessuno, ma nel mio caso si tratta di un tipo di emozione con cui sono poco familiare.Emozione, non sentimento.In un libro di Gramellini lessi una frase che non sono più riuscita a scollarmi di dosso: "Gli avevo mostrato come distinguere il brusio mutevole delle emozioni dal linguaggio eterno dei sentimenti".
Com'è stupido che a scuola insistano tanto (inutilmente, per altro) nel ripeterti che, da grande, ti servirà ricordarti quali sono le stalattiti e quali le stalagmiti, cos'è la tettonica a zolle, il Pi Greco e la datazione al carbonio 14, e si dimentichino di insegnarti una cosa basilare come questa.Questa "sottile" differenza potrebbe cambiare le giornate di molte persone, la loro attitudine verso le cose, le loro stesse vite forse.
Se avessi una scatola di latta, ora prenderei quella rabbia, ce la chiuderei dentro e la seppellirei in giardino. Ma, come non esistono armadi abbastanza capienti per i rispettivi bagagli emotivi, non ci sono scatole nè metri di terra che tengano di fronte a qualunque cosa vada affrontata.Essere una persona che non coglie le occasioni, è un'altra cosa che non voglio essere.Non comprerò mai una batteria di pentole per ricevere in regalo una cyclette, un tv color e un elettrostimolatore, ma posso cogliere l'occasione per far fruttare questa rabbia.Imparare a chiedere la stessa chiarezza che do.Imparare che se qualcosa ti fa arrabbiare sul serio, hai il dovere morale di chiederti "come mai?", più in relazione a te stesso che a chi o cosa abbia scatenato questa rabbia. Ci sono situazioni in cui è facile trovare il bandolo della matassa, quelle in cui sia coinvolta la violenza o una palese discriminazione ai danni di una parte più debole.Ma per tutte quelle cose quotidiane che finiscono per dare sui nervi, comportamenti, frasi, atteggiamenti, risulta tutt'altro che facile.Ogni cosa andrebbe presa e guardata anche al rovescio, sempre, anche quando si crede di essere nel giusto.
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Nel caso specifico credo di essere nel giusto. Eppure so che le cose che ci accadono, i comportamenti che gli altri tengono con noi, il modo in cui decidono di agire nei nostri confronti, dicono qualcosa anche su di noi. Come so che molte delle cose che intepretiamo come un chiaro affronto nei nostri confronti, spesso non sono altro che la risultante di scelte personali di altre persone da cui siamo (o pensiamo di essere) toccati accidentalmente.Quanto egocentrismo c'è nell'arrabbiarsi pensando che qualcuno abbia fatto una determinata cosa con la deliberata intenzione di arrecarci un danno?Certo è che siamo tutti così vicini e interdipendenti, noi esseri umani. Come bastonici Shangai, ne tocchi uno, li tocchi tutti. E' inevitabile che qualunque cosa faccia o dica qualcuno a noi vicino vada ad impattare, da qualche parte, sulle nostre vite. Per questo è indispensabile non prenderla sul personale, e slegarsi dalla concezione che ognuno ha del mondo e delle cose che accadono in funzione del proprio essere. Cosa assolutamente non impossibile di per sè; a me riesce benissimo (modesta). A complicare il tutto però, ci si mette il fatto che siamo esseri pensanti, dotati di etica, coscienza e quant'altro renda un essere umano responsabile per le proprie scelte. Spesso le persone non prendono decisioni allo scopo di infliggerci un dispiacere, è vero; è vero anche che se tali decisioni riguardanti la propria vita inserita in un contesto di socialità (famiglia, lavoro, amici), non vengono prese tenendo in considerazione di avere un "debito" di onestà nei confronti di coloro i quali sarebbero toccati dalle nostre decisioni, a causare il danno non è tanto la scelta in sè, quanto la mancata considerazione dell'altro.Basterebbe essere chiari, perché la chiarezza è rispetto, onestà, e l'onestà in questa forma è la più alta prova di altruismo ideale, nonostante necessiti dell'egoismo per esprimersi.
Non credo di essermi spiegata; sembra che io suggerisca una sorta di rendicontazione necessaria verso gli altri prima di prendere alcuna decisione. Non sarebbe sensata, né percorribile come via. Intendo solo dire che se il 15 ottobre si sposa tuo cugino Mario, in fretta e furia perché ha ingravidato una ventenne al paesello, e tu sai che quel giorno hai una riunione a cui la tua presenza sarebbe ben più che gradita, invece di metterti in mutua per un paio di giorni il 14 ottobre e volare in terra natìa, perché non prendere due giorni di ferie, anche se il tuo capo non ne sarà felice? Il risultato sarebbe lo stesso, non andrai al lavoro, ti vestirai col vestito che hai messo al matrimonio di Claudio due anni prima, e il 15 ottobre sarai in chiesa, quarta fila sulla destra, tra zio Erminio e la sua gamba di legno e zia Lugia perennemente preceduta dal suo nausenate profumo di almeno un minuto e mezzo. Solo che nel primo caso avresti "barato" usando l'inflazionato colpo della strega, servendoti della cara vecchia previdenza sociale; nel secondo caso avresti espresso un bisogno in quel momento prioritario, assumendoti la responsabilità della tua assenza che, in ognuno dei due casi, sarà comunque reale.L'integrità è specchio dell'onestà, verso sè stessi prima che verso gli altri.
Sono passati due giorni dal non-accaduto. I tre paragrafi separati dagli asterischi sono stati scritti rispettivamente il giorno stesso, quello dopo e quello dopo ancora. E oggi la rabbia non c'è più. C'è qualche domanda appesa al filo a prendere aria insieme ai calzini spaiati, c'è un po' di amarezza e delusione. Ma c'è anche la volontà di non permettere agli accadimenti di contorno di spostarmi da dove voglio essere, da quella che sono. Prendo atto, prendo nota, aggiusto la strategia, e provo a cambiare atteggiamento. In fondo, non è così che dovremmo vivere le cose che succedono (il riflessivo "ci succedono" in questo momento mi sembra pure lui troppo egocentrico) come stimoli a cambiare, ad allargare le vedute; non sono spesso opportunità per scoprirci altri da quelli che già siamo?
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