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Tabu

Creato il 22 gennaio 2013 da Eraserhead
TabuIL PARADOSSO DI GOMES
L’assetto di Tabu (2012), in fondo, non si discosta poi troppo da quello di Aquele Querido Mês de Agosto (2008), e la natura comune non si rintraccia soltanto nell’evidente bipartizione che costituisce ambedue le opere, ma in un filo più unificante che va oltre la duplice suddivisione per posizionarsi, semplicemente, nelle aree/mondi che vengono riprese: la prima parte del film precedente utilizzava un canale documentaristico per fornire un quadro antropologico dell’entroterra portoghese, in qualche modo, anche se non esposto a chiare lettere, il tempo dell’ambientazione si avvertiva come quello dell’Adesso poiché catturato nel-momento-reale, in Tabu il capitolo Paradiso perduto è situato nel presente, narra il presente (sebbene tempestato da epifanie che si realizzeranno magnificamente nel capitolo successivo: le lacrime su Be My Baby, l’essere spettatori davanti a uno schermo, un amore abbozzato tra Pilar e il pittore) e proprio dal presente succhia le energie per riversarle nella porzione seguente. Il secondo blocco di Aquele… si apriva alla finzione librandosi in un’ordinaria storia d’amore impossibilitato a compiersi, Tabu ripercorre la stessa traccia: la parte di film che incomincia dopo il funerale di Aurora (esattamente come se fosse un altro film staccato dal primo… ma mai del tutto) ronza di nuovo intorno ad un legame sentimentale difficilmente praticabile.
Eppure perché Aquele… nonostante sia un lavoro intelligente votato alla sperimentazione non raggiunge i picchi su cui si assesta Tabu? Viene subito da rispondere che Gomes nella sua ultima fatica ha “banalmente” ricordato che il cinema possiede dentro di sé una forza mostruosa, quella di saper Raccontare. Il regista non si è fermato però ad un’esposizione letterale dei fatti, in Paradiso il Racconto fa rima con Ricordo, e da qui si diffonde una bruma sottile che si infiltra nei tessuti descrittivi, li inzuppa rendendoli magici e li emancipa dalla pesantezza dialogica (il mutismo sporco dal quale affiorano rumori lontani è il corrispettivo della dimensione mnemonica); costantemente in equilibrio tra tumulti del cuore (consueti sì, di rara verità altrettanto) e folate oniriche indomabili (la surrealtà della band in cui suona Ventura; il mostro catturato da Mario; il cuoco-stregone; la presenza del coccodrillo, recipiente di simboli e di significati) Tabu trova totale sublimazione nell’atto di rievocare: la reminescenza, che possiede un piacevole sapore markeriano, È il film, cartina tornasole di una nostalgia che si rende capace di essere vissuta, sentita, e che si fa accompagnare nel tragitto (verso il nostro occhio) da una cornice visiva impeccabile, un flusso di immagini decorate da una voglia di ricerca tradotta in una quantità di dettagli mai pedanti e sempre appaganti.
Ci sarebbe tanto altro da dire su Tabu, da riflettere, da esaltare, ma il sottoscritto si ferma qui afflitto da un timore riverenziale che forse soltanto un’ulteriore visione riuscirà a mitigare. E la speranza è che tale visione (così come si vocifera) possa avvenire in una sala cinematografica nostrana, con l’augurio che il pubblico italiano capisca il meraviglioso paradosso di Gomes: un film in bianco e nero, dal sapore retrò e con una spina dorsale melodrammatica già vista e udita è invece un film innovativo, evoluto, modernissimo. Anche questo è cinema. Anzi, questo è il cinema.Tabu

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