Magazine Per Lei
Erano gli anni in cui ogni sera di settimana era animata da una festa e il quartiere che poi divenne la chinatown per eccellenza era ancora popolato da italiani e pullulava di locali e negozi. Li una Ahia poco più che ventenne muoveva i primi passi nel mondo della moda e incantava col suo magnetico sguardo intere compagnie di persone che improvvisamente desideravano starle vicino. Uomini e donne indistintamente provavano per lei l'attrazione che le api hanno per il polline, e la sua casa divenne ben presto il centro di una folta compagnia di buontemponi. In questo modo lei si garantiva compagnia, incrementava la sua abilità sociale e otteneva una sorta di credito da diverse persone. Non c'era nessuno che non solo le negasse un favore ma che per ottenerne il favore non fosse disposto a provvedere a qualche suo bisogno. Non si trattava solo di opportunità né tantomeno per essere chiari di mercimonio, in quanto la ragazza non faceva alcun compromesso con i suoi principi morali per facilitarsi l'esistenza. Si trattava invece di un inspiegabile fascino fatto di una apparente debolezza che lei però considerava reale, e di una altrettanto istintiva prodigalità che le persone provano per coloro a cui vogliono piacere e che vedono piacere. In buona sostanza a quei tempi potersi dire “suoi amici” era qualcosa a cui aspirare. C'era un che di europeo ma anche di genuinamente agreste nel suo concetto di “cumpa”, di compagnia, una sorta di concetto della comune rivisitato in chiave precocemente fashionista. Si poteva trattare di una autentica capacità di garantirsi talenti tra i più disparati e la solerzia con cui questi potevano impiegarsi alla riuscita ora di una sua festa, ora di un progetto più ambizioso che la riguardasse. Lei sapeva farti sentire parte di un futuro luminoso e comune che leggevi nei suoi occhi brillanti e al quale mai avresti rinunciato a partecipare pur di vederla sorridere. In questo contesto il mio fidanzato si era garantito senza troppa fatica il suo affetto, e di conseguenza vicino com'era all'ape regina, anche quello di tutte le operaie. Succedeva quindi che mentre le persone comuni si accalcavano fuori dai locali nella speranza di farsi notare e riuscire ad entrare a quella data festa, a loro bastasse arrivare con tutta calma e una volta presente tutto lo “sciame” il buttafuori dall'occhio lungo, lo chiamasse per fare entrare “la gente che piace” ovviamente gratis! Lui visse con lei e con le altre il ruolo che io avrei vissuto più tardi, ma dal momento che le stesse persone vent'anni dopo non avrebbero più avuto vent'anni, quando toccò a me certi aspetti del rapporto non potevano essere semplificati dallo slancio dei bei tempi e del tempo stesso. La vita portò sia lui che lei in direzioni diverse, e con la fine degli anni novanta la “cumpa” aveva perso la propria consistenza e la sua ragione di essere. Lei aprì un negozio e.il mio fidanzato si fidanzò o smise di esserlo con qualcuno intanto che avviava la sua attività di parrucchiere anche lui “in proprio”. Erano diventati grandi. La incontrammo diversi anni dopo per caso ad un aperitivo e l'immutato fascino dell'ape regina ci trasformò nelle più operose operai del suo nuovo alveare. Si mi piacque subito, e complice la reazione di grande affetto che lei ebbe rivedendo il mio “nuovo” amore nonché suo “vecchio” amico, mi convinsi che rivederla sarebbe stato bellissimo! Lo fu tra l'altro, e lei mostrò per me una tenerezza che persino chi la conosceva bene raramente le aveva visto mostrare apertamente. Quel genere di vita non tornò mai più a Milano, e quelle ragazze così belle e inebriate dal senso di “ogni possibilità” pur essendo diventate belle donne cominciarono a fare i conti con quel meccanismo interiore fatto di aspirazioni e di delusioni tanto delicato da bastare un “ qualcosa” per romperlo. In un certo senso, loro vissero insieme l'innesco della propria vita, io invece, arrivai piuttosto al momento della detonazione o della cilecca di quel delicato meccanismo.
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