Nel mio cammino verso la comprensione dei delicati meccanismi che connettono le persone siano queste connessioni amorose amichevoli o semplicemente sociali, mi sono spesso sentito un autentico ramingo. In parte, ero convinto che la mia incapacità a comprendere come le persone si legano tra loro fosse dovuto alla natura contraddittoria del mio primo atto di connessione, cioè quello materno, che fu precocemente interrotto poco dopo la mia nascita e successivamente malamente surrogato da una madre adottiva (anch'essa bipolare). Era naturale che mi sentissi come una periferica "configurata" a metà, quindi cercai per anni le istruzioni mancanti affinché anche per me si verificasse quel meraviglioso miracolo chiamato "connessione emotiva con gli altri". Negli anni in cui questa connessione naturale mi era venuta a mancare imparai istintivamente a farne a meno, sviluppando un comportamento che osservato da fuori mi faceva sembrare un bambino proprio a modino: buono, silenzioso, e per niente aggressivo. Credo che il comportamento docile e silenzioso, il mio sguardo implorante che suscitava nei grandi il desiderio di amarmi come se fosse facile, mi avesse reso idoneo all'adozione, ma ciò avvenne per una qualche volontà di sopravvivenza che i miei geni operavano al di fuori della mia consapevolezza, e non già per una precoce "capacità sociale". Tant'è vero, che solo in tarda adolescenza cominciai a capire che era la mia storia personale, ormai nota a tutti, che rendeva gli adulti più accondiscendenti nei miei confronti e i piccoli più curiosi di scoprirmi. Niente a che vedere con qualche dono, o qualche "speciale" caratteristica sviluppata grazie alla mia dolorosa esperienza abandonica, come piace molto credere ai patiti del lieto fine, o ai romantici che hanno talmente paura del dolore da volerci vedere per forza un qualche miracoloso "achievement", nel caso si trovassero a soffrire come cani. La fautrice di questa grande menzogna secondo la quale sarei stato un bambino speciale, fu proprio la mia madre adottiva la quale era incensata da tutti per il "grande gesto d'amore" che aveva avuto nell'adottarmi, come se in fondo, non l'avesse fatto per sentirsi normale ma come se pienamente realizzata avesse un giorno ricevuto una qualche chiamata celeste, che le diceva di lasciare ogni cosa per salvarmi dal' oblìo, e che per tale convinzione finì infatti, per chiedermi di essere "speciale" in modo che la sua immagine di santità non venisse scalfitta. Purtroppo io ero un bambino come tanti altri ma con la metà delle certezze di diventare un adulto sano di mente o socialmente equilibrato, e tutta quella enfasi sul modo in cui ero diventato figlio, non fece altro che caricarmi di una responsabilità più adatta ad un piccolo Einstein che ad un bambino come me. Così da quell'impostura secondo la quale mia madre era una donna straordinaria e io un dolcissimo bambino silenzioso che un giorno avrebbe dato chissà quali soddisfazioni, si formò la figura di un ragazzo che non si sentiva mai abbastanza "riuscito" e di una madre che meritava più riconoscenza, e la mia "configurazione", a questo punto un pò forzata mandò in corto il mio sistema emozionale facendomi incazzare come una bestia e mettendomi in condizioni di sfiorare la crudeltà nell'infliggere a quella donna esattamente l'opposto di ciò che l'avrebbe resa fiera di sè come madre. Fortunatamente il lato oscuro della normalità, non ebbe il sopravvento su di me, sempre per quella programmazione che non so chi mi installò, che mi imponeva di vivere e di farlo a lungo, cosa che non prevedeva la deriva della mia persona verso la sociopatia grave o la condotta criminale. Comunque col tempo dovetti "settarmi" in modo da ottenere l'aiuto che mi serviva, dato che, avevo deciso di fare a meno della famiglia nel suo senso più stretto e banale, ma anche avevo scoperto il piacere di conoscere il mondo di persone che facilmente rimanevano attratte dal giovane che ero. Non fu facile, perché di suo la gioventù è già piuttosto crudele e indifferente con il prossimo, e nel mio caso questo fattore si univa alla erronea convinzione che i sentimenti che ferivo, non avrebbero ammazzato le persone che li provavano! Più tardi, dovetti fare pace anche col mondo femminile, e grazie a diversi fattori e persone, e ad alcuni scopi che volevo raggiungere, imparai a provare quell'empatia che credo essere l'esatta connessione di cui sopra e il cui delicato equilibrio crea la capacità di relazione e al tempo stesso la capacità di essere autosufficiente. Non potevo diventare, come lo era diventata la mia madre adottiva, una samaritana seriale nè mi andava di diventare un misantropo totale come tanti bambini ormai adulti con una storia come la mia sapevo essere diventati: io volevo essere un adulto, una brava persona forte, senza nient'altro di speciale che il saper stare sulle proprie gambe. Questa era per me la "configurazione" che il destino sembrava aver minacciato di togliermi ma che invece mi aveva proposto di raggiungere attraverso una strada diversa dal solito, e che non mi sarei fatto sfuggire! Oggi ho 43 anni e a parte qualche malware ogni tanto mi piace pensarmi come uno di quei server a torretta che di certo hanno più hardware del necessario, ma che ancora oggi si dimostrano molto affidabili. Questa è la premessa, come vi ho abituato assai prolissa, che vi spiegherà perché nel racconto che settimanalmente pubblicherò un capitolo alla volta, io abbia affrontato il tema dell'amicizia con le donne, e nella fattispecie con tre delle mie amiche, considerando i loro aspetti emotivi come parte di un meccanismo materiale simile a quello di un orologio, al fine di rendermeli più comprensibili, così come io mi sono meglio compreso pensandomi come un device che come una persona. Il tempo è un fattore che condiziona fortemente le nostre possibilità se crediamo, come la realtà materiale ci insegna di averne un quantitativo limitato per realizzare i nostri desideri, ma la mia esperienza mi ha anche insegnato che la qualità delle relazioni che non vanifichiamo nell'ottusa premura di essere o avere, ci consente di affrontare più dolcemente il suo scorrere verso lo zero. Le donne che vi racconto, camminano nel tempo che ci è comune al ritmo dei loro desideri e illusioni, ma lo fanno sui tacchi!