Una poesia inedita in Italia di Tadeusz Rózewicz, scomparso il 24 aprile scorso all'età di 92 anni, dedicata alla memoria di Czeslaw Milosz, nella traduzione dal polacco di Giovanna Tomassucci, che voglio qui ringraziare. Rózewicz era uno dei massimi esponenti della letteratura polacca del Novecento, autore di almeno due dozzine di raccolte di poesie, oltre ad opere di saggistica e di drammaturgia, e secondo le parole di Seamus Heaney "uno dei più grandi poeti europei del ventesimo secolo", tradotto in quasi cinquanta lingue diverse. Appartenente alla generazione poetica post-bellica, quella che ha dovuto affrontare la sfida di ritrovare le parole dopo l'immane tragedia che ha visto l'uccisione di sei milioni di polacchi (circa la metà dell'intera popolazione), Rózewicz forse più di altri ha contribuito a smentire la nota affermazione di Theodor Adorno secondo la quale "scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie" ("a casa un compito / mi attende: / creare poesia dopo Auschwitz", ribatte Rózewicz in alcuni suoi versi), attraverso un linguaggio rinnovato, diretto, condensato, poco metaforico che ha avuto una enorme influenza su tutta la produzione poetica polacca, Milosz compreso. Come ebbe a dire Wislawa Szymborska nel 1996, "non riesco neppure a immaginare che aspetto avrebbe avuto la poesia polacca postbellica senza i versi di Tadeusz Rózewicz. Tutti gli siamo debitori di qualcosa, anche se non tutti sono capaci di ammetterlo".
Una classica elegia, questa in memoria di Milosz, a cui l'autore si rivolge direttamente, come ad un antico compagno e collega con cui scambiava "dispute amiche" che ora la morte ha interrotto, una elegia sul ricordo e il rimpianto, ma anche su un ideale e non lontano ricongiungimento, con l'amico, alla terra e nella terra, non come un Orfeo denudato e ancora una volta sopravvissuto a cui il canto ("che né più rammento cosa sia") non può offrire ritorno, ma come una pala che scava quella stessa terra, al culmine di una vita che "come una talpa ora io meno".
Elegia. Pamięci Cz. M
.
za pięć dwunasta!
pytam siebie
kiedy napiszesz Elegię
o winie i chlebie
chciałem wykręcić się rymem
i odpowiedzieć „w niebie”
ale ze wstydu zapadłem się
w ziemię
od tego czasu żywot pędzę kreta
i nie pamiętam
co to śpiew
wino i kobieta
te czarne kopczyki
na zielonej łące
to jedyne pamiątki
po pracy bez końca
to moje pomniki
tęskniące do słońca
a co z nami?
co z naszymi sporami
przyjacielskimi
Ty zmarłeś więc nie pytasz
co ze mną? pewnie odrzucę starą
formę szatę
i z Orfeusza zmienię się
w łopatę
Elegia. In memoria di Cz. M.
all'ultimo minuto!
mi chiedo
la scriverai tu mai un' Elegia
sul pane e il vino?
ah cavarmela con una rima
ribattere "In cielo e così sia!"
invece per vergogna
fin sotto terra piombo giù e rovino
come talpa ora io meno la vita
né più rammento
cosa sia il canto
il vino e anche la donna
le nere montagnole
sui prati verdi
miei monumenti
nostalgici di sole
sono i soli ricordi
di un’opera infinita
e di noi che sarà?
e le nostre dispute
amiche?
sei morto tu non puoi più domandare
che ne è di me … io certo getterò le antiche
forme vesti
e non Orfeo sarò
ma pala per scavare.
traduzione dal polacco di Giovanna Tomassucci
Bibliografia italiana (poesia):
Colloquio con il principe, antologia a cura di Carlo Verdiani, Mondadori 1964
Il guanto rosso e altre poesie a cura di Pietro Marchesani, Scheiwiller 2003
Bassorilievo, a cura di Barbara Adamska Verdiani e con una premessa di Edoardo Sanguineti, Scheiwiller 2004
Le parole sgomente. Poesie 1947-2004, a cura di S. De Fanti, postfazione di M. Kneip, Metauro Edizioni 2007