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Margot (Michelle Williams) è una giovane scrittrice free lance, sposata da cinque anni con Lou (Seth Rogen, già apprezzato in 50e50 nei panni dell'amico di Joseph Gordon-Levitt), gigionissimo marito premuroso e giocherellone, specializzato in libri sulla cucina del pollo. Uno insomma che potrebbe stilarvi un intero menu di piatti a base di solo pollo, un po' come lo sfortunato soldato Buba di Forrest Gump, che snocciolava ad un impassibile Tom Hanks gli infiniti usi del gambero. Normale che, sotto l'apparenza di un matrimonio sereno, la bella Margot si senta soffocata dalla routine. Quand'ecco che un bel giorno incrocia Daniel (Luke Kirby), affascinante dirimpettaio, artista mancato che si guadagna da vivere scarrozzando gente sul suo risciò. Scatta l'attrazione, ma dall'orizzonte già incombe minacciosa una tempesta di sensi di colpa. Con somma ironia della sorte, scenario del primo incontro sarà la messinscena, farsesca, di un'umiliazione pubblica per adulterio. Presentato al Toronto Film Festival nel 2011 e uscito a giugno negli Usa, Take this waltz viene descritto dalla regista e sceneggiatrice Sarah Polley come una “storia sulla natura del desiderio”. Non esiste miglior definizione per un film che, al bieco frugare moralista nei meandri del classico triangolo amoroso, preferisce il tocco delicato di chi cerca di capire, e si accosta alle ragioni dell'uno e dell'altro personaggio con sensibilità e leggerezza. Che la Polley ci sapesse fare dietro la cinepresa già si era visto quattro anni fa con Away from her, suo primo lungometraggio e sorta di bella copia del drammone Le pagine della nostra vita (ne abbiamo già s-parlato su Delicatessen, ricordate?), con il quale condivideva il tema dell'amore messo a dura prova dall'avanzare della vecchiaia. Ma la giovane autrice, appena trentenne, può già considerarsi una veterana del grande schermo, lei che ha mosso i suoi primi passettini da baby-attrice prima nella scuderia sforna-stelline della Disney, poi sotto l'ala protettiva di sir Terry Gilliam nel suo Le avventure del barone di Munchausen. Eclettica (fa anche la cantante), appassionata di ambientazioni virate nelle nuances pastello e incline a rappresentare nei suoi film l'arte come chiave di lettura di sé e del rapporto uomo-donna, la Polley potrebbe benissimo essere parente di Miranda July. Quest'ultima nella parte della sorellastra insopportabile, e la talentuosa Sarah in quella della Cenerentola che, ci auguriamo, con quest'ultimo trascinante valzer si imporrà definitivamente come fulgida stella del firmamento indipendente. Rispetto all'eccentrica July, la promessa del cinema canadese ci risparmia, grazie Signore grazie!, il fardello intellettualistico da artista snob che, invece, appesantiva non poco Me and You and Everyone We Know. Rivelatrice del muto e doloroso percorso sentimentale di Margot è la fotografia, assolata e caleidoscopica, di Luc Montpellier: una radiosa malinconia. Il cinema degli ultimi anni trabocca di insoddisfazioni femminili, di quelle che ti risvegliano bruscamente dalla favola del “sì” finché morte non ci/li separi. Viene in mente Eyes wide shut e il suo splendido ossimoro inglese: alla lettera, il titolo vuol dire occhi aperti chiusi, ma sta a significare l'esatto opposto, occhi ben chiusi. Torna l'immagine di Alice (Nicole Kidman), che inforca gli occhialini tondi per vederci chiaro, mentre il marito Tom si crogiola in un susseguirsi di maschere carnevalesche. Non a caso, laddove la protagonista di Schnitzler era battezzata Albertine, Kubrick affibbia invece il nome dell'eroina di Lewis Carroll, che inseguiva il Bianconiglio fin nel paese delle meraviglie (le proprie meraviglie). Ennesima premonizione di un pioniere della settima arte, che all'affacciarsi del nuovo millennio, avvertiva: la volontà di indagare la propria identità, soprattutto sentimentale/sessuale, sarà femmina. Di lì a poco, sarebbero arrivate le donne di The Hourse Revolutionary Road. Persino il cinema italiano avrà le sue portabandiera, in film come Respiro e Giulia non esce la sera. Da ultima, ricordiamo proprio Michelle Williams, in Blue Valentine alle prese con un matrimonio in crisi.
Take this waltz si inserisce sulla scia di queste figure femminili capaci di decisioni sofferte ma risolute, che sanno elevarsi a motore della storia. E lo fa procedendo tra momenti autenticamente surreali e un sottotesto erotico che non manca di zampillare qua e là nei dialoghi (per altro curatissimi), facendo avvampare lo spettatore più smaliziato. Spassosa la scena della piscina, in cui Margot fa acquagym circondata da un pollaio di vecchiette starnazzanti, che come foche ammaestrate ripetono i gesti dell'istruttore, salvo poi disperdersi non appena la povera protagonista, in un attacco di ridarola insopprimibie, si lascerà sfuggire un fiotto bluastro di pipì. Un rincorrersi di metafore visive esprimono, con semplicità e senza che nessuno apra bocca, molto più di tante parole. Come meglio rendere fisica, tangibile, la fisarmonica emotiva che allontana e un attimo dopo riavvicina i due sposi alla deriva, se non con quel bacio schioccato attraverso un vetro, lei dentro casa con lo stereo acceso, lui nel terrazzo, all'aperto, circondato dal frinire delle cicale. Un piccolo contrappunto sonoro, che diventa simbolo di un'immensa dissonanza interiore. Tutto appare così facile e giusto, nella regia di questa cineasta. Come il mirabile dolly circolare attorno ad un altro bacio che, giravolta dopo giravolta, diventa sesso, poi amore, poi, ancora, abitudine. Perchè alla lunga anche il “nuovo diventa vecchio”, e un giro di giostra può interrompersi bruscamente sul più bello. Prendi questo valzer, canta Leonard Cohennel brano che dà il titolo al film. E noi già l'abbiamo capito, che presto la musica finirà e resteremo sulla giostra da soli. Allora, prendi questo valzer, lasciati trasportare e godine finché dura.
L'uscita italiana di Take This Waltz non è stata ancora fissata, incrociamo le dita!
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