TALE E QUALE SHOW di Carlo Conti – Sfenomenologia critica.

Creato il 04 ottobre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
di Rina Brundu. Sono anni, questi, in cui preferisco le serie televisive americane e ho quasi totalmente abolito la televisione in quanto strumento di intrattenimento. Qui a Dublino queste “serie” si comprano proprio in “serie”: una settimana la prima serie di questa produzione, la settimana successiva la seconda serie di quell’altra e via così autoprogrammandoci. Alcuni di questi lavori sono formidabili, di una qualità sceneggiaturale straordinaria; ci insegnano, per esempio, che a dispetto della morte della grande letteratura, il genio scritturale umano deve ancora esprimere le sue più grandiose possibilità e in questo particolare momento storico lo fa soprattutto in America. Senza scomodare il grandissmo Sorkin, sono davvero tanti gli autori statunitensi scritturati da Hollywood che tengono alta la bandiera creativa e impressionano in molti modi.

In questi giorni sto guardando il primo anno di “House of Cards”, la serie prodotta e interpretata da Kevin Spacey, basata sull’omonimo lavoro di Michael Dobbs. Spacey è ottimo mentre fa vivere il suo shakesperiano villain, Frank Underwood. Sorprende l’animo e lo spirito specialmente quando parla direttamente al pubblico, gli fa l’occhiolino, lo invita ad essere complice delle sue malefatte, commenta le tante debolezze e i pochi pregi dei tipi umani con i quali si confronta, insegna; machiavellianamente, certo, ma il valore didattico è indubbio. Un valore didattico digitale che va dovutamente compreso, specialmente con il pensiero rivolto a quel che sarà il futuro, il futuro delle generazioni che verranno, che per forza di cose sarà molto diverso dal nostro. Tale è la velocità di trasformazione della nostra esperienza quotidiana che un qualche scienziato ha finanche ipotizzato una sostanziale evoluzione dell’uomo nel breve: il cervello sarà più grande, vivremo fino a 120 anni, e via così evolvendo.

Poi a volte mi stanco della “concentrazione” necessaria per seguire questi plot dotati di archi multipli e spengo il dvd. Immediatamente si accende il satellite. È accaduto anche ieri notte e così, dopo le geniali avventure di Frank Underwood, sono stata mio malgrado catapultata nel fantastico mondo di Carlo Conti e del suo “Tale e Quale Show”, un programma che, da ciò che si legge, piace molto al pubblico. Non ho nulla da recriminare contro Conti ma è un presentatore che non amo, o almeno non mi racconta nulla, nulla che mi possa interessare. In tempi di vacche magre non mi stupisce che la sua “stella” sia decollata e possa presto presentare anche Sanremo: probabilmento costa meno dei presentatori VIP, rompe meno le balle a questo o a quell’altro direttore di Rete, non ha ambizioni politiche e, chissà!, forse per culo o forse per fortuna, non sa neppure distinguere tra Renzi e Bersani. O Renzi e Berlusconi. O Berlusconi e Alfano. O magari fa finta.

Tuttavia, per quanto mi riguarda il problema non è Conti. I problemi, almeno due, sono altri. Il primo problema è dato dal fatto che, come paese, sputtaniamo tutto il nostro amore per l’intrattenimento nazionalpopolare proprio scegliendo di guardare simili programmi. Nel caso di Tale e Quale Show mi spingerei finanche a creare il bruttissimo termine “metanazionalpopolare”. Un di più, dentro la Sindrome provinciale che ci affligge, procurato dal fatto che provincialmente guardiamo ed applaudiamo il provincialismo di ieri. La nostra storia presente e passata, sempre uguale a se stessa, che modella il nostro domani, il quale, in virtù del deleterio status-quo, sarà sempre uguale all’oggi e a ieri: no way-out, nessuna possibilità di crescita né umana né intellettuale. Tristissimo se si pensa proprio a quei grandissimi cambiamenti che stanno avvenendo intorno a noi e che il villaggio globale digitalizzato ha portato seco.

Il secondo problema è dato dalla responsabilità culturale che per ovvie ragioni pertiene al nostro servizio pubblico. Alla maniera in cui, la RAI di enne decadi fa, ha dato un contributo importante nella scolarizzazione a tutto tondo dell’Italia post Seconda Guerra, la RAI di oggi avrebbe ogni dovere di prendere sotto la sua ala protettiva le generazioni presenti e portarle dignitosamente verso il loro domani. Aggiungo anche che, diversamente da ciò che sosteneva un qualche parlamentare del quale ho fortunatamente scordato il nome, con la cultura si mangia, si mangia moltissimo, proprio come dimostrano giorno dopo giorno i geniali sceneggiatori americani già citati.

Nutro molte riserve però sul fatto che la programmazione del prossimo Sanremo condotto da Carlo Conti sarà in grado di dare un aiuto sostanziale al triste destino del nostro PIL, così come ho molti dubbi sul fatto che  nel day after ci sveglieremo cittadini migliori.

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