Talebanismi all'amatriciana: giù le mani dai consultori!

Da Andreaintonti
Lo so, in questo momento ci sono delle priorità imprescindibili dalle quali dipende la struttura finto-democratica di questo paese, in particolare capire se il nuovo movimento Fascio-Littorio Italiano (gli amici di Fini, per intendersi...) continuerà a stare a destra o se costituiranno il “Grande Centro”, cioè quelll'ammucchiata in cui si ricicleranno ex dell'una e dell'altra parte spacciandosi per “il nuovo che avanza”. E mentre continuano ad ammorbarci dibattendo se sia meglio “alla tedesca”, “alla francese”, col proporzionale e col maggioritario la gente comune continua a non avere una casa (leggevo l'altro giorno davanti alla mia facoltà a Bologna che la media di sfratti in città è di trenta al mese, naturalmente senza che questo possa avere interesse alcuno per i media...), si continua a rinchiudere in carcere i ladri di galline – visto che i ladri importanti o vengono “carcerati” in Parlamento o stanno nell'elenco “grandi imprenditori italiani” - o chi non è nato sotto la stella della razza giusta, si continua ad accettare l'idea che i diritti primari (come quello all'abitare o il diritto all'acqua come bene primario) siano delle concessioni che la “corte dei potenti” concede al popolo così come si usava ai tempi delle corone. Ma che ci possiamo fare se il problema principale continua ad essere il sistema elettorale!?
E cosa ci possiamo fare, ad esempio, se a Roma si sta tentando di cancellare l'ennesimo diritto sociale? Innanzitutto possiamo iniziare firmando questa petizione: http://www.petizionionline.it/petizione/salviamo-i-consultori-della-regione-lazio-dalla-proposta-di-riforma-tarzia/1977
Considerando il fatto che difficilmente questa faccenda troverà lo spazio che merita sui media (bisogna parlare di Fini, quello che stava nella sala operativa della Questura di Genova nel luglio 2001 e che oggi viene da più parti definito “compagno” – bestemmiando - solo perché ha fatto finta di alzare la voce contro il padrone che ha avuto per 15 anni... ) è dunque doveroso cercare di capirci qualcosa di più. Ma partiamo dall'inizio...
In gergo tecnico viene definita legge regionale n° 21 del 26 maggio 2010 ma si può tradurre con “restrizione delle libertà ad una libera coscienza della donna”, in palese violazione della legge 194, cioè di quella legge che – istituita grazie alle grandi battaglie civili degli anni '70 (che troppo spesso vengono descritti solo come fucina di terrorismi) – legifera sull'interruzione di gravidanza in un paese che fino a quel momento aveva conosciuto spesso il fenomeno delle “mammane”.
A queste macellaie oggi si è sostituita un'altra figura che, seppur con uno spargimento di sangue decisamente inferiore, è inquietante allo stesso modo: gli obiettori di coscienza negli ospedali e – dal momento dell'ingresso della Ru486 in Italia – anche nelle farmacie. Non voglio entrare nel merito di una scelta personale che, come tale è e deve rimanere decisione piena ed esclusiva dell'individuo (anche se mi chiedo cosa c'entri l'obiezione per portantini ed infermieri che portano i pasti alle pazienti), ma i risvolti sociali di una scelta di questo tipo nel nostro marcio sistema sono secondo me importanti.
L'obiezione di coscienza non è una cosa sbagliata o negativa (tutt'altro...), per esempio è uno strumento utile ai non-violenti per non ritrovarsi ad “esportare democrazia” con un mitra in mano, ma non succede mai – o almeno io non ne ho mai letto – che un non-violento si arruola e spara solo a determinate persone. Un non-violento non si arruola e basta! Nel settore sanitario – noto per essere tra le tante cose in mano ad un paio di mafie e covo di riciclati e/o protetti dalla politica – invece, io posso dire di essere obiettore di coscienza anti-abortista (tanto per fare un esempio) e poi magari diventare pro-abortista dietro pagamento di lauta ricompensa, come a suo tempo testimoniò “Le Iene”. Che poi nel campo della sanità – con punte da guinness in quella lombardo-ciellina – dichiararsi obiettore non serva ad altro che a fare carriera è solo un “piccolo ed insignificante” dettaglio del quale, al momento, poco ce ne cale...
Quel che ci interessa, invece, è analizzare – in maniera non troppo tecnica (per chi fosse interessato al testo basta cliccare qui: http://actiondiritti.net/files/PL_021_riforma_consultori.pdf) – quello che tramite quella legge regionale si vorrebbe proporre.
Istituiti con la legge n° 405 del 24 luglio 1975, lo scopo dei consultori è quello di «somministrazione dei mezzi necessari a conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo sulla procreazione responsabile, nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti» nonché «la divulgazione di informazioni idonee a promuovere o prevenire la gravidanza, consigliando i metodi adatti a ciascun caso». Insomma, da queste poche righe è evidente – lapalissiana direi – l'importanza che queste strutture ricoprono all'interno della struttura sociale del territorio in cui sono inserite. Un'importanza di cui tantissime donne che nel corso degli anni hanno usufruito – ed usufruiscono – di questa struttura fino ad oggi pubblica potrebbero dare testimonianza. Dico “fino ad oggi” perché uno dei punti dibattimentali principali – non il più importante, come vedremo in seguito – è la privatizzazione dei consultori sulla quale, vista la battaglia che il popolo ha fatto contro la privatizzazione dell'acqua che ha portato a circa un milione e mezzo di firme, credo ci sia poco da spiegare, se non ricondursi a quel concetto di “diritto come concessione dall'alto” di cui dicevo in apertura.
Se la materia del contendere fosse “privatizzazione sì, privatizzazione no” la soluzione sarebbe semplice: raccolta firme per chiedere un referendum ed amen, si passi al dibattito successivo. Invece no, perché quando in Italia si deve distruggere un diritto o lo si distrugge per bene o non ci si applica nemmeno, e dunque alla richiesta di privatizzazione si associa anche la trasformazione dei consultori da luoghi in cui si aiutano le donne (in particolare in momenti particolari, come può essere quello di un aborto...) a luoghi nei quali diventa centrale il ruolo della “famiglia”. Naturalmente quella basata sul matrimonio. Questa sostituzione – che per alcuni può sembrare solo un dibattito di natura linguistica – non mi stupisce affatto, in quanto la società patriarcale nella quale ci ri-troviamo a vivere per l'ennesima volta (in cui la cultura del “macho” e della “velina/donna sottomessa” è solo uno dei tanti risvolti evidenti) cancella – come definizione vuole – la concezione della donna come “autonomia”, reinserendo questa di nuovo all'interno della sfera di influenza ed assoggettamento familiare.
Secondo l'idea di Olimpia Tarzia (segnatevi questo nome perché ne parleremo a breve) non solo quindi i consultori dovrebbero diventare luoghi dove tutelare “il benessere familiare” - una specie di corsi per famiglie in crisi in pratica – ma dovrebbero essere gestiti anche da associazioni di volontari portatrici della cultura familiare. Tradotto in italiano deburocratizzato: al Movimento “pro-life”. Che la stessa Tarzia sia tra le fondatrici del Movimento è una di quelle “squisite casualità” che fanno di questo paese il paese dileggiato in ogni angolo del mondo.
Per chi non lo sapesse, il Movimento per la Vita è un covo di terrorist* (della peggior specie) il cui scopo è quello di fare terrorismo psicologico verso le donne che decidono di abortire – che dunque sono in una situazione psicologicamente particolare già per conto loro – ribadendo quegli slogan ideati dall'altra parte del Tevere. Io ricordo ancora nitidamente un servizio – quale trasmissione però non lo ricordo con certezza dunque evito di fare nomi – in cui si presentava questo Movimento. Le tecniche utilizzate da due esponenti in un “colloquio” con una giovane donna che aveva deciso di abortire potrebbero inserirle nei manuali che i soldati applicano nelle tante Abu Ghraib sparse per il globo.
Se il problema fosse solo la Tarzia, comunque, il tutto si potrebbe risolvere in modo relativamente facile, un po' come si fa quando parlano la Roccella o la Binetti: si cambia canale – ove possibile – o ci si fa una grossa e grassa risata nel constatare l'arretratezza culturale di certi soggetti. Invece non solo la cultura clerico-patriarcale sta tornando in auge in Italia (d'accordo, la parte clericale non se n'è mai andata...), ma la legge regionale vede anche le firme di quattro esponenti del Partito Democratico di estrazione cattolico-democratica – richiamati immediatamente all'ordine dalle colleghe di partito – e tre consiglieri dell'Italia dei Valori, che prima hanno firmato e poi si sono scusati parlando di “errore materiale”, dicendo di aver firmato quel testo «in attesa che ne arrivasse uno migliore». Insomma: hanno firmato senza nemmeno leggere quel che gli veniva messo sotto al naso (e c'è chi li vorrebbe a capo della nuova Opposizione...). Lasciando queste strutture in mano a queste “organizzazioni” di correzione morale (o forse sarebbe meglio dire corruzione, visto che è data la possibilità di corrompere le donne con degli assegni per mantenere la/il bambin@) si tornerà direttamente alla ricostituzione della Santa Inquisizione!
Si dice che il motivo principale per cui bisognerebbe accettare tale trasformazione sta proprio nella già citata 194, precisamente nel punto in cui si parla di “tutela sociale della maternità”.
Già, ma cosa si intende per “tutela sociale”? Si intende far ritornare le donne alla condizione di inizio del secolo scorso, quando venivano considerate utili solo per fare figli e tenere pulita casa, oppure si intende un insieme di politiche sociali che permettano non solo alla madre di poter mantenere la/il nascitur@, ma anche di poter continuare a vivere la propria vita e la propria socialità. In tal senso mi vengono in mente tante politiche sulle quali si potrebbe agire e che non influenzerebbero la psicologia delle donne: politiche per il potenziamento degli asili nido (ogni anno sentiamo e leggiamo di migliaia di bambini impossibilitati ad andarci perché non ci sono posti disponibili, per non parlare della scelta classista derivante dalle “graduatorie”...), politiche che concilino vita ed occupazione per le donne, magari creando delle leggi ad hoc per evitare che queste vengano fatte oggetto di “razzismo” perché mamme o perché – da donne – hanno l'ambizione di diventarlo, per non parlare delle tante politiche sociali (abitazione, servizi etc etc etc...) che dovrebbero essere fatte oggetto di un ampio lavoro di potenziamento indipendentemente dal tipo di “utenza” alle quali si rivolgono, visto che i diritti sociali riguardano tutt*, senza distinzione di sesso, razza e/o condizione sociale.
In conclusione, dunque, è ormai chiaro che quello che si vuole fare con questa legge è molto più pericoloso di quel che può sembrare, considerando anche che simili idee sembrano prendere piede non solo nella capitale (a Fano esiste una proposta che non si discosta molto da quella della Tarzia). Si vuole trasformare lo stato laico italiano in uno stato morale sul modello dell'Iran, con l'unica differenza che invece di Teheran la capitale sarebbe Città del Vaticano...

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