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Chi vince oggi le sfide di domani? Chi investe in conoscenza. Un caso esemplare è la regione olandese di Utrecht, regione nominata come la più competitiva d’Europa dalla Commissione Europea. Un minilaboratorio, che ci insegna, nel piccolo, quali sono le vere sfide del futuro. E come vincerle.
Sullo sfondo di una crisi che ha coinvolto -nella sopresa generale- anche l’Olanda, Utrecht e il suo distretto stanno reggendo meglio i contraccolpi del difficile momento economico, grazie a pochi ma fondamentali fattori:
-un tasso di istruzione e investimento nella conoscenza che garantisce alla regione una forza-lavoro estremamente qualificata. Il 43% della popolazione a Utrecht ha almeno una laurea. Oltre il doppio della media italiana. La disoccupazione non arriva al 5% (!!!) Ciò rende attrattiva Utrecht alle aziende che vogliono spostarvi la propria sede, ma rende la regione pure un fermento di imprese e start-up che aprono, grazie a giovani innovativi;
-l’investimento in innovazione e ICT è vincente: a Utrecht hanno creato un distretto dei videogiochi e della computer graphics, che in soli sei anni ha portato a 70-80 le nuove imprese del settore. Quelle di maggior successo hanno già un giro d’affari da mezzo milione di euro l’anno;
-l’investimento in infrastrutture fisiche è pure vincente: i tre miliardi di euro spesi stanno connettendo la regione con il resto d’Europa, rendendola facilmente accessibile;
-infine (ma si potrebbe andare avanti a lungo), questa economia della conoscenza ha prodotto un parco scientifico dove stanno arrivando multinazionali a investire, in collaborazione con centri di ricerca all’avanguardia.
Ho fatto questo esempio, per dimostrare come -potenzialmente- il declino non sia inevitabile. Basta prendere la strada giusta. E’ ovviamente più difficile a livello macro: la stessa Olanda non è omogenea. Però ben tre regioni olandesi sono nella top ten UE della competitività regionale… Questo qualcosa vorrà dire.
Se dovessimo ripercorrere i punti sviscerati sopra, per sommi capi, applicandoli ora al Belpaese: a) in Italia l’istruzione è un optional, abbiamo circa il 20% di laureati nella fascia giovane (se consideriamo l’intera fascia della popolazione, la percentuale scende ancora…), b) quei pochi laureati li facciamo scappare (il segretario generale della Crui-Rettori Italiani Alberto Tesi parla di “emorragia di giovani che si formano in Italia e poi vanno all’estero“; all’Università Federico II di Napoli hanno calcolato che 472 laureati in discipline scientifiche su 2900 lavorano ora all’estero!), c) l’investimento in innovazione latita e quel poco che si è fatto è frutto di soli due anni di politiche,mentre d) le infrastrutture sono un puzzle a macchia di leopardo (con treni superveloci da un lato e tratti autostradali -soprattutto al Sud- al limite della denuncia penale dall’altro).
Il risultato di queste strategie sbagliate, frutto di anni di classe dirigente incompetente, li ha ben riassunti la Commissione Europea una settimana fa: l’Italia è dipinta come un Paese con un debito troppo elevato, povertà e disoccupazione in aumento, export che soffre e competitività quasi ai minimi. Tecnicamente si chiamano “squilibri macroeconomici”. Nella pratica, li potremmo definire come il frutto di 30 anni di vuoto pneumatico nella stanza dei bottoni.
C’era una volta la quinta potenza mondiale: ora è nona, per la cronaca, retrocessa dal G8 al G20. I suoi punti di forza (come l’export e la competitività) l’hanno abbandonata. Senza timone, l’Italia vaga per gli oceani agitati di un Terzo Millennio senza più certezze ma con molte opportunità, per chi le sa cogliere.
Mentre la sua classe dirigente svende gli ultimi gioielli di famiglia e si dibatte in drammatici dibattiti sul futuro di partiti che sono già morti, i migliori scappano. E alcuni coraggiosi restano. Il finale è tutto da scrivere. Ma non promette bene.
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