Qualcuno paragona Tangeri ad una colomba appollaiata sulla spalla dell’Africa; io la immagino invece come un pavone, superbo e fiero, mentre ruota la sua splendida coda in cerca di consensi, perforando con il suo sguardo di pece i critici, le malelingue che vogliono Tangeri oramai persa nell’oblio della storia, dimenticata, pericolosa e straniera. Tangeri soffre. È vero. La città sprofonda sotto la sua stessa leggenda, sotto la sua inappagata nostalgia che la incarta, il mito cosmopolita fatto di intrighi, misteri e traffici è incollato alla sua pelle. Lei è sola davanti allo Stretto di Gibilterra, sola con il suo piccolo braccio di mare tra il Marocco e la Spagna dove si ritrovano gli immigrati d’Africa e il loro sogno di cavalcare l’onda che potrà trasportarli nell’Eldorado europeo. Si dice che Tangeri piange per chi non la conosce e piange quando l’hanno conosciuta. I poeti e gli artisti di tutto il mondo che l’hanno conosciuta l’hanno cantata. La si può toccare, accarezzare i suoi muri polverosi, deflorare le sue porte in legno leccate dal tempo. Si può grattare la sua terra nera, camminare nella sabbia sempre umida. Si respira ancora l’odore del tabacco grigio, di gelsomini e di Kif. Ma Tangeri non è solo poesia, ricordo struggente o mito. È la sua periferia con i quartieri dormitorio allineati uno dietro agli altri sulle colline vicine. Beni Makada, Bir Chifa, Saddam Hussein: i viali di cemento dove crescono i due terzi degli 800.000 abitanti ricordano che Tangeri è abbandonata, sommersa di rancori sotto il peso della povertà e l’attivismo dei musulmani integralisti. Tangeri non è più l’Europa ma non ancora il Marocco. Dalla notte dei tempi la sua posizione strategica di “porta d’Africa” ha suscitato l’interesse delle grandi potenze straniere. Quando la regione del Rif era sotto protettorato spagnolo (non francese come si scrive sovente) i suoi dintorni, nel 1923, presero lo statuto di “interzona” o “zona franca internazionale”. La regione era amministrata da funzionari marocchini, da sei potenze europe, dagli U.S.A. e dall’URSS, situazione unica nella Storia. Questo periodo opulento contribuì alla reputazione esplosiva di una città fatta di bordelli, di sesso gay a buon mercato, di spionaggio internazionale, di lussuria e divertimenti, di artisti e nullafacenti che si godevano la vita. Nel 1956 tornò sotto il regno del Marocco ma conserva ancora oggi le sue particolarità e la sua indipendenza; non a caso lo spagnolo soppianta il francese nel parlato quotidiano. Vedere un ritratto di Mohammed VI appeso alle pareti dei locali pubblici non è usuale, come accade in tutte le altri parti del Marocco. Tangeri è il solo luogo del Marocco dove è possibile gustare un thé alla menta in un caffé decò deliziosamente retrò!. Ma per conoscere Tangeri bisogna considerare il suo porto. Il 70% delle persone che si recano in Marocco per via marittima passano da qui. Turisti e marocchini che tornano a casa al volante delle loro vetture cariche all’inverosimile. Città di transito, interfaccia tra i due continenti, ultima città importante all’estremità nord dell’Africa, Tangeri, con la sua posizione geografica, offre un terreno fertile per attività illegali e poco raccomandabili. Per comprendere questo bisogna spostarsi di qualche Km nella regione nord del Marocco. Il Paese non si è ancora liberato totalmente del suo passato colonialista. Due città dell’antico protettorato spagnolo esistono ancora sulla costa mediterranea del reame. Ceuta e Melilla. Due porti franchi spagnoli che beneficiano di vantaggi economici rilevanti come l’esenzione delle tasse sulle merci, sull’alcool e sugli idrocarburi. La TVA (IVA) non è ugualmente applicata. Il commercio quindi è fiorente, in specialmodo quello di contrabbando con i vicini marocchini. Ceuta (74.000 abitanti) accoglie ogni giorno 20.000 transfrontalieri che si dedicano al contrabbando di merci che alimentano i souks delle città del nord e del centro del Marocco, Tangeri compresa. Queste due enclavi europee poi sono diventate una porta d’accesso all’immigrazione clandestina. Si è costruito un muro, ipertecnologico, intorno a queste due città, dopo che nel settembre 2005 una folla di africani, 1200 si dice, tentarono di entrarci. Risultato: sei morti e centinaia di feriti; si stima che ogni anno salpino dalle coste dello stretto dai 20.000 ai 100.000 disperati in cerca di una vita dignitosa. E Tangeri accoglie questa massa di persone che vegetano e cercano di guadagnare i soldi necessari per tentare (o ritentare) l’attraversata. I “bruciati” come vengono chiamati qui, perchè la prima cosa da fare è bruciare ogni tipo di documento che possa identificarli, per rispedirli al mittente. Le coste di Tangeri sono costellate non solo di ville splendide e di jet-set internazionale ma anche di accampamenti dei clandestini che vivono in condizione igieniche precarie. La mafia regna sovrana e guadagna milioni di dollari in questo sporco “affaire” sulla pelle di migliaia di uomini che devono tenere conto che forse non ce la faranno, che moriranno in acqua e che forse i loro corpi non si troveranno mai più. Ma l’immigrazione e il contrabbando non sono niente vicino al traffico che fa vivere questa regione e arricchire qualche europeo: l’Haschic, o Kif in marocchino. Il Rif è il primo produttore mondiale di cannabis e la quasi totalità di haschic che viene consumato in Europa e di provenienza marocchina. La monocoltura della cannabis è 46 volte più reddittizia delle colture agricole tradizionali. Secondo l’Osservatorio delle droghe francese il profitto della cannabis, nel 2010, è stato di 2 milioni di dollari, calcolando che il turismo, nello stesso anno ha portato alle casse del reame “solo” 1 .260 milioni di dollari. Certo è che una politica repressiva avrà conseguenze disastrose come un esodo rurale di massa (1 milione di persone lavorano alla produzione di cannabis nel Rif) verso le grandi città e verso l’Europa, andando ad ingrossare le file dei migranti clandestini che l’Europa non vuole sul suo suolo. Ma Tangeri è anche il Grand Soco, piazza centrale, linea di demarcazione tra la Medina e la città nuova. Qui Tangeri è un incrocio dove il rumore e il kaos regnano sovrani. La grande moschea di Arbein, dove si suppone abbia ospitato e favorito i kamikaze degli attentati di Casablanca, nel 2003 e quelli di Madrid; il cinema Rif, storico e carico di fascino, che sta diventando un museo del cinema, per non dimenticare. Dietro al parco di Mendoubia, un cimitero abbandonato, reame di gatti e di ortiche; era all’epoca, il cimitero dove gli europei interravano i “loro“. Oggi i sepolcri sono distrutti da anni di indifferenza e di oblio. Per alcuni mesi gli “harraga“, i bruciati, si installarono nel cimitero poi la polizia, nel 2005, li cacciò. Poco più in là l’Hotel El Minzah, uno dei più belli del Paese. Jean Genet adorava soggiornare in questa città perché amava vedere “l’eleganza nel servire un cane sporco come me“. Il Caffé de France, ritrovo di artisti come Paul Bowles, situato nei pressi del Consolato francese; un luogo capitale, per gli incontri di ieri e di oggi. Accanto il Lofti dove non é raro vedere un barbone che si avvicina ad un tavolo e si appropria del bicchiere di un cliente prima di andarsene; “nessuno dice niente, perché non c’é niente da dire“. Rue d’Amerique, il quartiere dei bar, discreto di giorno e incandescente la notte. Il Dean’s aperto nel 1937 che ha visto passare nelle sue due sale minuscole la Beat Generation, generazione maledetta e bohemé del dopo guerra, con William Burroughs e Allen Ginsberg. Sul boulevard Pasteur il Pique-Nique, frequentato da Mick Jagger nei caldi anni 60-70, il bistrot spagnolo Rubis Grill con i suoi camerieri d’antan ingellati, in camicia bianca. Negresco, Regina, Scott’s…da un bar all’altro europei nostalgici, nuovi e anziani ricchi dei quartieri fashion della Montagna o di Marshan, dragano la notte in cerca di emozioni a buon mercato. Che troveranno, come ogni notte, da sempre, a Tangeri. E infine la baia. Spettacolare e unica, un mare ed un oceano che si incontrano, che si uniscono, differenze che si accoppiano. Stradine poco illuminate, pensioni fané per marinai di passaggio e camionisti stanchi. Il porto di notte dorme, eccetto per i contrabbandieri, i trafficanti di droga, i clandestini e i venditori di sesso. Avenue de FAR, i Grands Hotels che si affacciano sul mare. Tutto è calmo. Al Café Associados, ultimo stabilimento della lunga spiaggia di Tangeri, c’è il rifugio dei tangerini “di mondo”. Tutti vogliono credere che la città è sulla rotta del grande cambiamento, che si sta svegliando dal suo lungo letargo. Né è la prova i ripetuti soggiorni del Re Mohammed VI, i giganteschi cantieri del nuovo porto commerciale e i lavori di riabilitazione della medina. Davanti al mare un gruppo di giovani, belli di giovinezza, guarda il mare e le luci vicine della Spagna, senza parlare. Notti di sospiri a Tangeri.
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