Circola in rete ,da qualche ora a questa parte, una notizia dubbiosa che dice testualmente della presenza di alcuni tecnici italiani dell'Istituto nazionale per le malattie infettive, "Lazzaro Spallanzani" di Roma, impegnati in Tanzania(non è detto dove), per la costruzione di un laboratorio BSL-3.
Tali laboratori sono strutture ad alto contenimento con livello 3 di biosicurezza, i quali consentono di coltivare agenti patogeni, utilizzabili per fini offensivi.
In breve si tratterebbe della realizzazione di vere e proprie "bombe" chimiche.
Anche se poi la coltivazione di agenti patogeni può essere utilizzata ugualmente per la messa a punto di vaccini o farmaci.
Ciò che inquieta è che la Tanzania non ha mai ratificato la Convenzione per la non proliferazione delle armi biologiche.
E inoltre è notorio che la Repubblica unita di Tanzania, ancora oggi, non è in grado di assicurare ai propri cittadini le cure sanitarie primarie essenziali.
Che significato avrebbe allora questo progetto in quel contesto?
Si vorrebbe sapere, se la notizia fosse vera, chi paga e a chi ?
Quali sono state le procedure di appalto?
Chi si occuperà poi della supervisione dei lavori?
Quale è il costo della struttura a realizzazione avvenuta?
Gli interrogativi,per la verità, cominciano ad essere un po' troppi.
E le risposte, fino a questo momento, non ci sono.
Per di più sembrerebbe, nella migliore delle ipotesi( realizzazione di farmaci e vaccini) che lo Spallanzani non abbia attualmente ricercatori con un know how specifico per questo genere di missione.
I dubbi si accrescono e con essi le preoccupazioni, che riguardano certamente noi italiani ma anche i cittadini del Tanzania, molti dei quali sicuramente sono completamente ignari di ciò che i loro governanti hanno progettato.
E in Africa non sarebbe la prima volta che una cosa del genere possa verificarsi.
Le multinazionali farmaceutiche, da sempre, hanno fatto, e lì dove possono, continuano a fare , il bello e il cattivo tempo. Indisturbate. E a spese sopratutto della povera gente.
Cioè di chi non ha "strumenti" per difendersi.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)