Tardi per che cosa?

Creato il 21 febbraio 2012 da Antonio Maccioni

Tardi per che cosa? |

Pubblicato da Antonio MaccioniSeguimi su Twitter21/2/2012

Le notti di Orune sono popolate di suoni che si perdono nei dirupi: sibili, voci, lamenti che sembrano rimarcare le inquietudini del paese. Quei rumori li abbiamo avvertiti anche noi, deboli quando ci trovavamo nei rioni bassi, più distinti nella strada del ritorno, fino a trasformarsi in un coro di voci concitate e di risate.
– Li sentite? – mi ha chiesto Pascale, indicando un punto del paese non molto lontano da dove ci trovavamo.
– Chi sono?
– I lanciatori di pietre.
Gli ho chiesto s’erano molto lontani da noi e lui ha risposto che bivaccavano a sos bagnos, l’antico caseggiato reso famoso da un poeta dissacratore che aveva schernito la povera gente ammessa alla mensa disadorna organizzata dal Comune in un durissimo anno di carestia.
Avevo voglia di conoscere i lanciatori di pietre, e Pascale mi ha detto subito che si poteva: sembrava contento di quella mia curiosità.
– Non avete paura?
– Con te no, vali quanto un’assicurazione sulla vita.
Erano seduti sui sassi sparsi nello spiazzo del caseggiato e formavano un grande cerchio. Nessuno si sorprese della nostra presenza, ma una voce si levò per chiederci se anche noi eravamo in runna. Parlavano, discutevano, accalorandosi per un niente, e brandivano le lattine, dalle quali succhiavano avidamente.
– Fateci compagnia, ma non possiamo offrirvi neanche una goccia di questo veleno, per rispetto.
Ci siamo seduti in un varco del cerchio, e Pascale scrutava i suoi amici lanciatori di pietre, che sembravano persi nella schiuma della birra che odiavano.
– Adesso bos contamus unu contu, – ha detto rivolto a me il ragazzo che aveva parlato di veleno. Erano tutti giovanissimi, dovevano avere la stessa età di Pascale… Ma che età ha Pascale? Mi viene da rispondere che nei giovani orunesi c’è una confusione di età: sono giovani e vecchi allo stesso tempo, capaci di emettere lamenti di bambini, e di lanciare urla che stravolgono il viso.
– Forse è tardi, – ha osservato Pascale.
– Tardi per che cosa? – ha chiesto lo stesso ragazzo che, dopo aver succhiato una sorsata di “veleno” con una smorfia di disgusto, ha iniziato su contu. Parlava di sé, dei compagni di runna, del paese: con brio e intelligenza all’inizio, provocando le risate dei compagni, che interloquivano creando confusione; poi la voce si è fatta più grave, fino a tacersi, quando il narratore, vinto dalla stanchezza, ha allungato la lattina al compagno che gli stava vicino, chiedendogli di riprendere lui su contu. Di rimbalzo in rimbalzo, la narrazione è durata fino all’alba, quando i ragazzi non avevano più niente da dire né da bere…
– Adiosu, – hanno detto a me e a Pascale quando ci siamo alzati per andar via; loro sono rimasti lì, sui sassi di sos bagnos, con i visi stravolti dalle veglie e da quel veleno che dovevano bere con disgusto…

Il brano è tratto da: Bachisio Zizi, Lettere da Orune, Il Maestrale, Nuoro 1999. La foto è di kapomuk.


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