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Tasse ed economia sommersa (parte 1)

Creato il 20 dicembre 2011 da Davide

Il rapporto tra tassazione, controllo dei pagamenti dovuti allo stato ed economia sommersa, in nero o anche criminale è un tema che è più antico dello stato nazionale, ma che viene trattato in modo scientifico a livello teorico fina da XVIII secolo. I primi autori che analizzano il contrabbando all’interno di un contesto socioeconomico sono due padri fondatori del pensiero occidentale illuminista: Cesare Beccaria e Adam Smith. Che colui che scrisse Dei delitti e delle pene (1764) come critica al processo giuridico abbia anche pubblicato una serie di articoli sul rapporto tra tariffe contrabbando nel giornale Il Caffè, raccolti nel Tentativo analitico sui Contrabbandi (1764) non stupisce, al contrario, come non stupisce che nel 1766 Dei delitti e delle pene venne incluso nell’indice dei libri proibiti a causa della sua distinzione tra reato e peccato. Una distinzione che il circo mediatico giudiziario italiano sembra aver dimenticato. D’altronde anche lo stato sembra convinto della necessità di imporre quelle che i canadesi chiamano sin taxes, tasse sul peccato, intese a punire fumatori, bevitori di alcolici, giocatori d’azzardo ecc. (ma non droga e prostituzione che per ragioni ‘morali’ vengono lasciati alle cure di altri enti regolatori per la tassazione, cioè alla cosiddetta criminalità), un concetto che in Italia si è esteso, in versione pauperistica catto-comunista, al tassare ulteriormente il ‘lusso’ e i ‘ricchi’, anche se è stato già pagato il dovuto e crea recessione.
Il problema che affronta Beccaria è fino a che punto conviene introdurre merci di contrabbando in un determinato Stato a secondo dei tributi e dell’efficienza dei controlli. La quantità x esprime la porzione di valore delle merci che si deve introdurre per pareggiare il conto con il dazio. Quindi se si riesce a introdurre più di tale quantità conviene ricorrere al contrabbando. Viceversa se si tratta di stabilire un dazio e si conosce il valore della merce che si riesce a sequestrare si può calcolare fino a che punto conviene spingere la tassazione. Dalla formula data da Beccaria, che graficamente si esprime mediante un’iperbole, si ricava che se si riescono a sequestrare i due terzi del valore di una merce si può imporre un dazio fino al valore doppio della merce. Se invece si riesce a sequestrare solo un terzo del valore il dazio non può superare la metà del valore. Il problema che vuole affrontare – servendosi della «algebra», vale a dire di metodi quantitativi, applicabile a «tutto ciò che in qualche modo può crescere o diminuire» – è così enucleato dallo stesso Beccaria: «si cerca per quanto valore di una data merce i mercanti dovrebbero defraudare la regalia cosicché, anche perdendo il resto, si trovassero per il guadagno del contrabbando collo stesso capitale di prima. Il determinare una tal quantità generalmente può servir di lume a construire una tariffa».
Anche Adam Smith riconobbe il rapporto tra alte tariffe e contrabbando e osservò che c’è qualcosa di perverso nel punire i contrabbandieri, dato che è la legge che per prima ha creato la tentazione al crimine. Nella Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), comunemente nota come La Ricchezza delle nazioni, Smith, figlio di un funzionario delle dogane, lui stesso, per qualche tempo, impiegato nelle dogane, annota: il contrabbandiere «biasimevole per aver violato le leggi del suo paese, è spesso incapace di violare quelle del diritto naturale e sarebbe stato sotto ogni aspetto un cittadino eccellente se le leggi del suo paese non avessero reso un crimine ciò che la natura non ha mai inteso come tale». Egli scrive anche che il risparmio, essendo una condizione per la divisione del lavoro, è un elemento determinante per lo sviluppo economico. Anche se non lo dice, se ne ricava che chi tassa in maniera eccessiva il risparmio, impedisce lo sviluppo economico, la Ricchezza della Nazione, e chi si sottrae alla tassazione eccessiva, come il contrabbandiere, è reso perversamente un criminale dalle leggi del suo paese. Lo sviluppo dell’illegalità è conseguenza della «tariffa», se essa è molto alta diviene conveniente agire illegalmente, se lo è troppo allora si è in presenza della possibilità di lucri immani. Vale la pena di notare che esiste un concetto del genere, quello della ‘tentazione irresistibile e perversa’, anche nella tradizione islamica. Un racconto narra la storia di un califfo che mette alla prova il suo visir, che in sua assenza ruba dal tesoro denaro per curare la figlia, ma è scoperto e condannato a morte. Interviene il Profeta, che dichiara che la colpa del furto non è del visir, ma del califfo, che sapendo la situazione di necessità del visir, lo aveva messo in tentazione irresistibile. Così il visir fu graziato.

Donnan e Wilson (Donnan, Hasting and Thomas M. Wilson (1999) Borders: Frontiers of Identity, Nation and State, Oxford: Berg) osservano che gli antropologi non sono estranei allo studio delle attività economiche illegali e semilegali, che fioriscono ai margini dell’attività economica principale, talvolta in modo parassitario, ma contribuendo anche, altre volte, al suo effettivo funzionamento. Anzi, sostengono questi autori, il metodo antropologico è l’ideale per esplorare aspetti particolari di queste economie di confine ‘ombra’, ‘nere’ o ‘informali. Donnan e Wilson sono anche svelti a comprendere la natura ambigua di quella che chiamano una ‘economia sovversiva, dato che da un lato questa attività non giocano secondo le regole dello stato e ignorano, contestano e sovvertono il potere statale, ma allo stesso tempo, d’alto lato, sono raramente rivoluzionarie, dato che in qualche modo devono la loro esistenza da quel potere e, in particolare, dall’esistenza di confini. Come metafora il confine è visto come uno spazio liminale una regione sperimentale di cultura da Turner (V. Turner, Dal rito al teatro, Bologna, Il Mulino 1986 (ed. orig. New York 1982), uno stato intermedio (a betwixt and between state) che gli iniziati attraversano nei riti di passaggio. Nel campo dei cosiddetti Cultural Studies, Homi K. Bhabha (I luoghi della cultura, Meltemi Editore, Roma, 2001, ed. orig. London 1994), tra gli altri, analizzando l’ibridità, parlava di interstizi come della sovrapposizione e dislocamento di domini di differenza. La nozione di intersizialità si adatta molto bene alla definizione degli spazi di confine, sia metaforici sia fisici, come il confine svizzero o quello di S. Marino dove transitano capitali, oppre il mare di Lampedusa dove transitano clandestini, o quelli austriaci, svizzeri e sloveni, dove vanno a fare il pieno di carburante gli italiani ammazzati dalle accise. (continua)


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