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Tasso di suicidi in aumento in Italia

Creato il 03 ottobre 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Claudia Boddi

I dati riportati negli ultimi anni dagli enti di analisi rilevano che il tasso di suicidi in Italia è in netto aumento. L’atto volontario di togliersi la vita è legato, nel 60-70% dei casi, alla depressione, mentre una quota minore viene correlata ad altri disturbi psichiatrici – quali la schizofrenia e alcuni disturbi di personalità – ma ci sono anche suicidi non “patologici”, connessi ad altre vicende sociali, come quelli relativi all’eutanasia.

Anche se siamo in grado di disporre di stime piuttosto precise rispetto a questo fenomeno, perché la maggior parte di questi eventi viene esaminata in medicina legale, esistono dei casi che possono sfuggire a questa rilevazione dal momento che non vengono considerati tali: sono le morti che possono sembrare naturali, quelle dovute a condotte azzardate e quelle conseguenti ad incidenti dubbi (ad esempio, “si è buttato o è caduto dalla finestra?”).

tasso suicidi in italia 513x400 TASSO DI SUICIDI IN ITALIA IN AUMENTO: DEPRESSIONE E VICENDE SOCIALI

foto direttanews.it

L’incidenza dei suicidi è di 6-7 casi per 100.000 abitanti per anno e questa percentuale è più o meno la stessa in tutto il mondo. Ad esempio nella città di Firenze, che conta circa 400.000 abitanti, si verificano 25-30 suicidi ogni anno, mentre se oltre al capoluogo toscano consideriamo anche i comuni limitrofi, si arriva a 60-70 episodi l’anno. Le fasce d’età nelle quali il suicidio mortale è più frequente sono l’adolescenza e la fase avanzata del ciclo vitale, ovvero dopo i 60 anni. Si uccidono più gli uomini rispetto alle donne, con un rapporto di 3:1: questo dato rimane costante in tutte le culture e in tutte le classi sociali. Dalle statistiche, risulta che decidono di togliersi la vita più spesso le persone sole e i giorni scelti per farlo sono quelli festivi.

Il picco massimo di suicidi nell’arco della giornata è la mattina e questo, se si considera che la maggior parte del fenomeno è imputabile alla depressione, risulta comprensibile. La stagione con la più alta intensità del tasso è l’autunno-inverno ma, è intressante osservare, che il dato sale anche in corrispondenza con il 15 di agosto. Le modalità più usate risultano essere: il gettarsi dalla finestra, sotto un treno, in un fiume, l’impiccagione, ma vengono spesso impiegati anche mezzi cruenti e idonei a causare la morte come le armi da fuoco o da taglio.

Non possiamo non sottolineare però che talvolta il suicidio può essere un gesto impulsivola persona decide improvvisamente di uccidersi e lo fa con il primo oggetto efficace che trova, oppure con la defenestrazione – ma che con maggiore frequenza appare programmato, in questo caso, l’azione viene premeditata e articolata fin nei minimi particolari. Nel gesto autolesivo vanno però sempre distinti l’intenzione e l’esito. L’intenzione può essere davvero quella di morire o, al contrario, può essere quella di volersi fare del male senza il reale obiettivo di farla finita per sempre, pertanto, l’esito può essere mortale o non mortale. Siamo in presenza di un suicidio mortale – laddove ci sia la volontà di morire e il suicidio riesca -, e di un suicidio mancato – laddove ci sia l’intento fatale ma l’atto suicidiario non si compia per una serie di circostanze imprevedibili per il soggetto-.

A spiccare nella casistica complessiva, perché molto più frequente del suicidio mortale, è il parasuicidio o tentato suicidio, che si verifica quando non c’è la reale volontà di morte e la persona effettivamente non muore. I metodo più comunemente usati a questo scopo sono: i farmaci (in genere questi pazienti vengono ricoverati nei reparti di tossicologia) e il taglio superficiale dei polsi in corrispondenza delle vene. Si tratta di mezzi palesemente non idonei a causare la morte che sono utilizzati prevalentemente da donne di età molto giovane. In queste situazioni, il più delle volte, il tentativo di suicidio ha una valenza dimostrativa, relazionale, in cui l’atto autolesivo, da un lato è espressione di sofferenza e di un elevato grado di autoaggressività, dall’altro è un potente mezzo di comunicazione ed esprime una richiesta di aiuto. Pur non essendo un gesto tipicamente depressivo, esso ha la tendenza a ripetersi con modalità stereotipate ed è un fattore prognostico negativo per un successivo suicidio mortale. Va inquadrato nell’ambito delle condotte autolesive associate al mancato controllo degli impulsi, così come l’abuso di droga o di alcool.

Sono da considerarsi condotte suicidiarie, anche tutte le azioni autolesive, non chiaramente formulate dal soggetto, con cui cerca la morte senza rendersene conto e con le quali persegue l’autodistruzione senza ricorrere ad un atto fatale diretto. Tra le molteplici tipologie definite, compare anche il suicidio preterintenzionale che rappresenta quelle circostanze in cui non c’è la volontà di morire ma si arriva comunque alla morte per un imprevisto errore di calcolo. Ultimamente, la cronaca ha riportato episodi che afferiscono a questa classificazione in merito ad esperienze sessuali di tipo sadomasochista.

Interessante sottolineare come il rallentamento psicomotorio, presente nei pazienti affetti da depressione grave, sia protettivo nei confronti del suicidio in quanto la persona si mostra apatica, incapace di iniziative e spesso trascorre le giornate a letto. Il maggiore tasso di rischio, invece, lo si rileva all’inizio del trattamento farmacologico, perché vengono recuperate l’attività motoria e la capacità di progettare e di agire, quando ancora non si sono verificate modificazioni del tono dell’umore, che permane depresso.

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