C’era una volta la poltrona di velluto rosso, l’intimità complice di un palco, il foyer per la mondanità. C’era la compagnia stabile che non tradiva mai e allestiva sempre un buon spettacolo; oppure registi e testi impegnati, con una messa in scena un po’ provocatoria, che non coglieva il pubblico del tutto di sorpresa. C’era una volta, neppure poi tanto lontana, in cui si andava a teatro così, compresi in un impalpabile bon ton, con un abito da mezza sera, sensibili all’abbassamento di voce della prima attrice o rapiti dal guizzo istrionico del mattatore.
Naturalmente i classici e le novità continuano ad andare in scena; ma il teatro che si pone l’obiettivo di essere specchio del mondo che abitiamo e strumento per comprenderlo, oggi non può che riflettere e rappresentare la nostra realtà nel suo continuo mutamento. Un teatro che permetta una molteplicità di punti di vista, senza gerarchie. Dunque l’incrocio delle culture e la ridefinizione dei confini, la mescolanza dei generi, l’uso non convenzionale dei luoghi e degli abiti. Sono le carovane e i furgoni di saltimbanchi provenienti da dietro l’angolo oppure da posti lontanissimi, le esibizioni comiche tra giocoleria e acrobazie aeree, i cantastorie con i loro racconti d’osteria, i viaggi fisici e quelli sonori. È la passione per l'arte di strada, l'orgoglio di antichi mestieri e tradizioni, con la vita racchiusa tutta in un baule. E in un paio di pattini a rotelle.