Liberamente tratto da “La moglie a cavallo” di Goffredo Parise, adattamento teatrale Giodo Agrusta e Daniele Menghini
Lo spettacolo – Due sposi freschi di “sì” e tutta una vita davanti. Insieme, inesorabilmente. Nel bene e nel male, in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia. Un sogno che si corona di spine, una vita di coppia che si rivela condanna per un marito devoto ad una moglie “capricciosa”, in cui l’amore diventa possesso e il possesso ricatto. Una parabola amara e surreale della vita coniugale intesa come gioco morboso, in cui amare significa dominare. Forsennatamente. Instancabilmente.
Note di regia – LOVE MACHT FREI. “L’amore rende liberi” è il motto che, quasi fosse uno specchietto per allodole, potrebbe accoglierci all’ingresso del nido d’amore di Glauco e Romana, i due sposi protagonisti de “La moglie a cavallo”, opera surreale e grottesca scritta dalla sapiente penna di Goffredo Parise nel 1963.
Sono gli anni del twist, della minigonna, delle prime donne in politica e negli uffici; gli stessi anni in cui al microfono di Pasolini gli italiani confessano le proprie integrità morali e meschinità amorose, discutendo nei “Comizi d’amore” di matrimonio e tabù sessuali, doveri coniugali e divorzio, ma nonostante questa smania di emancipazione l’antica regola del “si fa ma non si dice” resta ancora la più sicura e forse la più comoda da seguire.
Attraverso l’occhio impietoso di Parise riusciamo a spiare le prime ore di matrimonio di Romana e Glauco che, inconsapevoli e con ancora il riso tra i capelli, stanno per conoscere a loro spese cosa vuol dire amare, essere sposati, essere in due.
Sembra essere un capriccio ad azionare l’ingranaggio morboso che porterà Romana, piccola, dolce, pia, tagliente e devota sposa a dar prova del suo immenso amore al puro e gentile Glauco; un capriccio innocente, di quelli come se ne hanno tanti, una voglietta irrefrenabile che degenererà in dispotica dipendenza.
Applicando allo sguardo di Parise un filtro deformante e onirico riusciamo a fare della vicenda amorosa scritta più di cinquant’anni fa una vera e propria parabola surreale della vita di coppia, un affresco universale, fuori dallo spazio e dal tempo, dai toni assurdi e grotteschi, di quanto l’amore possa diventare possesso e il possesso a sua volta ricatto.
In quest’ottica il nido d’amore descritto tanto dettagliatamente dall’autore diventa uno spazio stilizzato ed essenzialissimo, stranamente asettico, chiuso ermeticamente agli occhi indiscreti del mondo pettegolo e bacchettone che sta fuori; una casa impervia e incombente che si fa palcoscenico di un amore malato in cui le atmosfere da commedia borghese lasciano precipitosamente il posto al più paradossale dramma assurdo in cui amare e dominare diventano sinonimi.
Un gioco morboso a cui all’inizio i protagonisti tenteranno di sfuggire per poi arrivare ad accettarlo, a desiderarlo ed infine, inevitabilmente, a pretenderlo.
con
Giodo Agrusta
Cristina Daniele
Daniele Menghini
Ludovico Röhl
scene Manuel Menghini
costumi da un’idea di Daniele Menghini , realizzati da Le Sartoriali di Vichi & Orti
trucco Maria Chiara Tascini
acconciature Michele Trentini
luci Diego Piccioni
suoni Saverio Mariani
foto Eleonora Proietti
aiuto regia Amedeo Carlo Capitanelli
Regia Daniele Menghini