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Tecniche di complicazione dell’io: libri e psicologia inutile

Creato il 13 gennaio 2011 da Sulromanzo

terapiaNessuno pensa alla vita come a qualcosa di facile gestione e non in pochi sono persuasi del fatto che per affrontarla serva un armamentario più complesso rispetto a quello che la natura ci da normalmente in dotazione.

L’Io, quella strana istanza psichica – la cui esistenza ha le stesse quotazioni di incertezza di un X-file – che in qualche modo cerca di definirci, spesso richiede complicate operazioni di irrobustimento, un po’ come quelle cure ipervitaminiche ricostituenti che si somministrano ai bambini sotto i cinque anni d’età.

Al giorno d’oggi, ad un Io sottoposto a una sequela di deprivazioni e incertezze che ricoprono il ventaglio esistenziale che spazia dagli aspetti affettivi, a quelli ideologici, morali, politici e apocalittici, può essere di giovamento sottoporsi ad una caotica serie di letture terapeutiche che sommandosi tra di loro possono obnubilare la percezione delle cose e intensificare l’interpretazione del Se fino a stordirla: il risultato – paradossale – è quello di renderci talmente pregni da sviluppare una sensibilità impermeabile, sarà poi come indossare un accuratamente rifinito trench di Antonio Berardi con indosso il quale sarà poi possibile attraversare una pioggia novembrina, presentarsi ad una vernice veneziana, collaudare una autostima amorosa ordinando due Vodka-Martini al Fitzcarraldo e magari applaudire un live di Glen Hansard e Markéta Irglová al Conservatorio e tra i chiaroscuri della sala azzardare una mano vogliosa di saggiare una audace intimità molecolare.

La cura però è – ahi noi – lunga e complessa come gli esiti a cui si spera approdi. Pertanto è utile non disperdersi in ciarlatanerie e passare alla fase startup senza ulteriori indugi o remore.

Si consiglia di prendere avvio con letture binarie e asimmetriche che come gli ingredienti più improbabili fondendosi tra loro danno vita a nuovi spazi per il gusto.

Un inizio con impatto forte, ma di sicuro riscontro, potrebbe essere l’accoppiata di “L’Anti Edipo” di Gilles Deleuze e Felix Guattari (Einaudi) e “Il potere della Kabbalah” di Yehuda Berg: la fascinosa e fuorviante sintassi poststrutturalista francese coi suoi contenuti antipsicoanalitici e le sue perdite di senso viene sublimata – come in una danza hegeliana – dall’accostamento con l’andatura molle, tutta scatti e impennate, tutta esplicativa e manualistica della prosa di Berg col suo richiamarci a un senso, sempre altro e sfuggente, ma sempre – almeno per lui – così fanciullescamente evidente.

A questo punto l’esigenza narrativa si fa insaziabile ed è il caso di placarla con una accoppiata voltaica non differente che unisce Marguerite Duras con “Il dolore” (Feltrinelli) e “Controcorrente” di Joris-Karl Huysmans (magari Garzanti con traduzione di Camillo Sbarbaro). Le fasi di lettura e i capitoli vanno alternati a seconda dei momenti della giornata, come le preghiere in un convento benedettino.

La terapia può dirsi iniziata. Si cominciano a ravvisare i primi turbamenti cognitivi. Le cose sono, e nel contempo potrebbero essere altro, ma sempre permane il timore che potrebbero essere nulla, il nulla però necessita di esempi, la vita, da Plutarco in avanti, ne abbisogna… La terza tappa smuove le pagine, sincroniche e dense, avvilite e altere, di “Andy Warhol” di Victor Bockris (Leonardo in reimenders oppure il fresco Odoya) e “Nati sotto Saturno” di Rudolf e Margot Wittkower (Einaudi).

La complicazione dell’io ci si apparecchia sotto gli occhi, la vediamo spiegarsi nella sua modalità demistificatoria e in parallelo, come un primordiale tentativo di pubblicità sottotraccia di fattura anni ’50, nel suo vaniloquio sacrale che come le tappe, lente ed estenuanti di una via crucis, ci conducono in cima a un promontorio da dove lo sguardo da lanciare intorno non sarà più medesimo al se stesso di prima.

Non ci si deve fermare. L’ostinazione è requisito indispensabile insieme ad un collirio rinfrescante e riposante per gli occhi troppo dediti a decrittare i troppi segni tipografici.

Giunti a questa fase della terapia bisogna dare una impennata e passare a binari iperbolici che vedono affiancati Antonio Negri e Michael Hardt di “Impero” (Bur) e Franco Volpi con “Il nichilismo” (Laterza); consigliati per il weekend o comunque in un momento in cui la lettura può farsi più intensa e totalizzante e rapida.

Il momento è indicato per riportare tutto ad uno stato intestinale, allentare la tensione cerebrale e colpire basso. Ci accorrono in aiuto Hervé Guibert con “Pazzo di Vincent” (Playground) e Albert Camus con “Caligola” (Bompiani). Letture veloci e ad una prima impressione inoffensive, ma lasciatele decantare: conclusa, in anticipo sul crepuscolo, la giornata di letture, concedetevi un drink, magari un Pink Gin (regale cockatil inventato nella Royal Navy in cui quattro dita di buon gin vengono versate in un bicchiere arrosolato con Angostura, il tutto servito con non più di tre cubetti di ghiaccio di piccole dimensioni: la regina madre ne beveva un paio di bicchieri tutti i giorni e arrivò a vedere la non indifferente cifra di 101 primavere e altrettanti autunni). Mentre il gin vi giunge allo stomaco scaldando i condotti e bruciacchiando un po’ in gola, vi renderete conto di come il vostro Io sia oramai parzialmente smontato nelle sue fondamenta, di come ogni suo tassello è aggrovigliato da strani pensieri che lo avvolgono e, come fosse un casolare abbandonato di campagna, gramigne e ortiche ne coprono la facciata impedendo a una stordente luce solare di appiattirne la visuale in una unica dimensione cartesiana.

Il riposo si conclude con un senso di bulimia, ma allo scoccare del nuovo giorno di letture è prerogativa indispensabile proseguire con la dovuta cautela la quale, giunti a questa fase delicata della terapia, abbisogna di bordate uniche e mirate, fatte esplodere le une dopo le altre, con andamento singolo ma a tamburo battente: “I Demoni” di Dostoevskji (scegliete voi l’edizione che più v’aggrada); a seguire, senza indugio, il “Fedone” di Platone (anche qui scegliete voi quale tasche ingrassare), poi “Vita di Samuel Johnson” di James Boswell (stesso discorso) e si seguita, come diabetici senza insulina, con Klaus Mann e il suo “Finestra con le sbarre” (SE) e si approda all’ultimo step di questa fase con un ritorno ai francesi (abbondanti e massicci, ma a questo punto non vi porrete un inutile perché) con Simone de Beauvoir e la sua “Una donna spezzata” (Einaudi).

Se la terapia ha seguito un buon corso e gli effetti sono stati quelli supposti, questa fase dovrà portarvi via non più di una settimana, alla conclusione della quale la scomposizione dell’Io è arrivata alla sua fase di non ritorno, in cui nulla potrà trovare posa in un vecchio e logoro costume del nostro passato, ogni nuova percezione, ogni singolo accadimento, ogni nuovo processo mnemonico, ogni nuovo patema d’animo, ogni intramontabile languore, ogni reiterato abbandono, ogni consueta scoperta, tutto il prevedibile divenire, tutte le sigarette postorgasmiche che seguiranno, avranno un sapore diverso e la chimica emozionale del nostro corpo seguirà leggi dettate da pesi specifici alterati e pertanto imprevedibili, o comunque gestibili.

È consigliato, al fine di evitare un assopimento e un riassemblamento dell’Io scomposto, mantenere in vita gli effetti terapici con frequenti letture poematiche di Baudelaire, Eliot, Rilke, Dickinson, Lorca, Cernuda, Pavese.

Avvertenza ultima: come per l’omeopatia e l’agopuntura, affinché la terapia sortisca i suoi effetti, bisogna innanzitutto crederci.


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