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Tecniche di raggiro di massa

Creato il 14 aprile 2012 da Speradisole

TECNICHE DI RAGGIRO DI MASSA

TECNICHE DI RAGGIRO DI MASSA
Composto da tecnici della finanza e dell’economia, il nuovo governo italiano sostituisce il precedente esecutivo guidato da un tecnico della patonza.

Si tratta di un passo avanti considerevole, che la popolazione ha accettato di buon grado, convinta che nottetempo un mostro chiamato Spread avrebbe potuto entrare nelle case, rubare pacchi di pasta, sabotare la playstation dei bambini e molestare le ragazze in età da marito.

A un governo tanto autorevole e premiato dai sondaggi, molti sono disposti a perdonare alcune stranezze e bizzarrie, oltre che a chiudere un occhio davanti ad alcuni piccole contraddizioni. Per esempio: il fatto che a fronte di una crisi mondiale provocata dalla finanza e dalle banche si chiamassero in soccorso esperti di finanza e banchieri è sembrato un dettaglio. Un po’ come chiamare i pompieri, trovarsi di fronte un piromane ed esclamare:«Ottimo! Finalmente uno che conosce il problema».

Anche il reiterato e ossessivo confronto con la Germania porta in sé qualche piccolo quiproquo. A fronte di un paese economicamente in buona salute, in cui gli operai guadagnano il doppio e i sindacati collaborano alle strategie industriali, si è deciso di espellere alcuni sindacati dalle fabbriche, ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori e mandarli in pensione più tardi. E’ come se, dopo la scoperta della penicillina, un pool di medici avesse detto:«In Germania basta una piccola iniezione! Ma guardate lo Spread! Presto! Continuiamo con i salassi».

Si tratta di minimi dettagli, bilanciati da alcune pregevoli iniziative, come quella di pubblicare i redditi dei ministri in carica. La popolazione tutta è stata dunque assai sollevata nell’apprendere che chi la governa guadagna da un massimo di sette milioni a un minimo di duecentomila euro all’anno.

A guardare il reddito, dunque, il nuovo governo rappresenta appena il 4 per cento della popolazione, e – pensa a volte il caso – proprio quel 4 per cento che non viene colpito dalle sue riforme economiche: niente patrimoniale, niente imposte sulle transazioni finanziarie, una coincidenza davvero strabiliante, anche se sullo Spread tra i redditi dei governanti  e quello dei governati nessuno ha creato allarme.

Ma veniamo alle grandi realizzazioni del nuovo governo, e soprattutto alla grande opera da anni promessa e mai realizzata: la riforma del mercato del lavoro.

Il mercato del lavoro italiano – alcune grandi bancarelle, una miriade di piccoli banchetti e un’enorme folla che fruga tra gli avanzi in cerca di un contrattino di tre mesi anche avariato – mostra oggi tutti i suoi limiti.

Tra gli affollati vialetti d’accesso al mercato del lavoro si verificano spesso risse, aggressioni, contenziosi, tutte cose che rallentano l’economia nazionale.

Urge dunque una vera ristrutturazione.

Molto propagandato da alcuni studiosi, tecnici e prestigiosi commentatori del Corriere della Sera, il modello danese rappresenta un eccellente banco di prova per testare la credulità della popolazione italiana.

In pratica consiste in questo: tutti sono licenziabili come cazzo pare e piace ai datori di lavoro. Una volta licenziati, si avrà diritto a un sussidio. Sono chiare le due fasi dell’operazione: prima si licenzia e poi si dà il sussidio.

L’elenco delle cose che potrebbero accadere in Italia tra la fase uno (ti licenzio) e la fase due (ti faccio mangiare lo stesso) è praticamente sterminato e va dalla «Particolare congiuntura economica» a «Non c’è la copertura finanziaria», fino a un più sincero e schietto «Che coglioni, ci siete cascati di nuovo!».

È come se in un mercato mediorientale qualcuno ti desse un cammello prima di vedere la moneta, cosa che non accade in natura, se non, appunto, nella mente di alcuni studiosi, tecnici e prestigiosi commentatori del Corriere della Sera.

Sarebbe sbagliato, però, liquidare il modello danese come una semplice truffa. Si tratta infatti di una truffa con destrezza: si tenta di far credere a sessanta milioni di persone che potrebbero vivere con le stesse regole di un paese ricco di sei milioni di persone, dove non esistono mafia, ‘ndrangheta, camorra, e nemmeno Marchionne.

Il modello danese ha anche un nome affascinante: Flexsecurity, e anche qui non deve sfuggire il nome composto: prima flex e poi, solo poi, security.

L’adozione in Italia del modello danese, comunque,  prevederebbe qualche adattamento alla realtà nazionale, come per esempio trasformare milioni di lavoratori in statue della Sirenetta e piazzarli nelle principali fontane del paese. Le monetine gettate dai turisti potrebbero assicurare la copertura finanziaria.

In generale, comunque, qualunque riforma del mercato del lavoro che preveda due fasi nasconde un’insidia: che ti freghino con la prima fase, e per la seconda, chi si è visto si è visto. Tecnicamente è come convincere la gente a combattere le malattie a trasmissione sessuale indossando il preservativo subito dopo il rapporto.

Un antico trucco in voga fin dai tempi della costruzione delle piramidi, e dunque applicato sul mercato del lavoro da alcuni millenni,  consiste nel fomentare il conflitto tra poveri. In questo modo, le fasce più basse della popolazione si distraggono prendendosi a pietrate, mentre la classe dirigente osserva divertita dalle finestre dei piani nobili sorseggiando costose bevande.

Non stupisce vedere dunque tra i più affascinanti argomenti di chi affronta oggi la riforma del mercato del lavoro la torbida descrizione di un conflitto tra generazioni.

Funziona così.

Un trentenne diplomato e laureato è costretto a piccoli lavoretti saltuari, o a occupazioni occasionali, o ad aprire una partita Iva. Il suo comprensibile disagio potrebbe sfociare in astio, quando addirittura non in odio.

L’odio viene abilmente dirottato verso le generazioni precedenti, cioè verso chi si è fatto un culo come una capanna  per farlo studiare, mantenerlo e sostenerlo per i lunghi anni del precariato. Frasi come «ti rubano il futuro» non vengono più pronunciate da pericolosi arruffapopolo e rivolte alle classi più abbienti. No. Esse vengono usate proprio dalle classi più abbienti  per indicare alla parte più sfigata della popolazione i rispettivi genitori.

Il fatto che moltissimi trentenni  non abbiano conosciuto diritti degni di questo nome potrebbe radicalizzare la protesta.

Questo non avverrà se si convincono questi giovani senza futuro che la colpa è invece del padre operaio in fonderia, che col suo antistorico ed egoista aggrapparsi ai privilegi «gli ruba il futuro».

Lo spettacolo di un giovane laureato che guadagna quattro euro all’ora che se la prende con l’operaio della catena di montaggio  che ne guadagna nove, è considerato impagabile presso i migliori uffici studi che prestano la loro consulenza per il ministro del Welfare. Come del resto le lotte all’ultimo sangue tra protocristiani e barbari catturati nelle campagne di conquista erano un must per gli imperatori mollemente adagiati sul loro triclinio nelle tribune vip delle arene romane.

Un pungolo elettrico per il bestiame, quella specie di sfollagente che dà la scossa ai bovini, costa intorno ai cinquanta euro. Troppo, per un governo che dimostra una considerevole attenzione al risparmio. Dunque, per stimolare adeguatamente le masse (il 96 per cento della popolazione con reddito inferiore a quello dei ministri), si è deciso di ricorrere alla dichiarazione pubblica.

I giovani sono «sfigati», il posto fisso è «monotono», i giovani «vogliono lavorare vicino a papà e mamma» e altre cosucce così che provocano alla popolazione economicamente più insicura – appunto – lo stesso effetto che un pungolo elettrico ha sui vitelli nei mattatoi.

Anche la disponibilità al dialogo è considerata una debolezza. Iniziare una trattava con «se non ci sarà l’accordo lo faremo lo stesso» è come dire al condannato già seduto sulla sedia elettrica: «OK, amico, parliamone, ma facciamo in fretta».

Quanto alle trattative, esse, si svolgono con la prudente delicatezza di un bombardamento  a tappeto: se dite sì, ecco i soldi, se dite no, niente «paccata di miliardi». A parte il linguaggio da bulletto del Grande Fratello, emerge da una così poetica visione delle relazioni sindacali una concezione «proprietaria» del bene pubblico.

La «paccata» sono due miseri miliardini, per dire. Che oltretutto, sarebbero nostri e non della ministra del Welfare. In ogni caso, fatti i conti, comprare cinquanta milioni di pungoli elettrici per bovini sarebbe costato di più.

(Alessandro Robecchi – Micromega)



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