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Tecnottimismo, tecnopessimismo, il guerriero che creò l'aikido e le isole di demoni, di S.D.
Creato il 24 novembre 2011 da EstropicoNoi tutti conosciamo bene l' efficace formula “Complesso di Frankenstein”, che ha il potere di sintetizzare ed esprimere con forza, l'irrazionale sfiducia dell'uomo (non tutti, per fortuna) nelle novità che la ricerca tecnico-scientifica propone. Ma questa paura è motivata? Io direi che se mettiamo in fila tutti i progressi compiuti dall'uomo, dalla scoperta del fuoco in poi e valutiamo complessivamente in quali condizioni eravamo prima ed in quali siamo adesso, le cose non sono che migliorate in termini di salute, durata della vita, sicurezza, istruzione, svago, etc. Eppure le novità della ricerca, invece di essere unanimemente salutate come nuovi step nel miglioramento della vita umana, sono sovente vissute con paura e diffidenza.
Tale tendenza, oltre ad essere irrazionale ed irriconoscente verso coloro i quali creano questo futuro migliore (ignorati, quando non avversati, da folle troppo impegnate ad osannare sino al fanatismo, star dei media che in alcun modo contribuiscono al benessere della collettività, come ben espresso in un recente articolo di questo blog) mette in scena situazioni schizofreniche nelle quali mentre si assiste alla corsa verso il futuro operata dalla tecnologia, si tenta disperatamente di aggrapparsi a restaurazioni e glorificazioni del passato, tanto impossibili quanto illetterate. Restaurazioni, queste, che anelano a passati idealizzati e mai esistiti, sbrigativamente adattati ad isterica valvola di sfogo di paure poco ragionevoli.
Un caso emblematico (e su larga scala) di ciò di cui si tratta, lo offre il Giappone della Restaurazione Meiji, avvenuta tra il 1866 ed il 1869. A quel tempo il Giappone era isolato commercialmente dal resto del mondo da circa 300 anni. Il governo degli USA decise unilateralmente che questo stato di cose fosse un male per gli interessi americani e per il Giappone stesso e decise che l'Impero del Sol Levante dovesse aprirsi all'industrializzazione ed al libero mercato. Per perseguire questo disegno inviò una flotta intimidatoria nelle acque giapponesi al comando del Commodoro Perry per “convincere” il Giappone a siglare un accordo (imposto) che lo avrebbe cambiato radicalmente. Dal suo status di paese agricolo fuori dal mondo e dal tempo, l'impero del Sol Levante veniva catapultato in piena rivoluzione industriale.
Lo shock culturale fu forte per una popolazione abituata a riti millenari. Giustamente c'era bisogno di una elaborazione culturale collettiva per assorbire tali cambiamenti. Purtroppo si decise di portarla avanti nel modo peggiore. Il colossale sforzo di industrializzazione nipponico veniva fatto correre parallelamente ad una restaurazione di un preteso passato glorioso del Giappone, totalmente travisato ed idealizzato. Nascevano così un regime imperiale ed un culto di stato che erano manifestamente posticci e si cercava di dare forza a questo finto ritorno dal passato con una violenta epurazione di tutto ciò che non era “tradizionale”. I monaci buddisti furono duramente perseguitati perchè solo la religione tradizionale dello Shintoismo potesse avere campo libero, anzi la si trasformò in una religione di stato e, per non farsi mancare nulla, si innalzò l'imperatore al rango di Kami, una divinità, ruolo che non aveva mai avuto. Chi conosce la storia del Nazismo e del Fascismo noterà come tali ostentati richiami alla purezza di un passato fasullo, sono comuni tra tali tristi periodi, tutti seguiti alla rivoluzione industriale. Un delirio collettivo di queste proporzioni non poteva non creare grossi problemi, infatti questo Giappone fanatico ed il suo imperatore divino diedero vita ad un feroce imperialismo che sfociò in sanguinose guerre coi paesi asiatici vicini, costellate di episodi lugubri ed esecrabili.
Ma anche in questo fosco scenario di restaurazione, non mancava chi si sottraeva all'allucinazione di massa ed anzi la denunciava. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu proposto al famoso maestro di arti marziali e fondatore dell'aikido, Morihei Ueshiba il grande onore di diventare istruttore di tutto l'esercito nipponico. Egli clamorosamente rifiutò, con la motivazione che, se avesse vinto la guerra, il Giappone si sarebbe trasformato in un'isola di demoni.
La storia citata è un caso di “fuga nel passato” di massa di fronte al futuro che arriva; più spesso tale sentimento striscia soltanto nella società senza avere la massa critica per determinare reali mutamenti, ma in ogni caso la domanda è sempre la stessa: perché temere invece di sperare?Se, come abbiamo visto, ci sono molte più ragioni per essere tecnottimisti, che tecnopessimisti (se un uomo di oggi potesse sperimentare le scomodità, le sgradevolezze ed i pericoli di una qualunque epoca del passato, tornerebbe nel presente a gambe levate!) perché in alcuni il pessimismo prevale sull'ottimismo?
E' il caso di chiederlo ad una delle più grandi autorità viventi sul rapporto ottimismo-pessimismo: lo psicologo M.Seligman.
I suoi interessanti testi possono essere sintetizzati come un'analisi di tutte le obbiezioni che vengono mosse alla felicità individuale, operata la quale l'autore passa alla loro sistematica ed implacabile confutazione.
Tutti aspiriamo alla felicità... la costituzione USA addirittura la cita e ne considera la ricerca un diritto inalienabile. Eppure, sostiene Seligman, nella nostra cultura c'è una sorta di ancestrale pregiudizio contro la felicità. Noi diciamo: "essere felici è bello, ma..." quel ma è seguito da tutta una serie di argomenti che sembrano molto sensati, ma che passati sotto il tritacarne di Seligman (e sopratutto sotto una lunghissima serie di studi scientifici puntigliosamente citati) si rivelano scialbi ed errati.
Qualche esempio:
essere ottimisti e felici è bello, ma..
1) è pericoloso: se sono ottimista e felice sarò appagato, non mi darò da fare e non avrò la spinta a realizzare progetti.
Falso: gli ottimisti sono più produttivi, più abili negli affari, hanno posti di lavoro migliori ed hanno più successo nella vita affettiva.
2) non è etico: ci si concentra sul proprio benessere e si è ciechi alla sofferenza degli altri.
Falso: gli ottimisti sono più propensi a condividere ed aiutare dei pessimisti.
3) non è possibile: se sei pessimista non puoi cambiare la tua natura.
Falso: cambiare in modo duraturo è facile e le esperienze più negative dell'infanzia (con buona pace dei freudiani) non è vero che ci marchino a vita, anzi sono pressoché ininfluenti.
Inutile dire che la lettura di questi libri trasmette un ottimismo straordinario.
Ecco, Seligman non c'entra niente col transumanesimo, però quel fantasma di cui parla lo psicologo, quel pervicace quanto infondato pregiudizio contro la felicità è uno dei grandi motori di suggestioni dei detrattori del transumanesimo e più in generale del progresso tecnico-scientifico... il principio attivo di tutte le lagne anti-longevità, anti-miglioramento, anti-upgrade e così via... insomma stare meglio è bello, ma... (ma niente).
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