Magazine Diario personale
In una guida di architettura di Tel Aviv ho trovato questa piantina che mi è sembrata molto chiara sul progressivo sviluppo della città da sud verso nord, partendo da quel primo insediamento di Neve Tzedek immediatamente fuori Jaffa su su fino alle modernissime costruzioni di Ramat Aviv sede dell'università. Belle ville mediterranee ed edifici completamente sgarrupati, chioschi, minuscole casette e dimore moresche, prima che gli architetti europei in fuga dall'Europa nazista arrivassero in Palestina portando quell'onda modernista del Bauhaus, in materia di costruzione, la libera espressione regnava sovrana e francamente è visivamente rimasta, ma forse è proprio questa anarchia a rappresentare il fascino e l'unicità della città.
Ad ogni nuova ondata migratoria da svariate parti del mondo, a ogni espansione, a ogni nuovo insediamento abitativo corrispondono i diversi stili architettonici, cifra peculiare di Tel Aviv; si passa così da case e ville eclettiche degli anni venti come per esempio "la Pagoda" costruita nel 1925 da un ricco commerciante di New York con echi giapponesi (foto in alto) o le costruzioni in via Bialik ai quartieri Bauhaus espressione dell'arrivo degli architetti europei negli anni 30.
In quegli anni si prende coscienza che la città in fieri necessita di un piano regolatore, ci si interroga sulle soluzioni per un urbanismo attento alla modernità ma che tenga conto delle condizioni climatiche e dell'intensa luminosità mediterranea, una divisione più attenta tra spazi pubblici e privati, la necessità di grandi viali e arterie residenziali, aree di verde per la socializzazione. A questa architettura minimalista ed essenziale, sprovvista di ornamenti e dagli appartamenti omogenei e di ridotte dimensioni concorrono grandemente anche gli ideali socialisti ed egualitari che hanno ispirato progettisti e costruttori.
A partire da boulevard Rothschild nasce così la città "bianca", quella serie di edifici Bauhaus di cui i televivesi per lunghi anni non hanno compreso né valore né bellezza; bisognerà aspettare gli anni '90 affinché la municipalità si renda conto del suo patrimonio architettonico e si impegni in un'azione di recupero e salvaguardia e ci vorrà soprattutto il riconoscimento internazionale dell'Unesco che ha iscritto nelle sue liste un migliaio delle 4000 case costruite fra gli anni '30 e '50.
E proprio negli anni '50, nell'urgenza di costruire in fretta residenze per le imponenti immigrazioni provenienti da tutta Europa dopo il trauma della guerra nascono numerosissime le case su piloni di cemento. Pochi piani, una scala centrale, giardinetto e parcheggio sotto i piloni, non sono belle come quelle Bauhaus ma se ne sono certamente ispirate per funzionalità ed essenzialità.
Passeggiando per rehov Frishmann, nascosto in un cortile mi è piaciuto scoprire questo colorato sfiatatoio di un garage sottostante che mi ha fatto pensare al viennese Hundertwasser. Dei bambini giocavano in cortile, ho chiesto di poter entrare per fotografarlo e mi è stato spiegato che l'edificio è la più vecchia scuola elementare di Tel Aviv del 1926, si chiama Tel Nordau.
E ogni volta che torno a Tel Aviv vedo grandi gru in movimento e tanti cantieri aperti. Quartieri considerati un tempo off limits diventano alla moda riempendosi di bar, ristoranti e negozi trendy, i vecchi edifici scrostati fanno visivamente a pugni con "la modernità", ma di fatto passato e presente convivono pacificamente costituendo quel mix di efficienza occidentale e casino levantino che mi è tanto caro.
Come sempre tanti gatti in giro con anche l'ombrello e la copertina di lana per il giusto rispetto dovuto ai non più giovanissimi, come sempre i magnifici botteghini che fanno spremute fresche e centrifughe di tutti i frutti e verdure.
Come sempre pannocchie di granoturco pronte per essere bollite (mia madre andava a fregarle nei campi) e brioches ripiene di cioccolato e papavero nero di ricordo viennese, come sempre la signora dai capelli rossi che vende le sue creazioni di gioielli al mercato di Nachlat Benjamin il venerdì mattina. L'ho fotografata vestita uguale e con lo stesso cappello tre anni fa, si vede che è la sua divisa da lavoro e quando passo di lì lei sta sempre mangiando lo yogurt, curiose coincidenze.Come sempre immutabili e ogni volta diversi spiaggia e vecchio Mediterraneo; novembre è il mese più bello, poca gente sulla spiaggia, caldo di giorno e fresco la sera.Qui cantano e strimpellano tutti, non siamo a Cuba ma poco ci manca; grandi concerti di maestri di prestigio nei luoghi preposti, ma anche tante improvvisazioni di strada, le mie preferite, come quel sassofonista solitario una sera in riva al mare mentre dietro a lui sfrecciavano le macchine della Tel Aviv che vive di notte. Quante nostalgie in quelle note, lui non chiede una lira, suona e basta.
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