In un talk show televisivo un sondaggista snocciola dati. Squilla il telefono ed è il Presidente del Consiglio: chiama per confutarli: “Questi sondaggi sono fasulli, il mio gradimento è del 62%”, poi senza aspettare risposta mette giù. Sembra che creda di parlare in uno di quei vecchi dittafoni da cui il padrone scandiva i suoi ordini nei corridoi dell’azienda e negli uffici.
Un po’ ovvio – ma lo mettiamo per dovere di associazione – è il richiamo della parola di oggi, “telefono”, alla legge-bavaglio sulle intercettazioni. Ieri il governo ha presentato un emendamento ulteriore che impone il segreto di stato sulle conversazioni degli uomini dei servizi.
Infine “pronto, in cosa posso esserle utile?” è una frase un po’ demodè. Se per anni il telefono (dei call center) è stato il brutto simbolo generazionale dei “milleuristi”, laureati – soprattutto umanistici – che finivano nei call center a mille euro al mese fare qualche forma di lavoro interinale e usurante, ora sembra che calzino meglio ben altre etichette. I giornali hanno smesso di definirci ‘”quelli del call center”: ora siamo i disoccupati. Un paio di settimane fa l’allarme: “Aumentano i bamboccioni” (parola che dovrebbe essere interdetta come “negri” e che indica quelli che alla nostra età stanno a casa senza studiare nè lavorare perchè hanno perso le speranze). Oggi di nuovo i giornali titolano: il 30% dei giovani è senza lavoro. Solo la Pravda della famiglia Berlusconi ha il coraggio di dire che qui i giovani stanno meglio che nel resto d’Europa, certo forse ci compara a Cipro e Bosnia.
Riemersa da un’ infinità di tempo
Celia la filippina ha telefonato
per avere tue notizie. Credo stia bene,dico,
forse meglio di prima . -Come crede?
Non c’è più? Forse più di prima ,ma…..
Celia cerchi d’intendere…….
Di là dal filo,
da Manila o da altra
parola dell’atlante una balbuzie
impediva anche lei. E riagganciò di scatto.