Magazine Racconti
Intanto ha preso la bici e pedala come un matto con la sciarpa di lana avvolta al collo magro e la borsa di tela a tracolla. Pedala verso la fermata della metropolitana Piola. Via Pacini, ecco la scala che scende giù. E qui Telemaco la bici la lega, perché lui è un sognatore, mica un coglione.
E il suo viaggio inizia qui, o forse è già iniziato da tanto, da sempre. Perché tutto, tutto parla a chi sa ascoltare. Ma per Telemaco inizia a parlare adesso, è una nascita, un parto, un risveglio. Fino ad ora ha parlato lui, ha scritto sui muri senza vedere e senza sentire che la propria voce e le proprie scritte; ma adesso, adesso, l’udito si è aperto, la vista si è schiarita.
E La prima scritta è una rivelazione: sul treno della metropolitana. Il treno è fermo e attende di ripartire, ma Telemaco non sale. Accanto a lui donne e uomini che corrono per saltare su quel treno che porta le persone. Ma lui non sale. Perché la scritta è lì, sovrapposta su se stessa, le portiere aperte del treno. Poi il soffio e le portiere si chiudono, la scritta si ricompone. Non capisce le lettere Telemaco, non sono semplici scritte, sono lettere intrecciate tra loro, con colori: il nero del contorno, il verde e l’azzurro. Un pizzico di rosso. Telemaco vede i colori, un disegno intero ricomposto. E in quei colori e in un lampo vede i ragazzi che ci hanno lavorato, i colori spruzzati, le bombolette, le lattine di birra bevuta, le risate, la paura di essere beccati. È tutto lì, in quella scritta sulle porte e le fiancate di un treno che viaggia sottoterra. Non sono semplicemente scritte, è vita. E il treno parte, e si porta via la scritta e le birre, le risate, la paura.
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