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Telemaco in bici

Da Manuela
Non ha detto a nessuno dove andrà. Agli amici ha detto che farà un giro, alla madre che andrà in biblioteca per alcuni testi. È una cosa che deve fare da solo. Una sorta di inizio di viaggio, che non sa neppure lui dove lo porterà. Ma sa che deve partire. Per ora tra le vie milanesi, tra vie conosciute, battute da milanesi e turisti. Per lavoro, per shopping, per visitare. Lui invece si sente come investito da un compito superiore: vedere l’invisibile. Ma ogni cosa a suo tempo. Adesso deve essere operativo. Sfilare la gomma anteriore della bicicletta dalla rastrelliera. Lui non la chiude mai con La catena “prima o poi te la ruberanno” gli aveva detto Antinoo. “fottiti” gli aveva risposto Telemaco con il pensiero. Lui, la bici sotto casa non la legherà. Nel cortile di casa. Non vuole essere vittima di questa paura. Ti rubano. Ci sono in giro più persone oneste che ladri, e lui ha fiducia nelle prime. È un atto di coraggio, il suo, non di incoscienza. È una bici sgangherata la sua, dovessero rubarla significa che sono proprio messi male. E magari la bici serve più a loro che a lui. “Poi non ti lamentare e non dire che non te l’avevo detto”. Fottiti, Antinoo. Fottiti. Telemaco la soddisfazione di dirti che avevi ragione non te la darà mai. “E poi te la vendono a Senigallia, sulla Darsena, dove ci sono solo bancarelle di cose rubate. Me l’ha detto un mio amico vigile. E poi lì a Senigallia sono tutti drogati, sporchi, e occupano le case, e fanno le scritte sui muri…”. Telemaco non capisce come la madre possa divertirsi e uscire con un pirla simile. Un giorno o l’altro lo deve dire a sua madre.
Intanto ha preso la bici e pedala come un matto con la sciarpa di lana avvolta al collo magro e la borsa di tela a tracolla. Pedala verso la fermata della metropolitana Piola. Via Pacini, ecco la scala che scende giù. E qui Telemaco la bici la lega, perché lui è un sognatore, mica un coglione.
E il suo viaggio inizia qui, o forse è già iniziato da tanto, da sempre. Perché tutto, tutto parla a chi sa ascoltare. Ma per Telemaco inizia a parlare adesso, è una nascita, un parto, un risveglio. Fino ad ora ha parlato lui, ha scritto sui muri senza vedere e senza sentire che la propria voce e le proprie scritte; ma adesso, adesso, l’udito si è aperto, la vista si è schiarita.
E La prima scritta è una rivelazione: sul treno della metropolitana. Il treno è fermo e attende di ripartire, ma Telemaco non sale. Accanto a lui donne e uomini che corrono per saltare su quel treno che porta le persone. Ma lui non sale. Perché la scritta è lì, sovrapposta su se stessa, le portiere aperte del treno. Poi il soffio e le portiere si chiudono, la scritta si ricompone. Non capisce le lettere Telemaco, non sono semplici scritte, sono lettere intrecciate tra loro, con colori: il nero del contorno, il verde e l’azzurro. Un pizzico di rosso. Telemaco vede i colori, un disegno intero ricomposto. E in quei colori e in un lampo vede i ragazzi che ci hanno lavorato, i colori spruzzati, le bombolette, le lattine di birra bevuta, le risate, la paura di essere beccati. È tutto lì, in quella scritta sulle porte e le fiancate di un treno che viaggia sottoterra. Non sono semplicemente scritte, è vita. E il treno parte, e si porta via la scritta e le birre, le risate, la paura.

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