Magazine Diario personale

Tema: 3 minuti

Da Svolgimento @svolgimento


Tema: 3 minuti.
Dicono che qui il tempo è troppo poco, fa male alla salute mangiare in soli tre minuti. Paula alle elementari aveva sempre fame. Quando la signorina della mensa scolastica le versava il purè lei lo aveva già finito, così la carne e qualsiasi cosa le mettesse nel piatto. Il cibo evaporava. Per lei tre minuti sarebbero stati anche troppi, un’eternità. Le avanzava il tempo, smaterializzava il proprio pranzo e poi spariva in corridoio. E così un giorno l’ ho trovata in un angolo che mangiava le formiche. Accidenti a te Paula, che diavolo combini? Glielo devo aver chiesto con gli occhi fuori dalle orbite, perché mentre una formicuzza si dibatteva tra le sue labbra in cerca di scampo, lei tremando trovò perfino la forza di rispondermi che al suo paese si usava così, nell’orfanotrofio in cui era cresciuta prima di venire adottata si usava così. E poi le formiche erano buonissime, sapevano di zucchero. Che ne sai tu, muchacha.Così non mi lamento di questa fogliolina di insalata che sbuca fuori dal mio big qualcosa, non è un gran che, ma almeno le formiche non ci sono. Qui allo spaccio dei big big panini non mi manca niente. Sto a due passi da piazza del Campo, a pochi metri dalla Lizza, studio, lavoro, vivo. L’insalatina sa di carta, non di cartone: quello invece è il gusto inconfondibile dell’ hamburger che è dentro al finto pane. La verde verdurina è buona, sa solo di carta velina ma va giù che è un piacere. Non c’entra niente con i brufoli che mi vengono ogni tanto sul mento. Ho ventidue anni, qualche brufolo mi sta bene. Tanto poi li nascondo con il correttore. Un raggio di sole riesce a fare il giro del bancone e prende di mira il mio panino.  
E’ già passato un minuto, accidenti. Infatti il capo negozio ha voltato di tre quarti la testa verso di me. Deve averci un orologio incorporato. Si chiama Arturo. E’ un brav’uomo, ma è sempre triste. Anche quando si gira a guardarmi il sedere il suo sguardo è triste. La moglie lo ha lasciato, si è rifatta il seno, spianata le rughe e conciata la bocca come un canotto. Poi lo ha piantato e se n’è andata con l’istruttore della palestra. Il marito era un tipo volgare, diceva lei.Non sono molto contenta dei minuti che scorrono. C’era un tempo in cui le cose andavano diversamente, erano i giorni lenti in cui mia nonna raccoglieva olive per conto di sua suocera, tutto il giorno a sbattere le fronde e a caricare le balle, per poi portarle al frantoio su un carretto. Che poi la vecchia non le aveva dato neanche un soldino. “Entra tutto in casa” le aveva detto. I favolosi anni sessanta. Con i soldi dell’olio ci si era comprata un televisore, la suocera padrona, come quello del prete all’oratorio. Brutta stronza. La nonna me lo raccontava piangendo, ogni volta che condiva l’insalata. E’ un tempo che non ho conosciuto, neanche lo so come si fa, a cogliere le olive. Io vivo di corsa e basta.Non capisco perché l’ ho pensato, mi sa che devo avere nostalgia di casa, anche se a casa non c’è più nessuno. Non c’è più neanche la casa, l’ ho lasciata quando è morta la mamma, tanto era in affitto. Non ce li avevo davvero, i soldi per tenerla. Forse il cartone e la carta velina sarebbero migliori con un po’ d’olio, devo averlo pensato per questo. Nel mezzo però c’è una specie di salsina, sa di shampoo  all’uovo. Lo so perché è il primo shampoo che ho usato, avrò avuto sei anni, e sotto la doccia me ne mangiavo anche un bel po’. Il giorno che hanno smesso di venderlo per me è stata una tragedia. Poi mi ci sono abituata. Come a tutto il resto. I soldi che non bastavano per niente, neanche per le cose minime, e mia madre che non trovava lavoro, sapeva solo incollare la gomma dei salvagente, ma la fabbrica in cui era entrata da ragazzina aveva chiuso, e lei ormai aveva quasi quaranta anni. Così si era data da fare con le faccende a ore, nessuna assicurazione e tutto il giorno a disposizione per pulire lo sporco degli altri. La sera le sue occhiaie arrivavano a casa prima di lei. Pareva Anna Magnani, e si vedeva che era stata bella. Ma aveva un orgoglio grande così, figuriamoci se torno da tua nonna, diceva. Prima mi ha messo contro tuo padre, e anche quei pochi anni di matrimonio ce li ha mandati di traverso. Poi dopo… “Dopo”, diceva sempre, e scoppiava a piangere. Erano gli anni senza mio padre, quelli che erano venuti dopo. E’ stato bello crescere con te, mamma. Mi hai preparato a stare da sola. Forse te lo immaginavi già, come poteva finire. Mi hai abituato agli hamburger buttati alla svelta in padella, alle fettine all’olio con pochi complimenti. Non sopporto la gente che lascia le cose a metà nel piatto. O quelli che fanno i difficili. Anche quando i cibi sanno di cartone. Guarda là quella biondina, tutta firmata da capo a piedi. Che ci viene a fare, qui alla fabbrica delle schifezze, una tipa del genere?Accidenti, ne sono già passati due.No, che non sto male. Ogni tanto una fitta al fianco. Credo sia il fegato, ma non è per questa roba che mangio, no davvero. Passo troppo tempo in piedi. Troppo tempo sui libri a studiare, di notte. Ho preso in sub affitto una stanza. No, anzi, un posto per dormire. Mariangela mi ha messo una branda vicino alla finestra, se viene la padrona a controllare basta ripiegarla e sistemarla sotto il suo letto. Tanto non viene quasi mai. Di notte vado a studiare in bagno, se no la luce dà fastidio alle altre due. Non sono stanca. Forse solo un po’. Ho una buona media, Facoltà di lettere e filosofia. Storia della lingua italiana è il mio forte. Albergo deriva da una parola longobarda, ogni volta che passo davanti a quello sul corso mi sento così orgogliosa di saperlo. Non importa se mia madre è caduta proprio dalla finestra di uno stabile che si chiama con un nome di derivazione longobarda, dove la pagavano in nero e neanche volevano chiamare l’ambulanza per soccorrerla, per paura che arrivassero anche quelli dell’ufficio del lavoro. Tanto era già morta, me lo ha detto il portiere di notte che stava smontando. Io non ho parlato per due mesi, neanche ciao al gatto dei vicini. Poi ho venduto quel poco che avevo e sono venuta qui a studiare. Ho ripreso a parlare. Siena è bella, specie quando nevica. La fabbrica degli hamburger di cartone mi ha subito assunto, ci lavoro ormai da quattro anni e mai una lamentela. E ben tre minuti per mangiare, tutti per me.Ecco, il mio big al sapore di cartone è quasi finito. Enrico oggi non è passato. Non so neanche come posso aver fatto, a trovarmi un ragazzo. All’inizio credevo fosse un affezionato cliente. Veramente lui gli hamburger li odia, dice che sono fatti sfruttando il lavoro dei poveracci. Lui veniva qui per guardarmi e basta, e alla fine me lo ha detto. Non è bello. Però è alto e ha denti bianchissimi. Neanche io sono una gran femmina, a parte che ho ventidue anni, e dunque sono bella per forza. La bellezza dell’asino la chiamava mia nonna, quando mi portavano a casa sua e lei mi guardava tutta per trovarmi i difetti. Poi concludeva che somigliavo a mia madre. Non aveva mai perdonato suo figlio per essersi preso una poveraccia. Enrico deve essere uno di quelli ricchi che fa finta di non esserlo, così può portare l’eskimo, andare nei centri sociali, e tutto il resto. Lui dice che lo hanno chiamato così per via di Berlinguer. E’ tanto gentile e carino, mi apre sempre la porta, e prima di baciarmi mi fa una carezza sul viso con tutta la mano aperta. Sembra che mi chieda il permesso ogni volta che vuole abbracciarmi. La domenica andiamo per le case, a distribuire il giornale del partito. Sopra c’è scritto “proletari di tutto il mondo unitevi”, ma quasi tutti i proletari ci sbattono la porta in faccia, anche quelli poveri della periferia, e lui ci resta un po’ male. Quando è proprio giù dice che i proletari ormai non ci sono più, e che è tutto inutile. Poi gli viene lo stesso sguardo triste del signor Arturo. Siamo già al terzo minuto. Quasi. Il capo negozio mi guarda dritto negli occhi. Gli sorrido per tranquillizzarlo. Non ce l’ ho con lui, mica è colpa sua se il tempo passa. Osserva la fila davanti a sé e io faccio di sì con la testa. Ho capito, sono pronta.Mancano ancora ventisei secondi. Chi se ne importa.Eccomi.
R.L.
 


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