Il montagnone non è alto, ma la sua cima piatta non si vede da sotto. Ha le pareti ripide e spoglie, di roccia bianca calcarea, il sentiero l’avvolge tra le spire di un serpente e permette di raggiungere una specie di altopiano disseminato di pietroni tondi e tutto intorno una mancanza di sostegni che dà una mancanza di fiato. Però lì sopra di solito non si arriva, ci si ferma col gregge poco più in basso, dove i tornanti si allargano e offrono spazio all’erba, dove si può fare tappa per interi pomeriggi, nell’attesa che il cane trovi le parole.
Salgono lenti, ragazzo cane e pecore. C’è il sole caldo, le pecore ne sanno qualcosa e sul montagnone sembra esserci un cappello di nuvola, forse anche un po’ di frescura. Meglio salire ancora, e mentre sale il ragazzo si sente leggero, conta le pietre, le solleva di scatto e mette in fuga i centopiedi nascosti al fresco, tanto le pecore conoscono già la strada. Poi quando alza gli occhi dalle traiettorie degli insetti terrestri cerca inutilmente con lo sguardo quelle speculari degli uccelli, li ripara dalla luce con il dorso della mano, li chiude e se li stropiccia di nuovo a lungo. Sotto il sole di giugno non ci sono più gli animali, tranne il cane taciturno che ansima, lo guarda e vorrebbe scodinzolare, ma non ha la coda. Dove sono finite le pecore, dove sono? grida il ragazzo dentro la sua testa. L’unico impegno suo era quello di guardarle, gira veloce la testa destra sinistra, poi sente un belato in coro disarmonico, sopra di lui. Le sue pecore, tutte in fila stanno salendo, ma non seguono la strada a tornanti, salgono il muro verticale, non è così che funziona la legge di gravità, questo almeno lo aveva letto sul libro. Sembrano le pecorelle di plastica del presepe tenute dalla mano di un bambino, poi la lana delle pecore si confonde con le frange della nebbia e spariscono oltre il margine dell’altopiano, sotto gli occhi muti del ragazzino e del cane. Una cosa che se la racconta in paese non ci crede nessuno. Adesso corre con il cane appresso, in questo momento non contano più le pietre rotonde, inciampa e nemmeno le vede. Il primo giorno no, non deve succedere niente. Il padrone delle pecore si è raccomandato, Mi raccomando, gli ha detto, occhi aperti. Aperti, certo occhi aperti, sono così aperti che neanche riesce a tenerci dentro le lacrime, mentre corre in salita verso la cima del montagnone. Il cane lo raggiunge in pochi minuti, con la lingua di fuori anche lui, cercano fino ai margini senza fiato dello spiazzo, ma le pecore non ci sono.
Il ragazzo, arrivato a questo punto, non riesce a ricordare altro. Aggiunge soltanto che in quel momento preciso dalla nuvola è partito un gran tuono, Una specie di rutto, dice. Tanto che anche il cane, senza una parola, se l’è data a gambe. Raimondo Quagliana