Tema: Cane e pecore

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Il ragazzino che non vuole studiare, arranca, suda sui libri, addirittura sembra li legga e non li capisca, si sforza, più li sfoglia, più si svoglia. Dai libri non esce niente di buono per lui, la sua formazione scolastica è disorganica, incompleta, potrebbe fare di più ma non s’impegna, con una predisposizione notevole per il vagheggiamento, per lo sconfinamento oltre i margini dei libri, sempre teso a inseguire la forma delle nuvole. Il padre lo avvicina rare volte, soprattutto per rimproveri, sostenendo che siano la migliore arma in possesso del genitore, dopo la cintura di cuoio e la mano aperta. Questa volta è per dirgli che non lo manda più a scuola anzi, prima che riprenda sonno sul tavolo della cucina, ha già parlato con il vicino. Allevatore di pecore, pecore in gregge, cioè all’aperto, allo stesso modo che si usava nei tempi passati. Pecore felici impegnate a sconfinare oltre i limiti del prato, libere inseguitrici di nuvole. Il ragazzo è la prima volta che prova riconoscenza, guarda il padre e gli s’illuminano gli occhi. Non sa dire grazie, né altro, Questo voglio fare, pensa. Invece abbassa la testa e risponde Vabbé e subito dopo si gira a chiudere il libro sul tavolo. Un gregge tutto per lui, bastone, tracolla, scarponcini. Il primo giorno, solstizio d’estate. Niente ansia da storia e geografia, basta con l’angoscia del problema di aritmetica, finita la vergogna della lettura delle poesie in classe. Un gregge di animali ricciuti, che cammina sbandando ai lati della trazzera, raccogliendo germogli con le labbra e capolini spinosi con la lana. Quando svoltano la collina e si allontanano dal paese, il ragazzo conta le pietre che affiorano lungo la strada battuta, le conta e subito le dimentica. Salgono insieme lentamente verso il montagnone. C’è pure un cane in dotazione, ma la sua presenza si limita all’ansimare veloce vibrante della lingua canina. Non è mai riuscito a comunicare con le pecore, né con il suo padrone e questo lo rammarica molto, facendolo ansimare in continuazione, anche se non è stanco. Sta in posa come se avesse qualcosa da dire, proprio sulla punta della lingua umida, ma una pecora ogni tanto lo urta e gli fa dimenticare quello che stava per esporre. Ecco che subito ripiomba nella depressione dell’incomunicabilità, di certo questo cane è più triste delle pecore che accompagna. 
Il montagnone non è alto, ma la sua cima piatta non si vede da sotto. Ha le pareti ripide e spoglie, di roccia bianca calcarea, il sentiero l’avvolge tra le spire di un serpente e permette di raggiungere una specie di altopiano disseminato di pietroni tondi e tutto intorno una mancanza di sostegni che dà una mancanza di fiato. Però lì sopra di solito non si arriva, ci si ferma col gregge poco più in basso, dove i tornanti si allargano e offrono spazio all’erba, dove si può fare tappa per interi pomeriggi, nell’attesa che il cane trovi le parole.
Salgono lenti, ragazzo cane e pecore. C’è il sole caldo, le pecore ne sanno qualcosa e sul montagnone sembra esserci un cappello di nuvola, forse anche un po’ di frescura. Meglio salire ancora, e mentre sale il ragazzo si sente leggero, conta le pietre, le solleva di scatto e mette in fuga i centopiedi nascosti al fresco, tanto le pecore conoscono già la strada. Poi quando alza gli occhi dalle traiettorie degli insetti terrestri cerca inutilmente con lo sguardo quelle speculari degli uccelli, li ripara dalla luce con il dorso della mano, li chiude e se li stropiccia di nuovo a lungo. Sotto il sole di giugno non ci sono più gli animali, tranne il cane taciturno che ansima, lo guarda e vorrebbe scodinzolare, ma non ha la coda. Dove sono finite le pecore, dove sono? grida il ragazzo dentro la sua testa. L’unico impegno suo era quello di guardarle, gira veloce la testa destra sinistra, poi sente un belato in coro disarmonico, sopra di lui. Le sue pecore, tutte in fila stanno salendo, ma non seguono la strada a tornanti, salgono il muro verticale, non è così che funziona la legge di gravità, questo almeno lo aveva letto sul libro. Sembrano le pecorelle di plastica del presepe tenute dalla mano di un bambino, poi la lana delle pecore si confonde con le frange della nebbia e spariscono oltre il margine dell’altopiano, sotto gli occhi muti del ragazzino e del cane. Una cosa che se la racconta in paese non ci crede nessuno. Adesso corre con il cane appresso, in questo momento non contano più le pietre rotonde, inciampa e nemmeno le vede. Il primo giorno no, non deve succedere niente. Il padrone delle pecore si è raccomandato, Mi raccomando, gli ha detto, occhi aperti. Aperti, certo occhi aperti, sono così aperti che neanche riesce a tenerci dentro le lacrime, mentre corre in salita verso la cima del montagnone. Il cane lo raggiunge in pochi minuti, con la lingua di fuori anche lui, cercano fino ai margini senza fiato dello spiazzo, ma le pecore non ci sono.
Il ragazzo, arrivato a questo punto, non riesce a ricordare altro. Aggiunge soltanto che in quel momento preciso dalla nuvola è partito un gran tuono, Una specie di rutto, dice. Tanto che anche il cane, senza una parola, se l’è data a gambe.  Raimondo Quagliana

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