Prima di arrivare al centro del collo dell’uomo che stava in mezzo e prima che quest’ultimo si accasciasse a terra preda degli spasmi e del sangue che gli riempiva la gola, il pallino di piombo aveva forato l’aria per mezzo metro (sarebbe stato impossibile, da quella distanza, mancare l’obiettivo, anche per un tiratore poco esperto). Il secondo colpo non fu così preciso ma riuscì comunque a strappare alcuni tendini della gamba che tenevano il muscolo legato all’osso. Nei secondi successivi ai colpi, i due uomini riuscirono a correre, inciampare, rialzarsi e correre ancora; la gamba continuò a sanguinare, i rami sporgenti strappavano i brandelli di carne pendula e non si muovevano né si spezzavano. Dietro di loro, scarponi di pelle nuovi rompevano radici e affondavano in pozze di fango e sangue. Correvano. Inseguivano.
Un altro sparo, un tonfo, poi il silenzio.
- Ho paura, sto continuando a sanguinare, aiutami ti prego.- Stai calmo, se ti agiti quello torna e ci ammazza. Chi diavolo è questo? Chi l’ha portato?- Non lo so, i ragazzi dicevano di averlo conosciuto al bar, ha accettato subito di venire, diceva di essere un esperto, che male! Aiutami.- Sta’ zitto che quello ci sente, mi era sembrato un ragazzo a posto, silenzioso sì, ma ho pensato fosse solo timido.- Non la sento, non sento più la gamba.- Shh, sento dei rumori, non ti muovere.Il ragazzo silenzioso lo era, ma solo perché il piano andava pensato, gestito alla perfezione, il messaggio doveva essere chiaro, forte, avrebbe dovuto tuonare in mezzo al bosco e nei paesini attorno, lo avrebbero sentito a chilometri di distanza, nelle grandi città, udito da tutti, e doveva avere il colore del sangue, innocente oppure no, non importava. Avvicinarli era stato semplice, era bastato vestirsi come loro, offrire una birra al primo, vantarsi di essere entrato nei boschi con lo zaino vuoto ed esserne uscito carico di corpi dalle teste penzolanti, così tanti che di tutta quella carne una parte era risultata inutile e quindi lasciata ai cani.Forse era passata un’ora da quando non aveva più sentito parlare il compagno disteso sulla terra bagnata accanto a lui; le mosche erano arrivate e adesso si stavano cibando della sua carne, delle sue ferite calde, del sudore, arrivavano a due, a tre, deponevano uova, si nutrivano di tanfo, di decomposizione appena iniziata, rilasciavano saliva e bevevano la pelle che questa discioglieva. L’uomo decise di spostarsi, non sentiva più rumori, si mosse verso gli alberi vicini, il suo cuore batteva impazzito dentro il suo petto ed egli pensò che quasi sicuramente quel bastardo lo avrebbe scoperto a causa di quei battiti. Dal punto in cui si trovava riusciva a vedere la macchina a circa due chilometri di distanza, i suoi occhi bruciavano per il sudore che entrava e si fermò per asciugarli, poi riprendere fiato e ricominciare a correre.
Gli ultimi due colpi esplosero facendo scappare decine di uccelli dai loro nidi sicuri.
Qualche ora prima, di fronte al grande specchio della sua stanza, il ragazzo imbracciava il fucile, controllava di essere pronto, guardava il riflesso dei suoi occhi che ricambiavano lo sguardo immobile, nessun movimento né ripensamento, poi indossò i pantaloni, il gilet verde e gli scarponi che odoravano ancora di pelle.Ripassò il piano un’ultima volta, infine uscì.