Il cortile di Palazzo Campana adesso è deserto, pronto per la presentazione del libro di Viola Di Grado. Sedie rosse ben allineate e al centro del cortile una fontanella rende l’atmosfera da sogno di mezza estate. Mi rendo conto di non essere mai entrato nel glorioso palazzo che è stato parte del mio paesaggio nella prima metà degli anni ’70. Approfitto dell’anticipo per fare un giro sul corso. Ogni tanto mi capita di tornarci e mi piace rifare quel tragitto che molti anni prima percorrevo con la baldanza strafottente dell’adolescenza. Mi accorgo che in quaranta anni Osimo non è poi così cambiata. Sarà per i colori del crepuscolo, sarà l’inevitabile effetto-nostalgia che fa apparire tutto bello in prospettiva . Incrocio un uomo che mi chiede: “Lei è di Osimo?”. “No, perché?”, rispondo. “Come si esce da questa trappola?”, ribatte. “Segua la corrente”, gli dico e se ne va sorridendo alla mia battuta.Continuano a entrare e uscire sparuti gruppi che vanno a visitare la mostra curata da Sgarbi dedicata al barocco, aperta da pochi giorni e già molto visitata. Finalmente incontro qualcuno che conosco, un mio vecchio compagno di scuola, accompagnato da un’amica di Facebook (che non riconosco, estasi del virtuale!), arriva anche Fabrizio Baleani. E’ lui che mi ha invitato a presentare il libro. Arriva dopo un po’ anche Viola, la riconosco da lontano. E’ insieme a Tiziana, la mercatessa di storie di Osimo che organizza gli incontri con gli autori. So già che Viola è una ragazza riservata, l’ho vista su Youtube e un amico che l’ha intervistata mi ha detto di andarci cauto, però che diamine Viola ha quasi l’età di mia figlia, conosco i tic e i miti della sua generazione, si tratta in fondo solo di domande e risposte. Viola ha le labbra pitturate di nero, il suo segno distintivo, indossa un braccialetto- corona- di -spine, ma non è così dark come immaginavo, ha un vestito leggero molto carino. Sorride poco, non fraternizza come capita sempre con gli autori in queste occasioni.
Dopo i saluti di Pasquale Romagnoli che rappresenta l’Istituto Campana comincia la presentazione vera e propria. Dico sono felice di essere qui anche perché il Campana era il mio liceo, il microfono ora a Romina Antonelli che leggerà nel corso della serata alcuni brani di Cuore Cavo.Romina legge l’incipit che per me vale come spiegazione di quanto è contenuto nel libro, senza dover raccontare la trama, che occorre scoprire da soli. Passo quindi alle mie domande che però non preciso di dire – grave mancanza- che sono come quelle delle mie interviste televisive, per cui le domande valgono in modo relativo, perché in fase di montaggio le taglio quasi tutte.
Chiedo subito a Viola con il mio tono scanzonato tra tanti riferimenti tipici della tua generazione non hai mai citato le Spice Girls, come mai? Da qui si innesta un loop di domande che si attorcigliano su risposte che vanno e vengono, io che cerco di incalzare Viola sugli sviluppi pop della sua storia terribile che diventa consolatoria, lei che a tratti sembra evanescente come i suoi personaggi e che incalza sul tabù della morte e che rende indicibile la parola stessa morte. Lo scrivo in corsivo perché nel libro un brano è tutto giocato sul senso della scrittura con quella leggera inclinazione a destra.
Insomma vedo che ci capiamo a fatica. Viola è molto compresa nella sua parte o comunque è una ragazza serissima che crede fino in fondo a quello che scrive (credere nel senso quasi di portatrice di un messaggio arcano). Io invece cerco la stupida leggerezza giornalistica della “seconda prova dopo l’esordio”, i rimandi all’attualità, gli autori di riferimento. Racconta episodi interessanti: il testo del primo libro perso in un cassetto, l’editing fatto in casa (la madre è una scrittrice e si leggono a vicenda quello che scrivono), la scelta dei nomi dei personaggi, che spesso arrivano da soli, come se ti chiamassero, la storia di Cuore Cavo che sedimentava dall’infanzia, mascherarsi da Sailor Moon da piccola come mia figlia che gridava in continuazione “Potere del cristallo di Luna, vieni a me”. Noto che qualche volta accenna a un sorriso, i miei sorrisi invece sono sempre più tirati e mi dispiace di non riuscire a trasmetterle la mia ammirazione, a farle capire che quello che racconta in Cuore Cavo, dopo il tragico inizio del suicidio della protagonista, quelle annotazioni che chiamo pop, sono piene di speranza, assomigliano a un grido d’aiuto pieno di tenerezza.A una domanda di Fabrizio piuttosto articolata dove sottolinea la cifra stilistica raffinata (non avevo però tralasciato di parlare di echi calvinisti poco prima) Viola risponde con un “Sì”, secco e brutale nel suo candore. Non riesco a trattenermi e racconto di quella volta che ho intervistato Luciano Canfora e che a una mia domanda lunghissima sugli archivi e sulla mole di informazioni attualmente disponibili e l’energia necessaria per catalogare tutto (domanda che non avrei usato privilegiando le risposte) mi liquidò con “E’ vero, ha ragione”. Finisce la presentazione, Viola rimane in disparte, le chiedo di firmarmi il libro. Quando vedo la sua firma con degli ideogrammi cinesi all’interno della V capisco dove ho sbagliato. Non per aver capito il significato dei segni. Non per il messaggio. Perché Viola fa sul serio.Antonio Prenna