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Tema: Diploma ricordo

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Tema: Diploma ricordoQui a dicembre diventa veramente un casino. Ovunque  ti giri trovi addobbi natalizi risalenti ai primi di novembre, il freddo diventa pian piano sempre più pungente e un po' di pioggia potrebbe far scoppiare il finimondo per le strade. Oggi son passato davanti alla mia vecchia scuola e, nonostante qui la neve sia latitante, l'albero sulla piazza di fronte è sempre lo stesso e rende il clima più invernale  grazie all'accostamento grigiocielo-verdefoglie, solo che le piastrelle del pavimento adesso sono tutte rialzate per l'umidità. Il cinese all'angolo è sempre aperto e anche se continua a non frequentarlo nessuno non capisco come facciano a tirare avanti un locale del genere - credevo d'essere l'unico a riuscire in quest'impresa - senza introiti. Guardare quella scuola adesso era come vedere la Guernica per la prima volta: un caos totale, forme strane, tutto crollante e in disuso. Provo ad entrare e non c'è più Super Mario, il nostro bidello. Lo chiamavamo così per via dei baffi neri, la statura tozza e quel dialetto stretto stretto che non gli permetteva di aprire troppo la bocca. Se ai tempi avesse detto "Izzemì", sarei crollato dal ridere, e invece morì circa due anni dopo il mio diploma. Fu un colpo enorme per l'economia dei castagnari; quel tizio vendeva le castagne più buone del mondo, in inverno, dopo aver staccato da scuola. Stava dietro il bancone, invece, un personaggio strano. Parlava utilizzando un dialetto proveniente sicuramente da un paese dell'agrigentino, era calvo e aveva un tic evidentissimo. «Buongiorno, io dovrei ritirare il mio diploma» dissi a Lex Luthor. Mi guardò torvo e controllò un foglio con su scritta a caratteri piccolissimi una lista di nomi divisa in file. Col capo chino sul foglio mi chiese «Eh, buongionno, e come, anghe, si chiama, anghe, lei?» risposi frenando la risata che mi saliva dalla pancia fino ai denti «D'Ignoto, Felice D'Ignoto». Sfogliò altri due fogli e finalmente mi trovò. «Ma, sono anghe passati anghe quasi anghe quattro anni! Ngà ci sta anghe pinzanno - si bloccò per circa cinque secondi con la bocca aperta e gli occhi fissi a qualcosa dietro di me - anghe ora?» credevo di stare per morire, ma risposi comunque con molta calma, muovendo il naso come fanno i conigli per far passare il solletico che saliva, saliva sempre più velocemente «Sì, lo so, è passato un po' di tempo, ma pagai una certa cifra prima degli esami e mi dissero di passare almeno dopo tre anni perché i tempi, a causa della crisi, si erano fatti lunghissimi». Per non far sentire fuori luogo Kojak aggiunsi anche un «È uno schifo», portando quell'alone di polvere e rincoglionimento da vecchi al bar, e lui fece di sì con la testa, chiudendo gli occhi, poi disse «Ai tempi anghe mia, un-un-un ti gredere anghe che anghe ca era megghiu. Ngà sempre a-a-anghe tutti eramo anghe fora a ghiucare!», con solidarietà abbassai gli occhi e feci di sì con la testa esclamando un «Ahi, ahi, che dobbiamo fare. Amunì, mi desse sto foglio di carta che devo ritirare il diploma, altrimenti non si travagghia». Scrisse qualcosa su un pezzo di carta e poi mi mandò dal preside. Io, con cortesia, salutai Claudio Bisio e mi incamminai. Che tipo.

Ai tempi, quando ci appoggiavamo ai muri, tornavamo in classe con della roba grigia attaccata ai maglioni ed era alquanto sgradevole, anche se un po' commovente, che ci fosse ancora quella roba attaccata al muro. Il preside era lo stesso. Stessi baffi, stessa statura, stessi capelli anche se più bianchi e stessa faccia come il culo. «Minchia, D'Ignoto, finalmente ti rivedo!» disseppellendo antichi screzi risposi «Minchia lei, a me un paio di scarpe nuove» e lui si fece una risata, ma proprio una bella risata. «Non ha ancora perso 'sta boria eh?» e a me venne da ridere. Lui era vecchio e io ancora qua, alla sua cattedra con qualche anno in più e la barba incolta a richiedere il mio diploma. Stesse bandierine impolverate su quel tavolo ricoperto dalla stoffa verde che bucherellavo ogni volta in cui mi presentavo non di mia spontanea volontà (per non parlare delle sedie nere con copertura in pelle). «Assolutamente no! Tra l'altro stavolta sono contento di vederla e sono venuto qui per il diploma, ho trovato lavoro ma vogliono una copia e io non c'ho nemmeno una fotocopia di quello originale. Lei come sta?». Continuammo a parlare per una buona mezz'ora, poi si decise ad aprire quei diavolo di raccoglitori. Erano una sfilza lunghissima di ogni colore e stavano stipati dentro un armadio in noce vecchissimo posto dietro la scrivania, vicino la finestra che dava sul parco. L'etichetta del raccoglitore che prese diceva "1998/2011" con un rosso sgargiante. La calligrafia non faceva supporre che lo scrittore avesse un voto altissimo in Italiano. «Ecco qua, D'Ignoto Felice, settantasettecentesimi e io ca manco t'avissi vinnutu pi deci centesimi» rise da solo, mentre io guardavo sto coso che sembrava stampato agli inizi del '900. «Bene. Allora ci salutiamo qui, signòppreside» e lui mi strinse la mano. «Fu un grande piacere averla nuovamente dentro le mura di questa mondezza, ogni tanto venga a trovare a sto povero relitto...se non mi sposto alle Bahamas! AHAHAHAH!» - schiamazzava così tanto che io, perplesso, credevo gli stesse per venire un attacco di cuore e ovviamente non ridevo. Uscii da lì e vidi il bagno, entrai ed era tutto come lo avevo lasciato. C'erano persino i segni delle sigarette che avevo spento sul muro e la scritta "Laganà figlio di puttana" scritta col correttore bianco sulla cornice in legno della porta mancante del cesso. Quella porta si trovava da qualche parte fuori dalla finestra dell'aula in cui studiavo. Andai via da quel posto a passo lento e poi presi un caffè alla macchinetta dietro il banco di Gollum, che ovviamente non dava resto. Lasciai quei venti centesimi, bevvi il mio caffè e passai a salutare Bruce Willis «Una buona giornata, arrivederci!» alzò lo sguardo e disse «anghe-anghe-anghe a lei!». Scesi le scale e andai via col mio diploma ricordo da settantasette centesimi.


SID-anghe-SIDDIOLO

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