Svolgimento Un pomeriggio che c'era troppo caldo per stare a mare lo andai a trovare – ciao Antonio, hai la faccia a cazzo di cane! - e lui a guardarmi male, lo so, studio troppo; nella sua stanza una fisarmonica di libri aperti, il divano impraticabile - sedetti per terra -; finisco di leggere questa cosa, un attimo solo, mi disse Antonio e poi, senza che glielo chiedessi, mi rivelò con il tono di una scoperta che Roma non è una città, cosa è allora?, è uno stato mentale, suggestioni letterarie, Virgilio e le donne grasse di Fellini, Roma dei cardinali che sfilano e delle periferie di Pasolini, Roma di Cinecittà.. Roma pronunciata già senza le troppe r della nostra inflessione, e mi sembrò diverso, sfuggente, lo guardavo mentre quello che conoscevo di Roma - il Colosseo e l'Altare della Patria - gli scorreva negli occhi persi e mi sembrò ancora più lontano, e una ventata di malinconia mi pose fuori dal mio corpo e mi sentii schiacciato, lui che non apparteneva più a Casteldaccia, a Palermo, alla Sicilia e io che invece ci affondavo, più lui si allontanava e la sabbia dove io vedevo i miei piedi immergersi si trasformava in cemento, filamenti lunghi fuoriuscivano dalle unghie, dai talloni, dalla monta, penetravano la materia dura percorrendone le crepe e ancorandosi saldamente quanto più lui accumulava velature da pittura rinascimentale sull'immagine della sua Roma, e le musiche di Rota per gli sguardi di Giulietta Masina, e il libro intonso che pensavo fosse la mia vita ad ogni sua parola perdeva pagine sino a diventare una copertina misera, appena lo spazio per il nome e cognome e la data di nascita e quel nato a Palermo maledetto, e io che guardavo ai suoi appunti scritti con calligrafia minuscola, alle foto dei film che lui aveva visto e che io avrei voluto vedere, alle citazioni tirate fuori dai libri che lui aveva letto e io messo in conto di leggere al più presto, i contatti telefonici che non avevo, gli indirizzi di luoghi importanti che non conoscevo, le annotazioni per tracciare i caratteri di un personaggio o la trama essenziale del film che prima o poi avrebbe diretto, la sua opera prima che per lui era un fatto aleatorio mentre io vedevo già la locandina con il suo nome in qualità di regista; nella sua stanza cominciò a muoversi aria, e forse anche fogli, mi sentii distratto, assente tra le cose del mondo a succedermi attorno, immobile tra le auto che rombano, la gente che si spintona, i bambini che leccano il gelato, le piante che respirano attraverso la porosità delle foglie. La patina sottile di zucchero che ricopre i dolci fatti in casa, così mi adagiai per terra, senza farmi male. Una manciata di secondi o forse di minuti, aprii gli occhi non so quanto tempo dopo, li sgranai cercando di comprendere dove fossi stato, Antonio a chiedermi se andasse tutto bene.GD(da L'estate che sparavano)
Magazine Diario personale
Svolgimento Un pomeriggio che c'era troppo caldo per stare a mare lo andai a trovare – ciao Antonio, hai la faccia a cazzo di cane! - e lui a guardarmi male, lo so, studio troppo; nella sua stanza una fisarmonica di libri aperti, il divano impraticabile - sedetti per terra -; finisco di leggere questa cosa, un attimo solo, mi disse Antonio e poi, senza che glielo chiedessi, mi rivelò con il tono di una scoperta che Roma non è una città, cosa è allora?, è uno stato mentale, suggestioni letterarie, Virgilio e le donne grasse di Fellini, Roma dei cardinali che sfilano e delle periferie di Pasolini, Roma di Cinecittà.. Roma pronunciata già senza le troppe r della nostra inflessione, e mi sembrò diverso, sfuggente, lo guardavo mentre quello che conoscevo di Roma - il Colosseo e l'Altare della Patria - gli scorreva negli occhi persi e mi sembrò ancora più lontano, e una ventata di malinconia mi pose fuori dal mio corpo e mi sentii schiacciato, lui che non apparteneva più a Casteldaccia, a Palermo, alla Sicilia e io che invece ci affondavo, più lui si allontanava e la sabbia dove io vedevo i miei piedi immergersi si trasformava in cemento, filamenti lunghi fuoriuscivano dalle unghie, dai talloni, dalla monta, penetravano la materia dura percorrendone le crepe e ancorandosi saldamente quanto più lui accumulava velature da pittura rinascimentale sull'immagine della sua Roma, e le musiche di Rota per gli sguardi di Giulietta Masina, e il libro intonso che pensavo fosse la mia vita ad ogni sua parola perdeva pagine sino a diventare una copertina misera, appena lo spazio per il nome e cognome e la data di nascita e quel nato a Palermo maledetto, e io che guardavo ai suoi appunti scritti con calligrafia minuscola, alle foto dei film che lui aveva visto e che io avrei voluto vedere, alle citazioni tirate fuori dai libri che lui aveva letto e io messo in conto di leggere al più presto, i contatti telefonici che non avevo, gli indirizzi di luoghi importanti che non conoscevo, le annotazioni per tracciare i caratteri di un personaggio o la trama essenziale del film che prima o poi avrebbe diretto, la sua opera prima che per lui era un fatto aleatorio mentre io vedevo già la locandina con il suo nome in qualità di regista; nella sua stanza cominciò a muoversi aria, e forse anche fogli, mi sentii distratto, assente tra le cose del mondo a succedermi attorno, immobile tra le auto che rombano, la gente che si spintona, i bambini che leccano il gelato, le piante che respirano attraverso la porosità delle foglie. La patina sottile di zucchero che ricopre i dolci fatti in casa, così mi adagiai per terra, senza farmi male. Una manciata di secondi o forse di minuti, aprii gli occhi non so quanto tempo dopo, li sgranai cercando di comprendere dove fossi stato, Antonio a chiedermi se andasse tutto bene.GD(da L'estate che sparavano)
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