Magazine Diario personale
I camion dei traslochi sono partiti: Caterina si siede, stremata, e chiama un taxi per l’aeroporto. Ha poco tempo, si riposerà arrivata a destinazione. Il taxi arriva dopo pochi minuti, Caterina si accomoda, distende le gambe e si sfila le scarpe: un sollievo per i piedi doloranti. Si massaggia il collo, rigido dopo una giornata di tensione e guarda fuori dal finestrino: sta piovendo.E’ ora di telefonare a Peter.
Se lo ricorda ancora quel giorno di sei mesi fa, quando Peter era arrivato a casa sorridente.“Ho fatto un colloquio per un posto da direttore generale, credo che sia andato bene”“Un colloquio? Per quale ditta? Perché non ne sapevo niente?”.“E’ una ditta americana, non la conosci. Ma non te ne avevo già parlato?” aveva risposto Peter, seduto sul divano con una sigaretta in mano.
“Me lo ricorderei. E dove si troverebbe questa ditta?”Peter aveva aspirato lentamente e ora, con la testa all’indietro, stava buttando fuori il fumo.“A Parigi”.“Parigi? Ma vuoi di nuovo spostarti ? Negli ultimi dieci anni abbiamo già girato mezza Europa: Milano, Roma , Francoforte. E ora Parigi”“Ma è’ una bella città, no? Ed è un avanzamento di carriera : direttore generale. Di-ret-to-re!”Caterina si era fermata di colpo, a la bocca aperta, poi aveva scosso la testa e aveva risposto decisa :“Ma chi se ne frega! E la bambina? Ha fatto amicizia, si trova bene qui!”“Ma dai, è piccola, farà amicizia anche a Parigi, non è un problema”“Ma che ne sai, tu non sei mai a casa! Ogni volta che cambiamo città è sempre più difficile per lei. Ha fatto fatica a imparare il tedesco e ora deve ricominciare con il francese” “Tanto devo sostenere ancora due colloqui, non è detto che il posto sia mio” Caterina aveva sospirato e si era seduta vicino a Peter.“Aspettiamo almeno che finisca le elementari, un paio di anni ancora”, poi guardando la sua espressione chiusa aveva aggiunto “Mi prometti almeno di pensarci?” Nessuna notizia per dei mesi, fino alla settimana scorsa: Peter era in cucina, stava fischiettando un motivetto e lei si era affacciata alla porta “ E’ andata bene oggi? Mi sembri di ottimo umore” “Ho avuto l’esito dell’ultimo colloquio: il posto è mio”“E intendi accettare?”Peter aveva posato la borsa sul tavolo, l’aveva aperta e aveva tolto dei documenti, poi l’aveva richiusa.“Ho già accettato” le aveva risposto senza guardarla“Ma non dovevamo pensarci? Parlarne ancora?” Peter si era tolto la giacca e l’aveva appoggiata sullo schienale della sedia .“Ho accettato. È un’occasione da non perdere. Inizio subito”“E noi? E il mio lavoro? Il trasloco?”Caterina si stava mordendo le pellicine delle dita fino a farle sanguinare.“Calma, calma. Per ora vivrò in un alloggio, a carico dell’azienda. Quando avrò trovato un appartamento più grande, adatto a noi, mi raggiungerete. Nel frattempo cerchiamo di vendere questa casa, tu puoi metterti in aspettativa. Io non potrò occuparmi del trasloco, ma tu sei così brava a farlo!”Peter era partito per Parigi e aveva trovato subito l’alloggio adatto. Così lei aveva chiamato la ditta di traslochi e l’agenzia immobiliare. I nonni erano venuti a prendere la bambina, per permetterle di sistemare tutto in santa pace.Caterina aveva aperto l’armadio e si era seduta sul letto: al suo interno tante scatole, su ognuna l’indicazione del contenuto ; “calze”, “magliette bianche”, “magliette colorate”, “borse”, “sciarpe e cappelli”, “cinture”.All’ingresso della stanza, appoggiati allo stipite della porta, c’erano alcuni scatoloni vuoti, portati dalla ditta di traslochi.Era brava a fare i traslochi, ha ragione Peter, aveva già stampato al computer le etichette da incollare, di un colore diverso per ogni stanza. Era rimasta a guardare nel vuoto per parecchio tempo, non sapeva neanche dire quanto, poi aveva preso un pennarello nero e aveva aggiunto, su ogni etichetta, la destinazione: Parigi o Milano.Aveva iniziato a prendere i contenitori dall’armadio, a dividere gli indumenti suoi da quelli di Peter, e riempire gli scatoloni: sotto gli indumenti che non si stropicciano e sopra quelli più delicati.Piegava con cura la sottoveste di seta, comprata per il viaggio di nozze, indossata sempre più raramente negli anni successivi ; il maglione di lana spessa usato in montagna per la prima vacanza insieme; aveva tenuto per ultimo il vestito da sposa, indecisa com’era se tenerlo o no, simbolo di promesse non mantenute. Nello scatolone con la scritta “ Parigi” aveva messo quell’orribile camicia a quadri che Peter si ostinava a ripescare dagli indumenti da dare in beneficienza ogni volta che lei cercava di farla fuori, quasi a volerle fare un dispetto; gli abiti nelle varie tonalità di grigio, noiosi com’era diventato lui negli ultimi anni .Ora, mentre dal taxi vede sfilare via i panorami bagnati di Francoforte, aspetta che Peter risponda alla sua chiamata. “I camion sono partiti ora. Il tuo arriverà a Parigi verso le 20, cerca di essere lì almeno per aprire loro la porta. – alle urla di lui allontana il cellulare dall’orecchio e poi riprende – ma come, non ne abbiamo parlato? Raggiungo Elizabeth a Milano. Ho trovato anche un lavoro in uno studio legale, comincio subito. Prova per sei mesi e poi vedremo” . E chiude la comunicazione con un sospiro di soddisfazione.
Sabrina Ercole Bidetti
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