Magazine Diario personale
Forse è perché della notte scura che abbiamo paura. Il buio, il nero, l’abisso con i suoi fottuti occhi profondi. L’abisso che ha le urla dei mostri che afferravano con le loro unghie le nostre caviglie che rimanevano penzolanti fuori dal letto. L’abisso che conosce il nostro nome e ci chiama col tono della matrigna che ci chiude in camera per scoparsi nostro padre.
La notte che fa diventare i fiori neri, che fa perdere il colore a tutte le cose, o solamente ridà a tutte le cose il loro vero colore. La notte, ogni tanto butterata di stelle, con i randagi che abbaiano e graffiano ai portoni per un tozzo di pane imbevuto di sangue, che vogliono anche loro un posto caldo dove dormire tranquilli senza rischiare di svegliarsi senza un rene o con un coltello che si è fatto da parte a parte la loro gola.
Il cigolio di una vecchia porta che si protrae lento e calmo e stridulo come le vecchie unghie di una maestra sulla lavagna nera. Il battere di un bastone in piena notte sulla ringhiera di ferro, forse battuto dal vento, forse battuto da un vecchio diavolo venuto a rubarci quel poco di anima che ci rimane.
I ragni se ne vengono fuori dai loro buchi, ci zampettano addosso, ci bisbigliano la nostra povertà, ci entrano in bocca, nelle orecchie, nelle narici. Ci esplorano, ci punzecchiano, ci defecano in bocca i loro veleni. Costruiscono trappole nel buio, si pendono dal soffitto e sperano di non diventare mai come noi.La casa che ogni tanto si fa sentire, la casa vecchia che ha visto i vecchi padroni morire dentro di essa, che la considerano ancora loro, che si mostrano presenti sulla scena attraverso una luce che sfarfaglia più del dovuto, con una televisione accesa che non lo dovrebbe essere, con una luce veloce che passa sotto la fessura della porta, con un coltello che cade e un armadio che si spalanca improvviso.La notte che passa con la voglia umana di stringere un corpo, un qualsiasi corpo. Ma contando i soldi sparsi dentro ad una scatola ci si accorge di non potersi permettere nemmeno una libbra della carne di quel corpo che vorremmo abbracciare. E il letto rimane freddo, come una bara, fatta su misura per un essere solo, una sepoltura da vivo sotto un paio di coperte ben spesse. Coperte attorcigliate attorno a te che non ti danno il tempo di respirare o di espiare ai tuoi numerosi peccati. E senti andar giù, senti la corde che sorreggono la bara che piano piano ti accompagnano nella fossa scavata apposta per te nella notte. Sempre più giù, solo, senza nemmeno la compagnia dei randagi e dei ragni che ti hanno sempre accompagnato. È venuto solo un demone, a ricordarti che la tua anima l’avevi persa anni addietro e che è ora di dare al vecchio caprone la sua parte.Non accendere nessuna luce di notte, serve solo a fare il gioco del male. Ricorda la favola di Amore e Psiche, un lume non porta altro che altra perdizione. Non accendere la luce, ci sono le gorgoni con i loro occhi dorati che aspettano. Non accendere la luce, le falene muoiono. L’ombra nasconde le ombre e certe cose è meglio non vederle. Neppure immaginarle, perché nel cranio, tenuti al buio ci sono i sogni più assurdi, così assurdi da essere incubi. E ogni incubo una voce, ogni voce un volto, ogni volto una bocca, ogni bocca un abisso nel quale guardare e compiacersi.Tenebre intorno, tenebre dentro e un Dio della luce che dimora troppo distante da noi per potersene rallegrare.
Andrea Roma
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