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Il primo ad arrivare fu l’ospite meno atteso.
Il maestrale si presentò con un giorno di anticipo, senza preavviso e senza regalo. Ninella lo aveva sentito dal letto ed era rimasta immobile, attonita. Un po’ come quando ti svegli e senti che ti è venuta la febbre. Allora ti giri dall’altra parte, ti metti in posizione fetale, e speri che i brividi ti lascino in pace. Ma lei conosceva troppo bene il rumore delle sue persiane nei giorni in cui arrivava quel vento. Fastidioso, insistente, una campana che non smette mai di suonare. Si stava avvicinando il grande appuntamento, con il suo carico di sogni e parenti.
Ninella non pensò all’abito bianco di Chiara, ma al suo. La parte bassa avrebbe spiccato il volo scoprendole le gambe, e finalmente tutti si sarebbero accorti che non aveva la cellulite. O almeno, a lei non pareva di averne, pur essendo un po’ sovrappeso. Sicuramente ne aveva meno della consuocera, e questo era più che sufficiente per allontanare la paura.
Per lei il maestrale era la peggiore sventura che si potesse abbattere su un matrimonio. Quasi come una bomboniera sbagliata, due cugini che restano senza tavolo, o due cozze che restano sullo stomaco. Perché nelle settimane successive – nei mesi, addirittura – gli invitati avrebbero raccontato tutto iniziando con: “Se non ci fosse stato il vento”, dedicando meno parole alla sala, alle rose, alla sposa e alla casa.
Mancava ancora un giorno, e il maestrale a volte dura solo ventiquattr’ore. Se però aveva deciso di farsi sentire proprio alla vigilia delle nozze di sua figlia, non li avrebbe lasciati fino a quando l’ultimo parente avesse finito di mangiare la torta zebrata.
Si alzò dal letto e, prima di affacciarsi a vedere il mare – voleva ritardare quel momento – si avvicinò allo specchio. Il volto tondo, il decolletè generoso, la bocca carnosa di chi sa baciare. Davanti alla sua immagine riflessa, si sentì quasi in colpa per il sorriso che le era comparso mentre si accarezzava la testa. Stava per farsi i colpi di sole.
Li aveva desiderati da mesi, i colpi di sole, da quando li aveva visti a sua cognata, che la faceva sentire ogni volta una provinciale. Lei che andava alla Spa, aveva una foto con Mara Venier e diceva frasi come: “dovresti provare lo yoga”; e “come fai a non avere ancora il Bimby”.
Ma venatinn’, mormorava Ninella. Ora che però aveva trovato il coraggio di cambiare tono al suo castano monocorde, il vento le scombinava i piani. Per fortuna nulla avrebbe potuto fermare la lacca di Lucia Coiffeur!
Guardò il mare della sua Polignano e provò a intonare: “Volare, Oh-Oh, Cantare… Oh-Oh-Oh-Oh”. Dopo un momento di euforia, venne assalita dalla commozione. Sembrava schizofrenica.
Se l’avessero vista le sue vicine, si sarebbero sorprese nell’osservare una donna tanto sicura di sé in balia dei nervi. Ma alla mamma della sposa tutto è concesso, soprattutto se vedova. Spalancò definitivamente le persiane, le fissò ai lati, si lasciò investire dalla luce e riprese a cantare: “Nel blu, dipinto di blu, felice di stare lassù, con te”.
Si preparò cercando di fare meno rumore possibile, per non svegliare le figlie, mentre imprecava sottovoce contro tutto e tutti: “Ma cazzo!”, diceva sempre. Se la prese pure con le previsioni che avevano annunciato “mari calmi o leggermente mossi”. E questo vi sembra leggermente mosso?
Prima di uscire, vide il capro espiatorio contro cui sfogare la rabbia che le stava montando: il piatto della Cote d’Azur appeso al muro. Uno di quegli oggetti ricordo che stava lì da anni e che non era mai riuscita a digerire, né a far sparire, con il bordino d’oro e le immagini stilizzate di Menton, Cannes, Nice e Antibes. In mezzo, un termometro a mercurio che non si era mai mosso oltre i 12 gradi. Conosceva ogni dettaglio di quel piatto, perché sua cognata – che per tutti era zia Dora – ogni volta glielo indicava dicendo: “Quando andrai in Costa Azzurra devi sentire che buona la ratatouille”.
Ninella chiuse tutte le porte, si rintanò in un angolo della cucina, staccò il piatto dal muro e lo lasciò cadere a terra. Sentire quel rumore le diede un sollievo istantaneo e due nuovi grattacapi: cosa avrebbe detto a zia Dora quando avrebbe visto che il piatto non c’era più?;
il mercurio è tossico?
Acchiappò quella goccia con non poche difficoltà e provò a disperderla nel lavandino sentendosi subito in colpa. Non raccolse nemmeno i cocci di Menton e Antibes. Si tirò indietro i capelli, mise in testa un cappello che secondo lei la slanciava, e in un attimo si trovò in strada. Il vento non sembrava poi tanto forte, e il cielo era così azzurro da rassicurarla. La rassicurava meno la signora Labbate, che la spiava dietro le persiane, e che sicuramente un po’ gliel’aveva tirata perché aveva ricevuto solo la partecipazione. Lei se ne fregava e si difendeva dietro spalle larghe e una determinazione che non l’aveva mai abbandonata. Tutte le volte che era stata sul punto di sprofondare, si era sempre aggrappata alla sua casa.
La casa era l’unica certezza che aveva: era in pietra, ed era a picco sul mare. Da lì si poteva volare o farla finita. Bastava un salto e nessuno avrebbe saputo più nulla di lei. Ma Ninella si era sempre arresa alla vita, e ora, a cinquant’anni appena compiuti, ce l’aveva quasi fatta a essere felice.
Raggiunse piazza dell’Orologio a passo spedito, cercando di calpestare tutte le righe che delimitavano le chianche dei vicoli. Quel gioco un po’ infantile era il suo modo di evitare lo sguardo dei passanti.
La piazza era di un bianco splendente, interrotto solo dai tetti e dal cielo. Entrò nella chiesa Matrice, che negli anni era diventata la sua seconda dimora. Quando in casa c’era troppo rumore, lei si rifugiava in chiesa. Stava lì in silenzio, senza pregare né pensare. Si svuotava semplicemente la testa, divertendosi a essere scambiata per una persona devota. Con San Vito aveva la confidenza che si può avere con certi sconosciuti. Ogni tanto gli parlava e si raccomandava a lui, senza esserne troppo convinta. Ma quando si è soli è più facile parlare con i santi.
Si mise a sedere e cominciò a brontolare che lui non gliela doveva fare, questa cosa del vento. Lei non si era mai persa una processione e una volta aveva partecipato anche con 37.5 di temperatura, che per tanti non è febbre ma per lei sì. Per questo un po’ se lo aspettava, un piccolo miracolo, e non le sembrava di chiedere chissà che.
Mentre usciva, davanti al portone su cui si soffermava ogni volta da quanto era bello, incontrò la signora Labbate, che forse l’aveva seguita e non perse occasione per ribadire: “Proprio oggi doveva alzarsi, ‘sto vento, proprio oggi. Ho sentito che dura una settimana”.
Ninella fece le corna di nascosto e non disse nulla. Poco dopo, però, fu costretta ad affrontare la questione perché tutte le persone che incontrava non facevano altro che dire: “Che sfortuna, proprio oggi”, e lei pensò che neanche nei Malavoglia succedeva una cosa del genere, che la gente ti faceva le condoglianze per una giornata così.
In cuor suo sapeva che il maestrale non era solo il vento che spazza via tutto e non vuole sentire ragioni. Era l’ultima prova da superare.
Le lacrime fecero capolino ma le scacciò con le mani e la volontà, esercizio che ormai le riusciva senza sforzi. Tornò a casa facendo un giro strano tra i vicoli, quasi a far perdere le sue tracce.
Aprì la porta facendo meno rumore possibile. Le sue figlie ancora dormivano, ciascuna nella sua camera, in quel piccolo mondo che era un saliscendi di scale e stanzette ad eccezione di una: la cucina. Grande, piena di luce, di piatti e di mare.
Vista da una barca, sembrava uno scoglio da cui tuffarsi, e più di una volta aveva fatto entrare i turisti in casa per fargliela vedere. “Very beautiful”, le dicevano sempre. Be-a-u-ti-ful. “Ma mica è un trullo?”, mormorava quando andavano via.
Salì in camera e le sembrò di ritrovare suo marito nella stessa posizione in cui lo aveva visto dormire per anni, con il sorriso sul volto e le mani sotto il cuscino. Quel venerdì, però, non c’era niente da ridere. Si tuffò nel letto all’indietro come una bambina. Con gli occhi incollati al soffitto, pensò che mancava ancora un giorno al grande passo. E in un giorno potevano accadere tante cose.Luca Bianchini
Dedica dell' autore Cara maestra, non cercare di essere imparziale... perché fa parte degli esseri umani avere sempre qualche preferenza. Cerca piuttosto di non essere noiosa!!!
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