Conosco Francesco da cinque anni.
Ricordo ancora la prima volta che l’ho visto: eravamo a Bologna, alla libreria Betty Books, tra falli di gomma e vibratori da tasca (era un circolo che promuoveva il piacere della donna), e lui presentava la prima raccolta della casa editrice che aveva appena fondato con suo cugino Angelo, l’allora sconosciuta Neo Edizioni. Aveva una barba folta e spettinata, i capelli ricci attorno al viso, un maglione di lana sapientemente trasandato, e gli occhi di tutte le donne presenti addosso. Con il tempo, io e Francesco ci siamo conosciuti bene – lui è diventato il mio editore, e poi uno dei miei migliori amici. Ci capita spesso di andare in giro insieme – alle fiere del libro (non solo Torino: c’è stata anche la commovente desolazione di Lugo), alle presentazioni, nei bar a prendere un caffè (corretto Sambuca), nelle pizzerie a orari impossibili. E ogni volta è sempre la stessa storia: entriamo, e tutti gli occhi di tutte le femmine presenti nel raggio di cento metri si girano verso di lui. Mi aspetto di vedere scritto sulle palpebre: “Kiss me”, come nei film di Indiana Jones. Ogni cosa che dice – basta un “ciao a tutti” – crea uno scompiglio nei cuori di queste ragazze, di queste madri, di queste nonne di ragazzi che avrebbero potuto essere stati compagni di classe di Francesco. Io, con la mia frittatina di pelo in testa, gli occhi sporgenti, la barba a macchie, la panzetta, il mio sguardo normale, i miei lineamenti di tutti i giorni, divento una creatura trasparente.
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Nel mio periodo oscuro, attorno ai trent’anni, andavo con un certo Chicco in una specie di discoteca che si trovava in centro a Padova – e ci sono giorni in cui mi chiedo se sia mai esistita veramente: penso che se tornassi lì, ora, troverei un cratere, o l’ansa di un fiume, o una casa di quelle che se ci suoni il campanello ti risponde una vecchietta che dice di aver sempre vissuto lì.Andavamo lì per ozio, per vizio, per malvagità. Ci mettevamo ai bordi della pista, stravaccati su poltroncine di pelle rossa – come romani del tardo Impero, Eliogabalo e il suo sodale più corrotto - con due tanichette di gin tonic, l’occhio che era l’acquario di un ristorante cinese, e guardavamo la battaglia che si consumava sotto la sfera di specchietti e le luci strobo. Due eserciti – i ragazzi e le ragazze - si combattevano a colpi di ancheggiamenti, mosse alla Toni Manero, sguardi ammiccanti, labbra turgide, ascelle profumatissime. E come nella mitologia greca, i primi che se ne andavano erano i più belli: la più figa della discoteca usciva di pista con il macho di turno, per andare a farsi esplorare nei divanetti vicini al nostro. Si elidevano così, a vicenda, una coppia dopo l’altra. E noi, come cinesi, aspettavamo. Che i cadaveri passassero lungo il nostro fiume. Ci chiedevamo: quanto tempo passerà perché quel cesso, largo e basso, con il mento installato al contrario, si renda conto che non la tirerà su nessuno? O perché quel cane pechinese con le tette capisca che il ricciolino con gli occhi azzurri e la camicia attillata ha progetti ben diversi sul come e sul dove passare la notte? Non serviva sforzo: puntavamo sulla disperazione che avrebbe colto quei mostri quando si sarebbero trovate sole nella pista, finalmente consce che nell’abominevole gioco dell’attrazione fisica loro erano inesorabilmente perdenti. E quando finalmente avrebbero rivolti i loro occhi strabici su di noi – ormai ubriachi fradici e con le gambe di pongo – allora noi ce ne saremmo andati – eravamo cattivi, ma non così brutti - per ribadire loro il concetto che avevano intuito: che se sei un cesso, in discoteca nessuno ti guarderà mai.
**La risposta di Topolino fu nel suo stile: diplomatica. Non ti preoccupare ecc ecc Vedrai che capirà ecc ecc. Le solite fanfaluche su non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, nelle sue diverse varianti.Ma io avrei risposto così:Caro rospo,il fatto che tu abbia capito di essere brutto, è già un successo. Ma non basta. Infatti tu pretendi che la tua principessa ti legga nel cuore, quando tu, per primo, l’hai scelta solo per la sua bellezza. In realtà, tu non sei diverso da lei, come lei non è diversa da una persona normale: per tutti, è bello ciò che è bello, mentre ciò che è brutto è semplicemente brutto.Se un giorno andrai in discoteca, capirai tutto: la forma del naso, le dimensioni delle tette, il culo – la sua consistenza, il suo design – il colore degli occhi sono i parametri con i quali si è giudicati: ma soprattutto sono i parametri con i quali tu giudicherai – nonostante la tua bruttezza – chi ti sarà accanto.Se lo trovi sbagliato, allora, oltre ad essere brutto, sei anche stupido. O cattolicamente ipocrita. La bellezza non è un merito: è il dono di un dio idiota, che dispensa lineamenti e sguardi assassini senza alcuna logica. Allo stesso modo, essere brutti non è una colpa, ma solo un dato di fatto. E conviene rassegnarsi: smetterai di vestirti come un fighetto – nonostante tu abbia la pancia o la gobba o se all’anagrafe, quando ti fai la carta d’identità, ti chiedano: “quanto è basso, signore?” – e smetterai di pensare che sia la discoteca il posto giusto per trovare la tua anima gemella. Smetterai di lanciare occhiate strabiche da sotto gli occhiali che ti scivolano sul naso pieno di brufoli, di girare su un Alfa con il braccio appoggiato sul finestrino credendoti Don Johnson, mentre a tutti ricordi Alvaro Vitali.Questo non significa che devi rinunciare alla figa: se sai parlare bene, se sei simpatico – o, in alternativa, se sembri un uomo di successo – alla fine potrai conquistare il cuore di qualsiasi donna, indipendentemente dalla tua faccia. Ci metterai solo un po’ di più: dovrai mandare sms, scrivere mail, parlare ore al telefono, farla ridere, farle capire che con te sarà felice. Inventarti mondi stupefacenti. Il tuo essere brutto ti renderà migliore – a cosa servono le parole a uno come Brad Pitt? Ma quando entrerai nei bar con qualcuno più bello di te, non ci rimanere male se nessuna ti guarda.Perciò, caro tafano, prima di parlare, prima di scrivermi queste lettere, fatti il cesso della tua classe – guardandole dentro al cuore. Poi ne parliamo, ok?Il tuo bellissimo amico Topolino
Paolo Zardi