Quella sera a Cammello fu servita la cena abbondante che precede i lunghi viaggi, accompagnata da un centinaio di litri d'acqua. Presto, forse la mattina dopo, si sarebbero messi in marcia. Erano le notti che preferiva, quelle in cui si attendeva la partenza: il brusio dei servi che preparavano le borse, le provviste accatastate, le candele accese. Più tardi, quando tutti già dormivano, vide il suo padrone alzarsi, andare verso le stalle, e guardare in alto, a scrutare il cielo, ancora inquieto. Qualche volta, durante le notti passate in mezzo al deserto, accampati in una valle silenziosa, vicini a una pozza d'acqua, l'aveva sorpreso a parlare con la Luna. Pareva che le domandasse a cosa servissero tutte quelle stelle, cosa fossero quell'immensa solitudine, quel silenzio sconfinato. Il cielo, là sopra, sembrava non finire mai; e il mago della mirra stava là sotto, piccolo come una formica, e parlava alla Luna fino a quando il fuoco non si spegneva, e allora si avvicinava a Cammello, gli dava uno scappellotto in testa e gli diceva beato te che non pensi a nulla; poi si metteva accanto alle braci e con un legno le ravvivava, e a lui sembrava che gli occhi del suo padrone luccicassero. E quella notte era proprio una di quelle notti in cui le stelle del cielo sembravano voler dire qualcosa – qualcosa sull'essere grandi, e qualcosa sull'essere piccoli – ma era una lingua che gli uomini non capivano: pensavano troppo. Poi le palpebre iniziarono a pesare per il sonno, e proprio mentre si stava addormentando gli parve di udire in lontananza il pianto di un bambino, il dolce ssshh di una mamma, il fruscio di una carezza ruvida e paterna, il lento respiro di due bestie che con il fiato scaldavano l'aria fredda. Allungò il collo e si guardò intorno. Non c'era nessuno, ma non si preoccupò: sapeva che le cose esistevano anche se non le potevi vedere. Intanto i servi avevano spento le candele, e il padrone era tornato in casa: allora, con un sospiro appoggiò la testa sulla sabbia, e chiuse gli occhi, e sotto il cielo stellato iniziò a sognare la notte in cui sua madre, la creatura più dolce della terra, lo aveva messo al mondo, nel tepore di una stalla.Paolo Zardi
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Quella sera a Cammello fu servita la cena abbondante che precede i lunghi viaggi, accompagnata da un centinaio di litri d'acqua. Presto, forse la mattina dopo, si sarebbero messi in marcia. Erano le notti che preferiva, quelle in cui si attendeva la partenza: il brusio dei servi che preparavano le borse, le provviste accatastate, le candele accese. Più tardi, quando tutti già dormivano, vide il suo padrone alzarsi, andare verso le stalle, e guardare in alto, a scrutare il cielo, ancora inquieto. Qualche volta, durante le notti passate in mezzo al deserto, accampati in una valle silenziosa, vicini a una pozza d'acqua, l'aveva sorpreso a parlare con la Luna. Pareva che le domandasse a cosa servissero tutte quelle stelle, cosa fossero quell'immensa solitudine, quel silenzio sconfinato. Il cielo, là sopra, sembrava non finire mai; e il mago della mirra stava là sotto, piccolo come una formica, e parlava alla Luna fino a quando il fuoco non si spegneva, e allora si avvicinava a Cammello, gli dava uno scappellotto in testa e gli diceva beato te che non pensi a nulla; poi si metteva accanto alle braci e con un legno le ravvivava, e a lui sembrava che gli occhi del suo padrone luccicassero. E quella notte era proprio una di quelle notti in cui le stelle del cielo sembravano voler dire qualcosa – qualcosa sull'essere grandi, e qualcosa sull'essere piccoli – ma era una lingua che gli uomini non capivano: pensavano troppo. Poi le palpebre iniziarono a pesare per il sonno, e proprio mentre si stava addormentando gli parve di udire in lontananza il pianto di un bambino, il dolce ssshh di una mamma, il fruscio di una carezza ruvida e paterna, il lento respiro di due bestie che con il fiato scaldavano l'aria fredda. Allungò il collo e si guardò intorno. Non c'era nessuno, ma non si preoccupò: sapeva che le cose esistevano anche se non le potevi vedere. Intanto i servi avevano spento le candele, e il padrone era tornato in casa: allora, con un sospiro appoggiò la testa sulla sabbia, e chiuse gli occhi, e sotto il cielo stellato iniziò a sognare la notte in cui sua madre, la creatura più dolce della terra, lo aveva messo al mondo, nel tepore di una stalla.Paolo Zardi
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