Magazine Diario personale
Svolgimento
La mia famiglia non ha mai amato gli animaliIn sostanza, abbiamo avuto Moby e poi un gatto, che non mi ricordo più. Basta. Moby era un bastardino, grande come un volpino, bianco e marrone. Bruttino e simpatico. Il resto della famiglia gli voleva bene, io invece lo amavo. Avrò avuto forse dieci anni. Mi sdraiavo nell’erba, lui partiva dalla parte opposta del giardino e a mille all’ora arrivava dritto sul mio orecchio destro e me lo mordeva. Passavo i pomeriggi così.Il latte era contenuto in bottiglie di vetrocon il tappo di stagnola. Il vecchio lattaio, lo Zoppi, aveva fatto la Resistenza ed era il comunista numero uno del paese. Lui rosso, il latte bianco, e i due colori che mi si confondevano in testa. Passava con un ape scassato, per giunta verde, e lasciava la bottiglia sul muretto. Alla mattina presto, almeno i bambini potevano fare colazione con il caffelatte. D’inverno, se non andavi alla svelta a ritirarlo, il latte ghiacciava e la bottiglia esplodeva. Noi bambini eravamo più contenti se esplodeva. Alla sera bisognava rimettere la bottiglia vuota sul muretto. E se ti dimenticavi di metterla, erano guai. Guai seri.Avevamo traslocato in una casa nuova, una villetta bifamiliare. Sotto aveva il garage e due stanze non ancora finite. Noi vivevamo di sopra. La mamma passava molte ore al pianterreno, perché lì c’erano la lavanderia e il giardino da curare. Scendeva alle dieci del mattino, stava giù fino a mezzogiorno, poi risaliva per preparare il pranzo. Noi arrivavamo tutti puntuali all’una, affamatissimi. Nel pomeriggio, lei scendeva verso le tre e mezzo, e risaliva alle sei. I suoi orari erano così, programmati. Non è che potesse di continuo salire e scendere. E quando scopriva di essere scesa senza aver portato giù la bottiglia di latte vuota, si arrabbiava con se stessa perché le rimaneva il pensiero di doverla riportare nel pomeriggio, così le veniva il cattivo umore. E, magari, lo dimenticava ancora.A un certo punto, per evitare tutto questo, le era venuta un’idea. Un pomeriggio di primavera, quando l’erba è bella alta, aveva provato a buttare giù dal balcone una bottiglia vuota, e quella non si era rotta. Scendeva e se la ritrovava giù da basso: problema risolto. Perciò, finita la colazione, andati tutti via, lei rimaneva in cucina e buttava giù la bottiglia. Poi, dopo, con calma, la metteva sul muretto. Ognuno ha delle cose apparentemente insignificanti di cui è contento, che gli rendono più fluida la giornata. Lei buttava giù la bottiglia. Io giocavo con Moby, un pomeriggio di primavera L’erba era alta e io mi sdraiavo e lui mi mordeva le orecchie e io lo prendevo e lui scappava come il vento, poi io mi sdraiavo ancora e lui arrivava in picchiata. Ci divertivamo un sacco, e anche Moby scappava ma rideva. A un certo punto la mamma si affaccia dalla finestra con una bottiglia in mano. E io, che sono sdraiato, la vedo e le grido subito di non buttarla perché c’è il Moby in giardino. ‘Ma dai, non vedi come corre in giro’. ‘Non buttarla, vengo su io dopo a prenderla’, le dico, ma lei niente, sembra che si sia fissata e la voglia proprio lanciare. Grido ancora, ‘no, mamma, no, no, no nooooooo’ La bottiglia è venuta giù al rallenti.
L'ha colpito in pieno, in testa. Correva in giro a mille all’ora, eppure l’ha colpito. Era piccolo, veloce, una saetta. Il giardino era grande. Voglio dire, mamma non aveva mai dato prova di abilità in cose di quel genere. Ma l’ha preso in pieno. Una scena terrificante. Si è come bloccato di colpo, si è tutto raddrizzato, non ha nemmeno abbaiato. Ho lanciato un urlo terribile, ho guardato mia mamma con le mani sulla faccia. Non è morto sul colpo. Si è come ripreso, ha vomitato, ha tremato per ore, io l’ho vegliato per due giorni, poi è anche sembrato guarire, ma non era più quel cane. Era lento, impacciato, triste. Non correva più, non mi mangiava le orecchie. Non capiva, non rideva. Poi, con infinita tristezza, è andato. Fine dei cani.
I genitori dovrebbero essere buoni e soprattutto non fare male a dei piccoli indifesi, come era Moby. Com’ero io. Per quello non ho mai capito perché la mamma non mi abbia ascoltato e abbia buttato giù la bottiglia. E’ un po’come se avesse preso anche me. Non sono mai riuscito a dimenticarmelo. E lei lo sa. Il rancore è durato molto tempo, sottile, ma resistente. 26 anni dopo, me ne sono andato di casa.
Le bottiglie di latte sono scomparse da tanto tempo Al mattino faccio colazione al bar, cappuccino e brioche da almeno venti anni. Eppure l’ho capito solo un paio di settimane fa. Non so perché, forse guardando un altro cane che correva dietro una pallina. Una folgorazione improvvisa. Certo, non toglie tutte le colpe a mia madre, ma chiarisce un punto fondamentale. E’ stato lui, che è corso verso la bottiglia. E’ un istinto che hanno i cani. Lanci una cosa e loro vogliono prenderla al volo. Ha visto la bottiglia cadere e le è andato sotto per prenderla. Non che questo migliori le cose, tra me e mia madre. Però penso che, forse, un giorno la perdonerò.
Angelo Ghidotti(mamma, Moby a parte, ti voglio bene)
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