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Tema: Pensa al male se vuoi il bene

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« Sbrighiamoci, dai, sono già le sei e siamo ancora qui! » - disse Tom, che sembrava vestito come un manichino in partenza per il paese di Natale. L’ora del volo sembrava arrivare direttamente dall’inferno e il caos era travolgente in casa. Claude era già pronta ed aspettava borbottando di quanto fosse deleteria per lei una sveglia che non contasse almeno undici ore di sadico sonno, muovendo nervosamente il piede sinistro. Non capiva come mai per accompagnare suo fratello all’aeroporto, dovessero smuovere il mondo intero, in fondo si trattava di qualcosa che accadeva spesso e poi i suoi viaggi non duravano mai più di due giorni. « Dimentichi nulla? Hai portato i caricabatteria? Il dentifricio? Ah! Ti ho messo il Gaviscon nella borsa insieme all’Oki e ai sanitari. A che ora parti? Non è tardi? » - la madre di Ted, Laura, era una donna molto pensierosa, una di quelle che “pensa al male se vuoi il bene” e la cosa poteva toccare il tragicomico in alcune situazioni, come ad esempio la prima volta che Ted partì in aereo e dovette lasciare in aeroporto circa metà della valigia. Non tardò l’arrivo dell’ennesimo richiamo per l’ispezione di routine pre-partenza, che prevedeva una rilettura della lista delle cose da portare via interrotta dalle proteste dei figli. Seguì un silenzio tombale, rotto poi dall’accensione dell’auto e dal giornale radio.
Arrivati in aeroporto Ted comprò le sigarette e salutò tutti. « Mi raccomando, non fare entrare nessuno in camera mia e stai tranquilla, tanto torno domani. Io non capisco come mai devo portarmi tutta ‘sta roba per star fuori un giorno soltanto. Sei paranoica! » sorrideva comunque, mentre sua madre rispose come al solito « Pensa al male se vuoi il bene ». Si allontanò e andò ai controlli. Si tolse gli stivali e la cintura, il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e li posò all’interno della fastidiosissima bacinella celeste, la valigia, invece, la mise direttamente sul tappeto automatico; attese che tutto passasse sotto al misterioso marchingegno e poi mostrò il documento alla guardia giurata che lo invitò a procedere di là dallo scanner. Prese tutto e proseguì. Si accorse di avere ancora venti minuti di tempo prima della partenza, si sedette e iniziò a leggere. Tolse il segnalibro e tornò a leggere del principe Myskin a pagina 358. I minuti passarono in fretta e totalmente rimbambito dal sonno si avvicinò al gate 13. In fila notò una signora vestita in maniera elegante con delle scarpe bianche e un tacco che poteva far davvero paura, ma fortunatamente faceva parte del gruppo che aveva prenotato con la priorità e quindi sarebbe entrata prima di lui. Un gruppo di ragazzi parlava di quanto sarebbe stato bello questo viaggio per Venezia, mandando a quel paese chi si lamentava delle zanzare lagunari. Lui invece stava lì, con la borsa del suo pc e la tracolla zeppa di roba che non riuscirà ad utilizzare. Il suo, come già detto, non era un viaggio di piacere, anche se giurò che il giorno in cui avesse avuto la possibilità avrebbe fatto tutti i viaggi che non si è mai potuto permettere. Arrivò il suo turno. « Prego, ecco » mostrò biglietto e documento d’identità e fece strada verso l’aereo.
Il biglietto diceva che il suo posto era il F18, vicino al finestrino. Sedeva sempre lì perché poteva poggiare la testa sulla scocca di plastica e fare i sogni migliori durante il viaggio quando non leggeva. « Ehm..scusi, non vorrei disturbarla, ma questo è il mio posto, vede? » mostrò il biglietto al passeggero « Oh, mi scusi, ci mancherebbe altro, giusto il tempo di spostarmi e le rendo il posto ». Dopo lo scambio di ossequi e gratitudini, finalmente si sedette. Poggiò la valigia sotto ai piedi, perché non gli piaceva l’idea di lasciare le sue cose da qualche parte invisibile ai suoi occhi.
« Eccola che arriva di nuovo » - l’ansia d’aver preso tutto ai controlli, tutto ciò che gli serviva per il lavoro e allo stesso tempo la convinzione di stare in apprensione per nulla, quasi uno scherzo dell’anima. Per lui tutto questo era qualcosa di cui vergognarsi. Da un po’ di giorni si sentiva molto spossato, aveva sempre sonno ed entrava nel panico. Pensava sempre d’aver perso o dimenticato qualcosa. Passò al setaccio la tracolla, ma al tatto tutto sembrava al posto giusto. Nonostante avesse ancora dei dubbi al riguardo decise di non pensarci, quindi prese il libro e riprese a leggere nuovamente da dove aveva staccato poco prima, ma fu interrotto bruscamente da un’hostess.

« È lei il signor Roth? » « Sì, sono io, c’è qualche problema? »« Beh, signor Roth, credo che lei abbia dimenticato qualcosa di molto importante giù ai controlli, potrebbe dirmi se le manca qualcosa? »Ted si toccò furiosamente la giacca, stavolta entrando dentro le tasche, poi fece lo stesso con la tracolla e  la borsa del suo computer portatile. Arrossì visibilmente e si accorse che effettivamente non trovava il portafogli. Nell’imbarazzo s’alzò dal posto preceduto dal suo sguardo costernato.  « Oddio! Il mio portafogli, non so come ringraziarla! » « Magari non facendoci tardare ancora; si faccia una corsa »Fece spostare il passeggero vicino e corse, rosso come un peperone nudo, verso l’uscita dell’aereo. Lo guardavano tutti i passeggeri e questo gli dava un fastidio enorme, perché non gli piaceva affatto stare sotto lo sguardo delle persone, portava sempre gli occhiali da sole quando partiva. Non gli piaceva la gente che saliva sugli aerei, sembravano avere tutti la puzza sotto al naso. Attento a non inciampare durante la corsa, ridendo sotto ai baffi, pensava a quanto avessero ragione sua madre e il suo slogan.

SID

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